(da globalvoices.com) – La pandemia da COVID-19 ha colpito il mondo in maniera molto disomogenea; la Georgia ha sorpreso tutti per il risultato raggiunto nella lotta contro il virus.
I motivi di questo successo sono diversi e comprendono le accuse secondo le quali la vera portata e le reali statistiche sarebbero state nascoste (secondo la Mappa dell’Università Johns Hopkins [en], alla data del 29 giugno, in Paese si contavano 926 casi confermati e 15 decessi). Comunque sia, la prima ondata sembra attenuarsi, offrendo così l’occasione per riflettere sulle reazioni dei principali attori e delle istituzioni di questo Paese del Caucaso meridionale.
La Chiesa ortodossa georgiana esercita un’enorme influenza sociale e politica in Georgia, dove l’83,4% della popolazione vi aderisce. Repressa durante il regime sovietico, la chiesa ha ricevuto un cospicuo sostegno finanziario sotto forma di fondi pubblici e restituzione delle proprietà, che, secondo un rapporto [ka, come tutti i link successivi, salvo diversa indicazione] del 2016 delle ONG locali, ammonterebbe a diverse decine di milioni di lari (tali privilegi finanziari sono stati successivamente contestati [en] dalla corte costituzionale del Paese).
La chiesa ortodossa è ampiamente rispettata nella società georgiana: da uno studio del National Democratic Institute (NDI) e del CRRC Georgia pubblicato lo scorso gennaio è emerso che, a novembre-dicembre 2019, il 50% della popolazione si fidava implicitamente della chiesa. Tuttavia, questo indicatore è in costante diminuzione da diversi anni: la cifra si attestava al 64% a luglio 2019 ed era persino superiore negli anni precedenti.
Questo significa che le azioni della chiesa durante la pandemia meritano di essere passate al vaglio. Alcuni osservatori si chiedono se ne danneggeranno ancora di più la popolarità.
La Georgia ha ufficialmente registrato il suo primo caso di COVID-19 il 26 febbraio. La prima reazione della Chiesa ortodossa georgiana si è avuta il 17 marzo, con l’aspersione delle strade centrali di Tbilisi, la capitale, con acqua benedetta. L’arcivescovo Shalva Kekelia ha descritto l’atto come un modo per chiedere al Signore aiuto nel proteggere il Paese e il popolo dal virus. Tre giorni dopo, il Patriarcato ha rilasciato una dichiarazione esortando i fedeli con problemi di salute a isolarsi fino a piena guarigione e suggerendo di svolgere le funzioni religiose all’aperto per evitare assembramenti in spazi ristretti.
Con l’aumento del numero di casi, il 21 marzo la Georgia ha dichiarato lo stato di emergenza [en] vietando gli assembramenti di più di 10 persone. Alla domanda dei giornalisti di On.Ge se il divieto valesse anche per le funzioni religiose, il primo ministro Georgi Gakharia ha risposto che “si applica a tutto e a tutti”. Ne è seguito un dibattito pubblico sulla sicurezza durante la partecipazione alle funzioni religiose che ha spinto il patriarcato a rilasciare un comunicato in data 25 marzo in cui si riaffermava che, pur mantenendo attive le funzioni religiose, la chiesa sosteneva le misure statali per la gestione della crisi. Nel comunicato si sottolineava che alcuni mezzi di comunicazione avevano descritto la situazione in modo tale da suggerire che la chiesa potesse essere incolpata per le conseguenze della diffusione del virus.
I tentativi delle autorità di trovare un linguaggio comune con la chiesa e i fedeli hanno raggiunto il culmine all’inizio di aprile, con l’avvicinarsi della domenica delle Palme e di Pasqua. Gakharia ha dichiarato [en] che avrebbe seguito la funzione di Pasqua in televisione e il ministro della salute, Ekaterina Tikaradze, ha aggiunto che le persone dovevano pregare a casa, poiché “Dio è ovunque”, non solo in chiesa.
Ciononostante, il clero ortodosso georgiano è stato irremovibile, affermando che le funzioni religiose sarebbero continuate. Tuttavia, ha sottolineato il rafforzamento delle linee guida di distanziamento sociale all’interno delle chiese, esortando i parrocchiani ad ascoltare i sermoni all’esterno tramite altoparlanti e ordinando l’igienizzazione dei luoghi di culto. La chiesa è stata meno flessibile sugli altri riti: ad esempio, l’utilizzo di un cucchiaino condiviso per amministrare il vino della comunione durante le messe. “È assolutamente inaccettabile per i membri della chiesa dubitare del mistero del sacramento e dimostrarlo con le loro azioni, come rifiutare di condividere un cucchiaino perché fonte di infezione”, si legge in un comunicato della chiesa rilasciato dopo la riunione sinodale del 20 marzo.
