Genova – Qualche giorno fa l’ex deputato transgender di Rifondazione comunista Vladimir Luxuria ha posto le sue “condizioni” al Papa per convertirsi e tornare ad essere cattolica: “Aspetto che la Chiesa ci faccia sentire figli di Dio, questo potrebbe riavvicinare tante persone Lesbiche, Gay, Bisessuali e Transgender che hanno bisogno di questo segnale. Una pacificazione che ci migliorerebbe la vita. Papa Francesco – ha aggiunto Luxuria – sta aprendo ai gay. Io mi sento ancora buddista ma dopo la morte di don Andrea Gallo e le parole del nuovo pontefice sento che è arrivato il momento di riconciliarmi”. Un desiderio rispettabilissimo, senza dubbio. Ma non è questo il punto. Le parole di Luxuria sono arrivate dopo che ha ricevuto la comunione dal cardinale Angelo Bagnasco in occasione dei funerali di don Gallo. Un gesto che, ha detto, l’ha fatto molto riflettere: “Bagnasco avrebbe potuto evitarmi e non lo ha fatto. Per me è stato un segno”. Tuttavia, nonostante “il segno” i desiderata di Luxuria evidenziano ancora una concezione del cristianesimo e della Chiesa abbastanza curiosa e che adesso, a differenza del passato, viene fuori anche nel discorso pubblico con estrema franchezza. La concezione è quella del baratto: tu dai una cosa a me e io do una cosa a te. Se tu, Chiesa, dai una sforbiciata ai comandamenti e li rendi politicamente corretti e meno esigenti io sono pronto a tornare nei ranghi e a darti la mia anima. Il ragionamento, stringi stringi, è questo. Scorrendo però le storie di convertiti illustri, da San Paolo a Sant’Agostino, si vede chiaramente che in genere, nelle conversioni, chi detta le condizioni è Dio e il convertito, illuminato dalla grazia, le accetta. Condizioni dure, durissime perché impongono un cambiamento radicale di vita e di prospettiva e che non aboliscono il dolore, il limite, la caduta ma permettono di dire, con Teresa di Lisieux, che “tutto è grazia”. Ogni conversione, come sa bene chi ci è passato, è un vero e proprio terremoto del cuore, un travaglio interiore. Caravaggio nella Conversione di San Paolo (1601) coglie quest’aspetto in maniera grandiosa: il convertito, è a terra accecato, allusione ad un dramma che si svolge nell’intimo, mentre allarga le braccia in segno di dedizione a quel Cristo che lo chiama e gli chiede di non perseguitarlo più. La Chiesa, come testimonia il gesto di Bagnasco che ha distribuito la comunione a Luxuria, non giudica la coscienza di nessuno, sa che infine Dio conosce i suoi anche quando essa non li conosce. Le richieste dell’ex deputato, inoltre, sono sintomatiche di un atteggiamento molto in voga tra i laicisti italiani. Essi pretendono di dire alla Chiesa che cosa deve dire e fare per essere cristiana. Che è poi un modo subdolo per combatterla. Per essere cristiani, sostengono, bisogna lasciar perdere, conformarsi alla verità dell’altro, accettarla fino ad eclissare se stessi e togliere il disturbo. Il “Farsi tutto a tutti” di San Paolo è travisato e capovolto, e diventa “dare tutto a tutti”. Il laicismo dominante in Italia e in Europa pretende che la Chiesa diventi irrilevante applicando il principio di compassione. Una falsa compassione, in questo caso, che diventa resa, perché vuole svuotare il Cristianesimo della sua carica di paradossalità, di apparente inattualità proprio perché vero e valido in ogni tempo. La Chiesa invece accoglie tutti ma non obbliga nessuno.
Antonio Sanfrancesco