(David E. Bernstein di Israele.net) – Dopo eventi come la recente guerra Israele-Hamas, la gente inevitabilmente si domanda come mai schermaglie relativamente minori che coinvolgono Israele catturano così tanta attenzione nel mondo, mentre conflitti molto più sanguinosi e geo-politicamente significativi fanno a malapena alzare un sopracciglio nella comunità interazionale. Penso che la risposta sia ovvia, anche se viene data di rado: molte persone sono affascinate dal fatto che gli ebrei, oggi, hanno uno stato sovrano dotato di forza militare; ma sono molte di più le persone (compresi tanti ebrei e non-ebrei filo-ebraici) che al contrario si sentono disgustate dalla sovranità e dalla forza militare di Israele.
A tale proposito, si consideri che la teologia cattolica tradizionale postulava che gli ebrei fossero condannati a vagare per la Terra, apolidi e senzatetto, come punizione per aver rifiutato Gesù. Vedere gli ebrei esercitare sovranità politica su se stessi e su comunità di cristiani e musulmani in Terra Santa è una amara pillola teologica molto difficile da ingoiare, e infatti la stessa Chiesa cattolica ha impiegato decenni per decidersi a farlo. Ma se la Chiesa ha in gran parte mutato atteggiamento, molti cristiani tradizionalisti non l’hanno fatto. Dal canto loro, le teologie cristiane più liberal rimangono ancorate all’idea che il martirio, così come l’ha sofferto Gesù, è la più elevata forma di virtù. Questi liberal riconoscono e si rammaricano per le ingiuste sofferenze patite dagli ebrei nel mondo cristiano per secoli. Tuttavia, vedono questa sofferenza come edificante per gli ebrei, con gli ebrei nel ruolo di martiri del peccato cristiano come Gesù lo è stato per i peccati del mondo. Alla luce degli orrori della Shoà, il ruolo assegnato agli ebrei è diventato quello di usare il proprio martirio per farsi voce profetica a favore della pace, anzi del pacifismo, e di operare per la redenzione dell’umanità. In questo senso, non rientra assolutamente nel loro ruolo edificare uno stato sovrano e forte, munito di un potente esercito capace all’occorrenza di infliggere durissimi colpi militari. Paradossalmente, gli ebrei che rifiutano il ruolo di vittime vengono percepiti come un tradimento degli ideali cristiani. Ecco perché i censori cristiani di Israele accusano così spesso gli ebrei di “non aver imparato nulla dalla Shoà”: nella loro mente, la Shoà è una storia che ruota attorno a un peccato cristiano e alla possibile redenzione attraverso il comportamento delle vittime/martiri. In questa visione, il destino del popolo ebraico in quanto popolo è, nel migliore dei casi, del tutto irrilevante.
È interessante notare come molti ebrei di estrema sinistra si ritrovino in una ridotta ideologica simile a quella dei liberal cristiani, sebbene su basi ideologiche marxiste anziché cristiane. Da quando lo affermò lo stesso Karl Marx, esiste tutto un significativo filone di pensiero di sinistra secondo il quale gli ebrei non sono un gruppo etnico legittimo, ma semplicemente dei derelitti nomadi asiatico-europei emersi come gruppo al solo scopo di servire gli interessi di classe, dapprima dei governanti feudali, poi dei capitalisti, non essendo dotati di per sé né di una religione legittima (perché nessuna religione è legittima), né di una cultura legittima (perché sono ebrei), né di alcuna legittima rivendicazione all’autodeterminazione. Non avendo nessun altra legittima ragione di esistere, l’unico modo per gli ebrei di giustificare se stessi continuando ad esistere come collettivo è quello di utilizzare l’esperienza ebraica dell’ingiustizia come motivazione per contribuire a tutti i vari movimenti di liberazione: a patto di non includere il movimento di liberazione ebraico, cioè il sionismo. Secondo questa visione, il sentimento nazionale ebraico non è altro che un nazionalismo reazionario basato su un insensato sentimentalismo o, peggio, su nozioni razziste di superiorità ebraica. Il motivo esatto per cui la solidarietà ebraica sarebbe razzista, mentre non lo è la solidarietà in tutti gli altri gruppi umani, non viene mai spiegato chiaramente. Ma intanto serve per affermare che Israele non ha diritto a nessun uso legittimo della forza per difendersi giacché Israele stesso non può essere legittimo.
Nel mondo musulmano la narrazione dominante è che Maometto, dopo aver mostrato la propria maestria militare massacrando le tribù arabo-ebraiche locali, ha magnanimamente concesso agli ebrei di vivere in pace sotto sovranità musulmana. Secondo il mito comunemente accettato, ebrei e musulmani hanno vissuto in totale armonia sotto il dominio musulmano per i successivi milleduecento e passa anni, fino a quando non sopraggiunse il sionismo a rovinare tutto. L’indipendenza e la forza militare di Israele, per contro, abbattono due miti correlati. Uno è che il dominio musulmano sui dhimmi ebrei fosse benevolo, e quindi gli ebrei del Medio Oriente non avevano alcun motivo per desiderare e difendere una loro indipendenza. L’altro è che i musulmani, in quanto gruppo religioso prediletto da Dio, avrebbero sempre governato sugli ebrei e mai viceversa. Vedere un esercito ebraico sconfiggere costantemente gli avversari musulmani, in contrasto con le vittorie di Maometto sugli ebrei nel Corano, destabilizza la visione del mondo di molti musulmani. Non basta. Maometto avviò il suo impero a partire da un territorio limitato e da un piccolo esercito, per poi espandersi in tutto il Medio Oriente e il Nord Africa. Qui entra indubbiamente in gioco un qualche latente timore che Israele possa allo stesso modo essere la miccia dell’espansionismo ebraico. Naturalmente ciò significa fraintendere totalmente il sionismo e l’ebraismo, ma il musulmano medio sa ben poco dell’ebraismo e gli è quindi del tutto naturale presumere che l’ebraismo sia espansionista e universalista come l’islam.
Infine, bisogna ricordare che le idee anti-israeliane di cui si è detto non sono sorte del tutto spontaneamente, ma sono in parte il prodotto di intense campagne antisemite istituzionali condotte nel corso dei decenni dalla Chiesa, dalla Russia zarista, dalla Germania nazista, dall’Unione Sovietica e da una varietà di stati arabi e musulmani. La propaganda sovietica che rifiuta Israele in quanto illegittimo stato colonialista, fondato da “sionisti” che non avevano alcun titolo per rappresentare il popolo ebraico, ha esercitato un impatto particolarmente duraturo sull’opinione mondiale. Oggi molti giovani di sinistra ripetono gli stessi slogan degli organi della propaganda sovietica Izvestia e Pravda di cinquant’anni fa, senza nemmeno rendersi conto della loro provenienza.
La conclusione più importante di tutto ciò è che le condanne dell’uso della forza militare da parte di Israele non possono essere attenuate né mitigate da un diverso “comportamento” di Israele. Il principale capo d’accusa non è il modo in cui Israele usa la forza ma la repulsione, ideologicamente fondata, verso il fatto stesso che degli ebrei esercitino collettivamente la forza militare attraverso il loro stato sovrano. Questo è il motivo per cui, stando alla mia esperienza, quando i censori di Israele sostengono che Israele sta facendo un uso “sproporzionato” della forza, non si riesce mai a capire quale livello di forza sarebbe per loro accettabile. Se per loro l’esistenza stessa delle Forze di Difesa israeliane è insopportabile, e Israele è intrinsecamente illegittimo, nessuna quantità di forza, per quanto rigorosamente difensiva e oculatamente calibrata, potrà mai essere tollerabile.