In risposta alla decisione del sinodo, Giga Bokeria, un rappresentante dell’opposizione del partito Georgia europea, ha suggerito alla chiesa di non aspettarsi un trattamento speciale e che le restrizioni si sarebbero dovute applicare allo stesso modo a tutte le istituzioni e a tutti i cittadini [ka].
Pertanto, una parte della società georgiana ha continuato ad attendere la Pasqua con un certo disagio [en]. Il 7 marzo, il teologo ed ex sacerdote georgiano Basil Kobakhidze ha concesso un’intervista a Pirveli TV in cui ha accusato il patriarcato di “fanatismo” nel suo approccio all’epidemia da COVID-19. Kobakhidze, che vive in Francia, ha sostenuto che la chiesa è diventata uno “stato nello stato” e potrebbe contribuire alla diffusione della malattia. Al contempo, ha evidenziato che l’elite politica del Paese e gli alti membri del clero non correvano alcun pericolo, poiché avrebbero avuto problemi nel ricevere cure mediche adeguate.
E sebbene, il 15 aprile, il governo abbia dichiarato un lockdown per quattro delle più grandi città della Georgia (Tbilisi, Kutaisi, Batumi e Rustavi), i preparativi per la veglia pasquale sono andati avanti. Tikaradze ha sottolineato con molta delicatezza che tutti i membri della società georgiana, compresa la chiesa, dovevano condividere le responsabilità con il governo per sconfiggere il virus.
Padre Shalva Kekelia, sacerdote della Chiesa della Trasfigurazione nel distretto di Tbilisi di Vake, ha dichiarato di aver intenzione di creare una struttura temporanea per i fedeli tale che, pur rispettando le misure di distanziamento sociale, avrebbe potuto ospitare 2.000 persone. I fedeli avrebbero potuto rimanere così nella chiesa per la notte, evitando di violare il coprifuoco. Analogamente, il vescovo Iakob di Bodbe, uno dei chierici più influenti della chiesa ortodossa georgiana, ha sottolineato in un’intervista a InterPressNews che la chiesa non aveva ordinato a nessuno di partecipare alle messe e che “i cristiani devono essere responsabili per loro stessi.”
Il 17 aprile, Kobakhidze, in un’altra intervista, ha dichiarato che l’impegno del patriarcato a organizzare grandi funzioni religiose rappresentava una grave minaccia alla salute pubblica. Ma, a quanto pare, a sostegno delle sue parole non si sono schierati solo i detrattori più importanti della chiesa. Lo stesso giorno, 13 religiosi hanno sottoscritto una lettera aperta in cui dichiaravano di rifiutarsi temporaneamente di partecipare alla liturgia [ka]:
Tuttavia, in preparazione del venerdì santo e della Pasqua, il clero ortodosso georgiano ha dato l’impressione di scegliere quali restrizioni seguire. Durante il lockdown in Georgia, la circolazione dei veicoli era vietata dalle ore 12:00. Ciononostante, il 17 aprile il patriarcato ha dichiarato che il divieto non era stato concordato in anticipo con la chiesa, pertanto il clero, i coristi e gli uscieri avrebbero potuto muoversi liberamente in auto per partecipare al culto.
La liturgia pasquale si è svolta così alla presenza di un esiguo numero di fedeli rispetto agli anni precedenti, e molti dei partecipanti erano parenti dei religiosi.
Centinaia di fedeli in tutto il Paese hanno partecipato alla messa il 18 aprile, nonostante gli inviti delle autorità a restare a casa. Nella Cattedrale della Santissima Trinità di Tbilisi, come riporta [en] Reuters, tutti indossavano le mascherine e rispettavano il distanziamento sociale. Il virus ha instillato il terrore in molte persone che si sono rivolte a Dio, ha detto il patriarca Ilia II nel suo discorso di Pasqua. “Non dobbiamo avere paura della tentazione, i cristiani affrontano i problemi con gratitudine e vedono la mano di Dio in ogni cosa… e allo stesso tempo cercano di trovare la soluzione giusta per il problema”, ha continuato il capo della Chiesa ortodossa georgiana.
Pur essendoci stati alcuni casi di religiosi risultati positivi a COVID-19, come un dipendente di una chiesa di Tskneti [en], fuori dalla capitale georgiana, è difficile dire se le preghiere pubbliche ne siano state la causa. Il 5 maggio, Tikaradze, il ministro della salute della Georgia, ha dichiarato che le autorità non avevano ancora individuato alcun “cluster parrocchiale” di casi di COVID-19.
Che i fedeli siano o meno contagiati potrebbe essere irrilevante. Per alcuni georgiani, la reazione della chiesa alle restrizioni anti-COVID imposte dal governo ha rivelato in che modo il clero considera il suo rapporto con lo stato e ci si chiede se le lezioni della pandemia potrebbe provocare una crisi di fiducia sul ruolo della Chiesa ortodossa georgiana nella società.