(Alessio Arvonio di Libero Pensiero) – Che si tratti di religione o filosofia, monoteismo o politeismo, testi sacri o racconti mitologici, la figura divina, prescindendo dall’identificazione, ha sempre costituito un importante punto di riferimento, negato o confermato, col quale confrontarsi per poter parlare della Natura. Comprenderlo è semplice. È sufficiente scrutare le svariate combinazioni della biodiversità e degli ecosistemi, il fondamentale lavoro delle api o un semplice tramonto in spiaggia per spingersi a postulare l’esistenza di Dio. Indubbiamente, ogni essere umano, dalla notte dei tempi, ha provato stupore e paura dinanzi alla natura, sensazioni che il filosofo Kant classifica come “Sublime”.
Dunque, che si tratti di un fiore colorato e profumato o di una tempesta devastante, i filosofi hanno notato una straordinarietà nella natura che ha meritato innumerevoli ponderazioni nel corso della storia della filosofia. Dai presocratici in poi, infatti, la meraviglia nascente da uno sguardo attento rivolto ai sorprendenti meccanismi della natura ha spinto molti uomini a chiedersi se alla base di tutto ciò che ci circonda potesse esserci una forza divina. Tralasciando la complessa identità di quest’ultima, la filosofia ha dato diverse risposte raggruppabili, in modo succinto, in tre grandi categorie.
Il primo, ma non necessariamente cronologico, approccio della filosofia alla natura ha ipotizzato l’esistenza di un’Anima del mondo, un Demiurgo, un entità superiore che ordina la materia caotica per dar vita a ciò che ci circonda. È la visione che, da Platone in poi, si va affermando e caricando di diverse interpretazioni fino a confluire nel Cristianesimo. In quest’ultimo trovano grande spazio le riflessioni di pensatori che hanno riadattato le teorie filosofiche platoniche e aristoteliche, in origine prive di influenze mistiche, per dimostrare l’esistenza di Dio in una prospettiva religiosa cristiana. Anche Aristotele infatti aveva ammesso l’esistenza di un Dio, definito “Primo motore immobile dell’universo”, ovvero il punto dal quale deve necessariamente avere inizio il processo di evoluzione e cambiamento nel mondo, non potendo procedere a ritroso all’infinito alla ricerca di un’origine. In epoca medievale, in particolare all’interno della Scolastica, va prendendo forma l’idea che la conoscenza di Dio possa essere dimostrata a partire da ciò che Egli stesso ha creato. L’idea centrale è che Dio si manifesta attraverso la molteplicità evidente in natura. Sostenitore per eccellenza di tale teoria è stato San Tommaso d’Aquino. Il Santo parte dalla realtà che lo circonda, dall’osservazione dell’ordine e dei meravigliosi meccanismi che governano la natura per arrivare a dimostrare la presenza necessaria di Dio. Lo sguardo dell’Aquinate parte dall’uomo e dalla sua intelligenza per spostarsi agli animali e alle piante, nei quali è facilmente riscontrabile un modo stupefacente di adoperarsi per raggiungere un proprio fine e che, di conseguenza, rinvia a una sovrintendenza divina. A prescindere dalle diverse modalità valutative, la scienza può facilmente dimostrare quante meraviglie si nascondono nella natura e nei suoi propedeutici incastri e non è difficile cedere all’idea che Dio possa esistere.
Nel momento stesso in cui si affermano tali idee, va prendendo forma, però, una visione della natura differente: il Panteismo. Si tratta di dottrine che tendono a identificare la natura con Dio stesso. La natura non sarebbe, dunque, dipendente da nessuna entità sovrannaturale ma coincide con essa. L’idea aveva avuto grande diffusione in epoca rinascimentale e a suo sostegno c’erano pensatori del calibro di Giordano Bruno e Spinoza. La filosofia del primo sosteneva che Dio è “Il principio razionale insito nelle cose” a cui dà forma e vita ed è conoscibile razionalmente. La dimostrazione suprema è nell’infinità dell’universo, la stessa di Dio. La filosofia del secondo, invece, parte dalla constatazione dell’immutabilità delle leggi che dominano con ordine geometrico il mondo per dimostrare la necessità divina. Dio, dunque, non è più trascendentale ma immanente nelle cose della Natura.
Agli antipodi delle concezioni precedenti si pongono quegli approcci marcatamente scientifici che guardano alla Natura senza considerare entità divine o approcci teleologici. È il caso, ad esempio di Galileo Galilei che definiva la natura come un libro scritto in lingua matematica. Si afferma quin in seguito alla rivoluzione scientifica, una concezione meccanicistica della natura. L’obiettivo non è più cercare di spiegare il “perché” delle cose, ma esclusivamente il “come”, ovvero indagare i meccanismi osservabili che la governano, senza postulare nessuna essenza o finalità interna alle cose del mondo. Dio non c’è, ma questo non vuol dire necessariamente che non è.
Nella rapida disamina è evidente che il punto di partenza è immutato: la natura e i suoi meccanismi. È evidente che una risposta assoluta su Dio è altamente improbabile, ma certo è che la Natura sia un’opera d’arte di un artista relativamente ignoto. Chiunque sia, però, siamogli fedeli senza alterarne dannosamente le componenti, credendoci gli dei di un progresso smisurato e offensivo.