Milano (Aldo Grasso di Il Corriere della Sera) – Da bambino, il Santo Padre è stato cinefilo, ha visto tutti i film con Anna Magnani e Aldo Fabrizi; per il piacere dello schermo o, chissà, forse per nostalgia dell’Italia. Ha molto amato “Roma città aperta” perché gli ha fatto capire la grande tragedia della guerra. Il suo film preferito resta «La strada» di Federico Fellini per il suo afflato evangelico. E apprezza ancora oggi il cinema neorealista come «scuola di umanesimo», come «catechesi di umanità». Nell’Italia uscita dalla guerra, si sentiva il bisogno di una rinascita politica e sociale. Cineasti e registi vollero farsi artefici di questo rinnovamento. Proposero un cinema che scavava nella realtà del presente e del più recente passato, portando alla luce storie, temi e personaggi di quel mondo su cui bisognava agire: il cinema neorealista si caratterizza fin da subito per il suo forte impegno sociale.
E possiamo immaginare l’effetto di quei film per chi era emigrato all’estero, per sfuggire alla dittatura o alla miseria. Ancora oggi, cosa sia stato il cinema neorealista, creatura polimorfa, è difficile da spiegare. Fu un’aggregazione di fenomeni eterogenei? Il nome di una battaglia? Un’etica dell’estetica? Un mix di ideologia e poetica? Una coincidenza? Quattro passi tra le nuvole o un’ossessione? Alcuni film di quel periodo restano straordinari perché frutto di un artificio di incerta e ironicamente fatale destinazione; sembrano magicamente fatti da una sola persona. In apparenza chiari e determinati, di felice trasparenza, sono percorribili in diverse le direzioni, inesauribili e insensati (che idea, trasformare una bicicletta in una macchina narrativa!); è proprio la loro «ambiguità» linguistica a renderli duraturi.
Per il Santo Padre il neorealismo è un’educazione allo sguardo e, a tal proposito, cita Simone Weil che al tema ha dedicato riflessioni di intensa spiritualità. In «Attesa di Dio» scrive: «Una delle verità fondamentali del cristianesimo, oggi misconosciuta da tutti, è che lo sguardo è ciò che salva». Basterebbe oggi ritrovare un po’ del coraggio con cui Simone Weil si concentrava su un esile fascio di parole (Amore, Bene, Fede, Bellezza, Necessità, Limite, Sacrificio…), per restituire alle medesime la loro forza incendiaria. Molte pagine degli scritti di Simone Weil sono fuoco che arde perché i nostri occhi possano vedere meglio, in profondità. La cosa curiosa è che Roberto Rossellini si ispirò proprio alla figura di Simone Weil per tratteggiare il personaggio di Irene, in «Europa ‘51»: non basta soffermarsi sul visibile, che sta davanti agli occhi, bisogna a ogni costo ricercare l’invisibile, che sta dietro gli occhi.