da uccronline.it – «Io sono greco, non cristiano». Così si definisce il filosofo Umberto Galimberti, amante del continuo confronto tra cultura greca e cristiana: per lui il cristianesimo ha rovinato il paradisiaco mondo greco-romano, tesi copiata da Nietzsche per il quale il dio della natura Dioniso avrebbe dovuto sconfiggere il Dio cristiano della glorificazione della sofferenza.
Ma le cose stanno davvero così? Il prof. Jeremiah J. Johnston, docente di Cristianesimo antico presso la Houston Baptist University ha recentemente pubblicato il saggio Unimaginable: What Our World Would Be Like Without Christianity (Bethany House Publishers 2017), attraverso citazioni, lettere e documenti, ha ben descritto il mondo pre-cristiano e quello anti-cristiano (XVIII – XIX secolo)
«Secondo i nostri odierni standard era l’inferno sulla terra: la povertà, la malattia, la morte prematura, la violenza domestica, l’ingiustizia economica, la schiavitù e la corruzione politica erano il dono della vita», ha spiegato Johnston. Prima del cristianesimo, l’idea della dignità e del valore umano erano completamente inesistenti, tanto che una persona su quattro viveva in schiavitù e quest’ultima era promossa come progresso dalle menti più eccelse: «il possesso è uno strumento per la vita, e l’acquisto è il totale degli strumenti e lo schiavo è un bene animato ed ogni servo è come uno strumento per gli strumenti» (Aristotele, Politica, 1253a – 1253b).
Le leggi romane delle XII tavole (Leges Duodecim Tabularum, V secolo a.C.), comandavano invece ai padri di mettere a morte il loro bambino fosse nato con anomalie: «Il bambino deformato deve essere ucciso immediatamente» (Tabella IV.1). L’età greco-romana era un incubo soprattutto per le donne: una bambina era più probabile che venisse abbandonata o uccisa, le adolescenti subivano frequentemente abusi sessuali o prostituzione forzata, le donne adulte erano completamente controllate dai mariti, che avevano il diritto di abusarne o di abbandonarle. Le vedove morivano di povertà. Di tutto ciò parla un nostro specifico dossier. Come riconobbe Hegel: «Sono già millecinquecento anni che, mediante il cristianesimo, la libertà della persona ha iniziato a fiorire ed è divenuta, in una parte peraltro piccola del genere umano, principio universale» (citato in M. Caleo, Hegel filosofo di babilonia, Guida 2001, p. 145).
L’accademico americano Jeremiah J. Johnston ha anche osservato che questi inumani standard etici sono casualmente ricomparsi laddove si è imposta un’ideologia anticristiana. Tra il XVIII e il XIX secolo, infatti, quando la scena culturale era dominata da Voltaire, Hume, Lombroso, Feuerbach, Marx, Nietzsche e Freud, ecco ricomparire la schiavitù (teorizzata da Thomas Hobbs, John Locke ed Edmund Burke), il razzismo e la denigrazione dell’uomo in quanto essere. «Puoi ottenere ogni cosa dai negri», teorizzava David Hume, «offrendogli qualcosa di forte da bere, e puoi facilmente convincerli a vendere non solo i figli, ma anche mogli e amanti, per una botte di Brandy». E ancora: «I negri sono naturalmente inferiori ai bianchi» (D. Hume, Of National Characters, Cambridge University Press 1994, pp. 78-92).
Una disincantata e disperata visione dell’umanità dominò il pensiero di Nietzsche, per il quale «la maggioranza degli uomini non ha diritto all’esistenza, ma costituisce una disgrazia per gli uomini superiori» (F. Nietzsche, Volontà di potenza, Libro IV: Disciplina e selezione). E così descriveva l’umanità: «Avete percorso il cammino dal verme all’uomo, ma in voi c’è ancora molto del verme. Una volta eravate scimmie, e anche adesso l’uomo è piú scimmia di qualsiasi scimmia al mondo» (F. Nietzsche, Cosí parlò Zarathustra). La sua idea di superuomo ispirò, alla fine, Adolf Hitler: «un pazzo deciso a distruggere la maggior parte dell’umanità per avvantaggiare una razza “superiore”», scrive Johnston. «Rifiutando il cristianesimo, l’ateismo radicale del XX secolo non ha portato l’umanità verso un’utopia illuminata post-cristiana, ma ha semplicemente ripreso la barbarie pre-cristiana». Superfluo continuare citando il comunismo antiteista sovietico. Così, «l’etica basata sul teismo cristiano è stata sostituita da un’etica” scientista che non ha avuto problemi con esseri umani apparentemente superiori che schiavizzano e uccidono esseri umani apparentemente inferiori. La principale differenza tra l’antichità precristiana e i governi totalitari post-cristiani è che questi ultimi possedettero uno zelo molto più grande e strumenti molto più pericolosi».
Il volume dello storico statunitense risulta prezioso in un momento storico in cui molti credono di volere -ma senza conoscere- un mondo privato del cristianesimo. Puntuale fu il giudizio laico del filosofo della scienza Marcello Pera: «Mai l’Europa ebbe tanto progresso quanto ne produsse al tempo in cui consumò i misfatti dell’Olocausto, dei Lager e dei Gulag. Non è il paganesimo che fonda la democrazia. E non sono l’agnosticismo, il laicismo o l’ateismo che nutrono la libertà. Se si vogliono la pace, la convivenza, il rispetto, occorre credere nei valori da cui tutto ciò dipende. I valori del cristianesimo sono ancora il miglior antidoto alle prevaricazioni di ogni tipo, compreso quelle consumate nel nome degli stessi cristiani» (M. Pera, Perché dobbiamo dirci cristiani, Mondadori 2008, pp. 101, 102).