(da Tiscali News) – Sono gli alieni attorno a noi, quelli arrivati dal mare o dentro un treno o sotto un Tir, aggrappati a tutto quello che è rimasto loro fra torture, bombardamenti, violazioni dei diritti umani, Paesi d’origine finiti nel caos di presidenze politiche fantoccio o di lotte fra predoni armati. Quelli di cui molti leggono le cose che abbiamo appena scritto, concludendo: chi se ne frega, non venire a casa mia a prenderti quello che è mio. E allora, fuor di retorica, più delle parole possono parlare i volti. Quelli protagonisti dei 20 intensi ritratti della mostra Io sono che prosegue fino al 1 agosto al Mudec – Museo della Cultura a Milano. Con le foto firmate da Luisa Menazzi Moretti.
Quando la foto ti guarda
Il progetto fotografico, premiato nel 2017 all’International Photography Awards di New York e presentato al Sarajevo Festival Arts and Politics del 2019, è arrivato dal 1 luglio scorso Milano dopo Matera, Lecce, Napoli, Potenza. Contiene 20 primi piani di uomini e donne le cui vicende sono sintetizzate in un oggetto-simbolo che nel ritratto portano con sé. Un “libro–didascalia”, con titolo e fotografia di copertina, ma dalle pagine non scritte, anticipa a fianco di ogni ritratto le storie personali di ognuno, riportate per intero alla fine della galleria. Un lavoro realizzato in diversi centri della Basilicata nel corso del 2017, con il coinvolgimento di migranti che provengono da sedici nazioni diverse: Afghanistan, Pakistan, Siria, Nepal, Gambia, Nigeria, Senegal, Egitto, Congo, Mali, Costa d’Avorio, Eritrea ed Etiopia. Luisa Menazzi Moretti li ha ritratti in posa, con la stessa tecnica con cui in altri decenni si ritraevano i cittadini della nuova società dello sviluppo. Cambiano, però, volti ed espressioni, che raccontano ora storie diverse dalle illusorie aspirazioni dei protagonisti di quegli anni.
Qui fra noi, eppure non ancora qui
L’impostazione visiva di Io sono indaga sulla questione dell’identità di chi è stato strappato dal posto in cui è nato e diventato persona, per andare altrove divenendo qualcuno che deve lottare per ricominciare ad essere persona. Non più nemico, alieno, minaccia. Migrante. Negli sguardi c’è anche la luce dello straniamento, a metà fra il disagio e una forma di ricerca di sé che è anche espressione di una spiritualità interiore, che va oltre i concetto di religione organizzata. L’autrice Luisa Menatti Moretti ha detto a questo proposito: “Le mie fotografie nascono quasi sempre da un sentimento di nostalgia che provo per qualcosa che sta svanendo, si sta perdendo: le lettere di un uomo giustiziato, le parole di un manifesto stracciato su di un muro, le case di una città che sta scomparendo, lo sguardo in un momento di sospensione dalla vita che sta per riprendere. Le mie foto non vogliono documentare la perdita, cerco di cogliere l’attimo che la precede, che anticipa il distacco finale, vorrei fermare quell’istante in un tempo infinito, rendere quel momento immobile. Poterlo riguardare mille volte”.