(Domenico Letizia di Lab tv) – Nel corso del nostro primo approfondimento della rubrica “La moda e le donne islamiche. Un nuovo intreccio culturale e sociale”, con Simona Travaglini, abbiamo avuto modo di iniziare a comprendere che nella religione islamica la moda deve rispettare alcune caratteristiche per essere considerata “lecita”. L’importanza di comprendere tali fenomeni risulta particolarmente essenziale al fine di assimilare le idee sociali e culturali che la moda ha prodotto e continua a produrre nel mondo, analizzando a fondo anche la figura e l’idea stessa della donna in tale contesto sociopolitico. Nel corso della rubrica con Simona Travaglini, esperta di moda e costume islamico, nonché esperta di diritto delle donne nel mondo arabo, già fondatrice del “marchio” Heart&Fashion, oggi molto conosciuto ed apprezzato a Roma, analizziamo ulteriormente tutti i fattori utili a comprendere l’importanza e le potenzialità di tale mercato, assimilando i processi culturali, sociali e cognitivi che vi sono in tale intreccio culturale. La figura della donna e la socialità delle donne nel mondo arabo musulmano è caratterizzato da un movimento che vede nelle donne musulmane e arabe un rivendicare l’uguaglianza di genere attraverso la reinterpretazione dei testi sacri, con la nascita del femminismo islamico. “Il primo a parlare di emancipazione della donna e ad aver preso una posizione pubblica fu un uomo, l’avvocato egiziano Qasim Amin”, ricorda la dottoressa Travaglini.
Con il proseguire dei decenni, il femminismo arabo assunse una connotazione più legata alla religione, con la nascita di quello che sarà noto come “femminismo islamico”, un movimento che vede donne musulmane, arabe e no, “rivendicare l’uguaglianza di genere a partire dalla revisione e lettura critica dei testi sacri”, ricorda Travaglini. L’analisi elaborata da Travaglini aiuta a comprendere anche l’importanza di Fatima Mernissi, una scrittrice importante e una delle femministe più attive in Marocco. Laureata in Scienze Politiche e Dottoressa in Sociologia, Fatima è stata un’autorità mondiale nell’ambito degli studi coranici. Dopo aver studiato diverse versioni del Corano, Fatima ha sostenuto l’idea che “Maometto fosse un femminista e un progressista per la sua epoca”, ha ribadito Simona Travaglini. Altra personalità degna di nota è Duriya Shafiq, attivista, giornalista, editrice e docente dell’Egitto. La studiosa è molo attiva studia presso l’Università del Cairo e presso la Sorbona. “Duriya difendeva il laicismo e la democrazia. La nostra intellettuale ribadisce che l’Islam parla di uguaglianza e non impone né il velo né la reclusione. Una visione che aiuta a promuovere i diritti politici delle donne”, ricorda Travaglini. Inoltre, per comprendere i costumi del mondo arabo musulmano è importante capire e conoscere la storia e le usanze dietro le varie tipologie di velo. La dottoressa Travaglini ha analizzato la storia del “velo” descrivendo il burqa, il chador, l’hijab, il khimar e il niqāb.
Simona Travaglini ha rimarcato le varie tipologie di velo ricordando che “il velo islamico è un abito in uso tra le donne musulmane. Ne esistono diversi tipi, ciascuno fortemente legato all’area di appartenenza geografica della donna, riflettendone la cultura e l’aspetto puramente religioso. Il Khimar è un grande velo che la donna porta sulla testa e che copre i capelli, il collo e il petto. L’Hijab è un ampio foulard che cela le orecchie, nuca e capelli e può essere di colori diversi. Il Niqab è un velo con cui la donna musulmana copre il viso lasciando scoperti gli occhi. Un velo generalmente nero di tessuto leggero poggiato sul naso fino a coprire tutto il volto tranne gli occhi ed è tenuto fermo con due fili legati dietro la testa. In alcuni casi può essere completato da un velo di mussola nera che copre anche gli occhi ed è tipico dell’Arabia Saudita e dei Paesi del Golfo. Si abbina anche con il khimar e raramente con l’Hijab e viene indossato sopra gli abiti islamici come l’Abaya. Il Chador tipicamente utilizzato in Iran è generalmente nero, indica sia un velo sulla testa, sia un mantello su tutto il corpo. Infine, il Burqa, un tempo ampio e lungo generalmente di colore azzurro che copre il corpo incluso il volto, scendendo dalla testa fino ai piedi. Risulta fornito di un tessuto traforato all’altezza degli occhi che consente di vedere. Il burqa è un indumento tipico dell’Afghanistan”.
Durante la rubrica, particolare attenzione è stata dedicata anche alla concezione del matrimonio nel mondo islamico. “In tale contesto sociale e culturale, il matrimonio è concepito come un vero e proprio contratto, dove l’uomo paga una dote che diventa priorità della donna a cui assicura un mantenimento in cambio del godimento sessuale”, ricorda la nostra esperta.
Invece, la poligamia è il precetto iscritto nel Corano secondo cui un uomo può sposare fino a quattro mogli purché li tratti allo stesso identico modo. Tuttavia, “nel Corano alla sura IV vers. Tre troviamo scritto: “Se temete di non essere equi con gli orfani, sposate allora fra le donne che vi piacciono due tre o quattro, ma se temete di non essere giusti con loro, una sola, o le ancelle in vostro possesso questo sarà più atto a non farvi deviare. Sempre nel corano, capitolo IV verso 129 è riportato che: “Anche se lo desiderate non potrete agire con equità con le vostre mogli: però non seguite in tutto la vostra inclinazione, sì da lasciarne una come sospesa”, ricorda Simona Travaglini, ribadendo di comprendere bene l’aspetto di rispetto della donna che emerge dalle scritture.
Grazie alla dottoressa Travaglini abbiamo avuto modo di capire l’attualità e il substrato culturale della donna nella cultura islamica, iniziando a comprendere anche le rivendicazioni sociali delle donne, rivendicazioni che sono lontane dall’idea stessa della nostra società occidentale. La variegate tipologie di velo, l’idea di matrimonio, il ruolo e la critica di genere in tale contesto è premessa essenziale per lo sviluppo sociale, culturale ed economico della vasta regione araba musulmana.