di Kiran Nazish – I miliziani dell’Isis sono entrati nei sobborghi di Kobani, la città siriana al confine con la Turchia, simbolo della resistenza curda contro l’avanzata inesorabile della più feroce espressione dell’islamismo. Con le bandiere nere oramai a tre chilometri dal centro, l’angoscia cresce nelle file dei guerriglieri curdi, come fra i compagni appena al di là del confine, nella cittadina turca di Suruc. «Non credo che ci metteranno molto a prendere Kobani – dice sconsolato Maimoona Ali, un attivista dei diritti umani, fuggito dalla Siria e ora rifugiato a Suruc -. Lunedì ho saputo che la mia casa è stata distrutta dai bombardamenti. Non potremo mai tornarci a vivere. Ma almeno faremo del nostro meglio per combattere il Daish». È così che chiamano nei Paesi arabi l’Isis. E fratelli e cugini di Ali si stanno battendo contro i miliziani in questo momento. Ma i curdi siriani e turchi non sono gli unici preoccupati per l’avanzata dell’Isis, per nulla rallentata dai raid della coalizione arabo-occidentale che martella le sue postazioni in Iraq e in Siria, anche vicino aKobani. Forse il più preoccupato è il premier turco Recep Tayyip Erdogan. L’intervento di Ankara in territorio siriano è sempre più vicino. Sul confine sono già posizionati 15 carri armati, e secondo il quotidiano «Zaman» almeno «10 mila uomini ». Oggi il parlamento voterà la richiesta del governo di un via libera alle operazione, che prevede «tutte le opzioni disponibili », compresa l’invasione di terra per creare una zona cuscinetto profonda 30 km. La caduta di Kobani (Ain al Arab, in arabo) porterebbe a diretto contatto gli islamisti con le truppeturche. Iguerrigliericurdi nonreggonopiù.Negliospedalidi Suruc è un continuo affluire di feriti. Due ambulanze stazionano al posto di confine, per soccorrerli subito,mentre dalle colline attorno a Kobani si intensifica il rimbombo dell’artiglieria dell’Isis che martella le postazioni curde dentro la città. Solo la scorsa settimana lo Stato islamico del Califfo Abu Bakr al Baghdadi ha preso 60 villaggi nei dintorni di Kobani, una zona densamente popolata. Oltre 200mila persone sono fuggite, le loro case e loro fattorie saccheggiate. «Stanno arrivando centinaia di combattentidalla Turchia per sostenerci – racconta un guerrigliero ferito, appena portato alla frontiera -. Ma ci stiamo indebolendo. Non abbiamo armi adeguate contro il Daish. Loro hanno cannoni più potenti». Nelle cittadine turche lungo il confine, la battaglia in corso dall’altra parte si vede chiaramente. «I combattimenti diventano più duri dopo il tramonto», raccontano gli abitanti: «Il rumore dei proiettili e delle bombe è così forte che non possiamo dormire. L’altra notte sono andati avanti fino alle due. I miei bambini sono terrorizzati », spiega una papà, Ali Taulin. Nei giorni scorsi l’Isis è avanzato in maniera impressionante. «Non c’è nessun aiuto internazionale, né da parte del governo turco. Siamo soli in questa battaglia», denuncia Ashraf Mehmoud, un combattente del Ypg, la più importante formazione politica e militare curda in Siria. Mehmoud ha combattuto senza sosta per una settimana, poi ha passato il confine per portare in salvo la madre e la sorella in Turchia. Mehmoud non ha ancora visto effetti sull’Isis da parte dei raid internazionali. Il Centcom americano ha comunicato ieri che numerose missioni sono state condotte proprio sul confine turcosiriano, per indebolire l’artiglieria degli islamisti, anche se non ha specificato le località colpite. I profughi di Kobani, appena arrivati dalla città sotto assedio, raccontano di non aver assistito a nessun raid. «Perché gli americani colpiscono il Daish a Raqqa, o in altre città dove si sono insediati e non qui, dove ci stanno massacrando?», si lamentano. «Al mondo non importa nulla di noi, dell’innocente popolo di Kobani, delle nostre case, delle nostre vite – insiste il combattente Mehmoud -: dovete capire che gli uomini delDaish oggi prendono le nostre case, domani prenderanno le case di qualcun altro. Non si fermeranno mai se non li combattiamo tutti insieme». Ma non è sicuro che una raffica di raid siano sufficienti a fermare gli islamisti. Che ieri hanno mostrato per la terza volta in un video l’ostaggio britannico John Cantlie, sempre vestito con la tuta arancione, proprio per fargli dire che i bombardamenti decisi da Obamasono «inutili per conquistare e controllare il territorio». Come dire, l’Occidente non ci fa paura. Mentre per terrorizzare la popolazione curda l’Isis ha decapito tre combattenti donne, prigioniere, assieme a un loro compagno. Ma la battaglia di Kobani, comunque vada a finire, ha già innescato un’ulteriore crisi umanitaria. Con le ultime ondate verso la Turchia il numero di profughi fuggiti dalla guerra civile in Siria ha raggiunto i tre milioni, come ha omunicato Selin Unar dell’agenzia Onu Unhrc. Molti hanno trovato solo ricoveri di fortuna, come Shamsha Mehmoud, una donna di 84 anni, che vive ora in una moschea di Suruc. «È un’umiliazione. Abbiamo diritto a un campo attrezzato. Non voglio vedere i miei nipoti crescere così».