(Luigino Bruni di Famiglia Cristiana) – Narrare il cielo con le parole della terra
Mentre mangiavano, prese il pane e recitò la benedizione, lo spezzò e lo diede loro, dicendo: «Prendete, questo è il mio corpo». Poi prese un calice e rese grazie, lo diede loro e ne bevvero tutti. E disse loro: “Questo è il mio sangue dell’alleanza, che è versato per molti”. Marco 14,12-16.22-26
Gesù sente che si sta avvicinando la sua ora. Intuisce che quella sarà la sua ultima Pasqua. La vuole passare con i suoi amici più cari. Succede anche a noi: quando la vita ci fa capire che stiamo arrivando alla fine del nostro cammino, ci nasce un profondo e vitale bisogno di condividerlo con chi amiamo. Perché l’ultimo pasto deve essere il pasto con gli amici più cari, con i quali possiamo condividere anche l’ultimo pane. È molto bello che Gesù per dirci simbolicamente il senso della sua missione sulla terra scelga i segni del pane e del vino. Quelli della vita quotidiana, i frutti dei campi e del lavoro. Poteva fare solo discorsi teologici, parlarci del paradiso e degli angeli, trasgurarsi e farsi vedere di nuovo ai discepoli con Elia e Mosè. E invece no: usa pane e vino.
In realtà lo aveva sempre fatto. Ci aveva raccontato le storie più belle del suo Regno parlandoci di monete, di gigli del campo, di padri e di figli, di mercanti, di pastori e di agnelli. Gesù ci ha spiegato il cielo con le parole della terra, ci ha raccontato Dio con il linguaggio degli uomini, ci ha donato un’altra vita parlandoci della nostra. E, se vogliamo continuare a incontrarlo, dobbiamo cercarlo in mezzo alle monete, ai campi, alle vigne, alle famiglie, al lavoro.
Quel pane e quel vino che condivide con i suoi discepoli nell’ultima sua Pasqua è una sintesi di tutta la Bibbia. Sono la manna, sono il latte e il miele della terra promessa, è l’ultima focaccia che la vedova dona al profeta Elia, il vino di Noè il primo vignaiolo, il vino donato da Abigail a Davide. La Bibbia potrebbe essere raccontata anche solo come storia di pane e di vino.
Fare posto alla festa
La festa del Corpus Domini è molto amata dal popolo cristiano, certamente perché è festa e ricordo del grande dono dell’Eucarestia, il pane che continua a sfamarci, come la manna, negli attraversamenti dei nostri deserti. Ma è amata anche perché è la festa del pane e la festa del vino. A Cana Gesù non fece il suo primo miracolo moltiplicando il pane: trasformò l’acqua in vino. Un bene non necessario, si sopravvive anche senza vino, e la Legge di Mosè lo vedeva con sospetto in quanto inebriante. Ma il vino dice festa, e nella vita la festa è essenziale forse quanto il pane, perché gli uomini e le donne muoiono per mancanza di pane ma anche per mancanza di festa.
E così anche nel momento più solenne dell’ultima Pasqua di Gesù, anticipo della sua passione e morte, ecco tornare insieme al pane anche il vino, per ricordarci forse che anche nei momenti più difficili e decisivi della vita ci deve essere posto per la festa, che dice fede e speranza. E infatti in molti paesi – incluso il mio – il Corpus Domini è anche la festa delle infiorate: un arcobaleno di fiori, dove le persone, le donne soprattutto, dicono la riconoscenza per il dono dell’Eucarestia donando i petali più belli, facendo festa con tutta la creazione. Il cristianesimo vivrà finché sapremo far festa con il pane, con il vino e con i fiori, finché diremo le cose del cielo con le parole della terra e del lavoro.