Siena – Intorno al 1180 il nobile cavaliere Galgano Guidotti (1148-1181), originario di Chiusdino un piccolo paesino a pochi chilometri da Siena, si ritirò a vita eremitica dopo aver trascorso una gioventù dissennata. Preso l’abito cistercense, fece erigere una cappella sul vicino Monte Siepi dove trascorse gli ultimi mesi della sua vita.
Dopo la canonizzazione di Galgano, avvenuta nel 1185, i monaci Cistercensi di Casamari, con l’appoggio del vescovo di Volterra Ugo Saladini, fecero edificare in onore dello stesso un vero e proprio monastero. Intorno al 1218, poco più a valle, nella piana di Merse, iniziò la realizzazione dell’abbazia. A dare l’impulso ai lavori fu soprattutto l’ingente patrimonio che i monaci erano riusciti a raccogliere grazie alle donazioni, ai lasciti e soprattutto alle concessioni ecclesiastiche. Alla metà del XIII secolo l’abbazia di San Galgano diventò, in Toscana, la più potente fondazione cistercense in grado di soppiantare tutte le abbazie benedettine dei dintorni riscattandone addirittura i beni.
La grande abbazia, consacrata nel 1288 e costruita nelle forme derivate dalle chiese cistercensi realizzate in Francia, ebbe particolare importanza per la diffusione del gotico nell’architettura toscana. Illustre esempio di architettura gotico-cistercense, insieme al monastero e alla “Rotonda” di Monte Siepi è tra i più suggestivi complessi della campagna toscana.
Anche il territorio circostante fu interessato dagli interventi dei monaci che dettero inizio a lavori di prosciugamento e bonifica delle paludi circostanti e contemporaneamente provvidero a regimentare il corso del fiume Merse per sfruttarne l’energia idraulica.
Nel XIV secolo dopo una lunga carestia e una grave epidemia di peste l’abbazia subì un arresto nello sviluppo economico che aumentò ulteriormente con i saccheggi perpetrati dalle incursioni degli avventurieri di Giovanni Acuto. Tali eventi, che trascinarono la comunità monastica in una profonda crisi, costrinsero i pochi monaci rimasti ad abbandonare il convento.
Nel 1576, il complesso, iniziò a dare segni di cedimento e gli interventi di restauro effettuati l’anno successivo non riuscirono ad arrestarne l’avanzante degrado. Nella prima metà del 1700 tutto il complesso versava in un grave stato di abbandono, crollato in più parti man mano si sgretolarono sia le volte che il campanile. Negli anni seguenti la chiesa dopo essere stata abbandonata fu definitivamente sconsacrata.
Verso la fine dell’ Ottocento il complesso cistercense tornò nuovamente a destare interesse tanto che nel 1926 si decise di intervenire, sul sito, eseguendo solo un intervento conservativo atto a consolidare quanto rimaneva ancora in piedi del vecchio monastero.
La chiesa attualmente mostra una facciata a doppio spiovente , nella parte inferiore sono presenti quattro colonne con aggetti per sostenere un portico che non fu mai realizzato. Si accedeva all’interno attraverso tre portali con archi a pieno centro ed con estradosso ogivale, nel portale maggiore si vede ancora un fregio della decorazione prima esistente. La parte superiore della facciata è occupata, in parte, da due finestre a sesto acuto; agli inizi del XX secolo la parte terminale è stata reintegrata con dei laterizi. Osservando le fiancate della chiesa si comprende meglio la stupenda forma dell’edificio che leva solitario le possenti mura, senza tetto, in mattoni e travertino. Nei muri sono inserite le monofore ed alcune di queste sono sormontate da un oculo, mentre alle bifore ogivali mancano le colonnine che sono andate perdute nel tempo, oggi ne resta a testimonianza solo una. Nella fiancata sinistra, caratterizzata dalla meticolosa cura che si è posta realizzare il paramento murario, risulta rilevante il prospetto del transetto che mostra elementi architettonici di grande rilievo, ne è esempio la grande finestra trifora nella testata del transetto stesso. Nell’abside, troviamo la massima opera architettonica di tutto il complesso, animata da due ordini di monofore ad arco a sesto acuto è in alto conclusa da due oculi di grandezza diversa e riccamente decorati. Nella testata del transetto destro è visibile un altro grande oculo che conserva ancora i resti della decorazione di un rosone.
Sul lato sinistro dell’abside si intravedono una porta e una monofora ed è quanto resta attualmente del campanile elemento inconsueto nelle abbazie cistercensi.
Nella fiancata destra si sviluppa il chiostro che andò completamente distrutto nel XVIII secolo e ricostruito, intorno al 1920, con una piccola parte dei materiali originali ritrovati sul posto.
L’interno dell’abbazia, a croce latina, lunga 72 metri e larga 21, terminante con un ampio transetto, è suddiviso, longitudinalmente in tre navate, da 16 grandi pilastri cruciformi. Oggi resta solo la sua grandiosa solennità che la rende la parte più suggestiva del complesso. Alta, imponente, presenta ancora le arcate a sesto acuto con doppio archivolto, mentre l’ariosa navata mediana, priva delle volte gotiche crollate, risplende per la prevalenza della pietra bianca del rivestimento ma soprattutto perché è invasa dalla luce che entra libera all’interno. Il transetto è suddiviso in tre navate, quella orientale è occupata da quattro cappelle rettangolari, poste, due a due, lateralmente alla cappella maggiore, che presenta a sua volta un’abside anch’essa rettangolare. Sia le cappelle che le campate minori del transetto presentano ancora l’originaria copertura con volte a crociera poggiante su costoloni.
Da una piccola porta (ora chiusa), che si trova alla testata del transetto sinistro, si accedeva ad una scala a chiocciola, di cui restano oltre ottanta gradini, che conduceva al sottotetto della chiesa. Sulla parete di destra all’altezza dell’ultima campata vi è un portale che originariamente immetteva nel chiostro e che attualmente costituisce l’ingresso principale della chiesa.
La vasta struttura rimasta a documentare la potenza economica della comunità monastica è celebre in tutto il mondo per la sua chiesa senza tetto; oggi ha per volta le stelle e per pavimento un soffice prato verde.
L’eremo, costruito da Galgano Guidotti, ha una struttura originalissima e costituisce un esempio singolare nell’ambito dell’architettura romanica senese. E’ a pianta perfettamente circolare, che ricorda i mausolei romani, con un piccolo campanile a vela. Sulle pareti esterne si avvicendano fasce concentriche di pietra bianca e cotto che caratterizzano vivacemente la struttura insolita della volta.
È proprio in questo eremo, conosciuto anche come “Rotonda di Monte Siepi”, a poche centinaia di metri da San Galgano, che è custodita la Spada nella Roccia. Protetta da una custodia trasparente, la tradizione vuole sia stata conficcata nella pietra da Galgano stesso per venerare l’elsa della spada, a forma di croce, nel momento in cui decise di rinunciare agli agi della sua trascorsa vita di nobile e che aveva fino ad allora dissennatamente condotto. Questo gesto era comune tra i cavalieri medievali, che vedevano nella loro spada rovesciata il simbolo della Croce di cristo. Le analogie con le vicende di Re Artù e i Cavalieri della Tavola Rotonda ben si intrecciano con le numerose storie che circondano San Galgano. In questo caso si tratta del corrispettivo italiano della leggenda della Spada nella Roccia di Re Artù, ma con connotazioni diverse: mentre la spada nella roccia venne estratta dal giovane Re questa spada venne conficcata da San Galgano nella roccia e si può dire che questo fu l’unico miracolo in vita del giovane.
Samantha Lombardi