(da Il Sussidiario) – “Vecchi si nasce, giovani si diventa”. È questo l’aforisma riportato da Giorgio Gandola nella prefazione che apre un libriccino interessante su Alessandro Maggiolini nel periodo del suo episcopato a Como dal 1989 al 2006 .
Lo ha scritto Laura D’Incalci (Alessandro Maggiolini. Un vescovo da prima pagina, Cantagalli 2019) che è stata sua cronista per otto anni, svincolata da qualsivoglia protocollo curiale, seguendo a tempo pieno, giornalmente, la vita pubblica dell’arcivescovo, o meglio la sua pastorale a guida della diocesi fatta di gesti, di rapporti con le persone, ma anche di prese di posizione rispetto alla vita dei cristiani dentro la vita del Paese. Una “vera presenza”, quella di Maggiolini, che ha permesso un confronto importante nel cammino della Chiesa, tanto più gigantesca perché scommessa sulla libertà della persona. L’osservazione puntuale del reale e il corto circuito con la dottrina sociale della Chiesa, attraverso la stampa, hanno messo spesso l’arcivescovo in una posizione scomoda, non sempre ben accetta, posizione di cui oggi, direi, si sente la mancanza.
Il paradosso del cristianesimo è quello di essere realtà umana e divina allo stesso tempo senza reciproche mutilazioni: grazie e in analogia con il mistero dell’incarnazione tutto ne è ricompreso.
Questo cammino è perlopiù difficile e implica l’andare quasi sempre contro corrente. Per questo quel “vecchi si nasce” di Maggiolini dice che uscire dal conformismo, dall’omologazione richiede di saper rendere ragione della radice profonda del credere e far discendere da questo le scelte della vita. Ecco allora scaturire una continua giovinezza e un’inesausta capacità di stare nel contesto in cui si è posti rispondendo concretamente, creativamente, con una marcia in più rispetto al “politicamente corretto”, liberi dal risultato perché fortemente agganciati a qualche cosa che oltrepassa il proprio limite.
Il libro mette in fila molti interventi da prima linea, perlopiù pubblicati sul quotidiano la Provincia di Como e dunque destinati a commentare l’avvenimento in tempo reale, a “rilevare l’impatto che la fede genera sulla vita, sulle legislazioni, la società, la cultura, la politica”.
Nel discorso alla città del 31 agosto 1999, ricorrenza del patrono, Sant’Abbondio, Maggiolini affronta il problema dell’immigrazione suggerendo di non sottovalutare i rischi di un’immigrazione indiscriminata, soprattutto, nel caso dei musulmani, per l’evidente assenza di un vero dialogo interculturale, fragile, invece, perché costruito su semplici slogan. Proprio di quei giorni era il massacro dei cristiani del Timor Est, e Maggiolini ne scrive anche per rendere più avvertiti quei suoi critici, ai quali questa posizione dell’arcivescovo appariva lontana da un preteso stile evangelico di totale apertura incondizionata.
Altri interventi del polemista Maggiolini accendono il dibattito sui grandi temi: i Pacs (Patto civile di solidarietà) equiparati al matrimonio civile e religioso, le prime schermaglie sull’eutanasia con le posizioni di don Verzè, fondatore dell’Ospedale San Raffaele di Milano, o sul gender fluid, o sulla genitorialità in crisi. Nel libro c’è anche la parte non trascurabile legata alla sua malattia, condivisa con il suo popolo, del suo faccia a faccia con la morte, delle considerazione che ne sono nate, del silenzio che avvolge ogni sofferenza.
È una lettura profetica, quella di questo breve e autentico stralcio di vita, che fa riflettere e che accompagna utilmente chi adesso è in cammino.