(Antonio Salvati di Globalist) – Chi ha a cuore il dialogo interculturale, l’integrazione nella scuola, l’educazione alla cittadinanza non può sottrarsi alla lettura del recente volume curato da Antonio Cuciniello e Stefano Pasta, Studenti musulmani a scuola. Pluralismo, religioni e intercultura (Carocci 2020 pp. 148, € 17). Al centro dell’interesse di questo libro vi è l’islam nelle scuole dei diversi ordini e gradi d’Italia. Dal titolo del volume potremmo pensare che sia desinato ad educatori ed insegnanti.
In realtà, i due curatori ricordano che il paradigma fondamentale che si è affermato per la cittadinanza democratica nelle società pluraliste è quello delle competenze interculturali. Pertanto, non solo nella formazione degli educatori, insegnanti, operatori sociali, ma anche dei cittadini, lo sviluppo delle competenze interculturali diviene sempre più il paradigma attraverso cui leggere la possibilità di vivere insieme in contesti pluralisti e eterogenei.
Da alcuni anni a questa parte in Italia, come in tutta Europa, la questione della presenza musulmana è elemento di accesa discussione politica e sociale; alcuni politici non hanno esitato a parlare di “invasione islamica”, fornendo cifre altamente al di fuori della realtà. Secondo le elaborazioni di Fondazione ISMU (su dati Istat e ORIM), nel 2019 il 53,6% degli stranieri residenti in Italia – pari a due milioni e 815.000 fedeli – professano la religione cristiana (29,7% ortodossi, 18,6% cattolici, 3,5% evangelici, 0,3% copti, 1,5% altri), il 30,1% (un milione e 580.000) quella musulmana, il 2,6% (136.000) sono buddisti, il 2,2% (114.000) induisti, lo 0,9% (49.000) sikh, l’1,1% altre religioni, il 9,6% dichiarano di non professare alcuna religione. I dati ci raccontano che si è ormai consolidata una presenza di musulmani italiani “da generazioni” e le migrazioni hanno certamente a che fare con la crescente presenza di alunni musulmani nelle nostre scuole e con il più generale mutamento antropologico per cui “italiano” non coincide per forza con “cattolico”. Infatti, la prima nazionalità dei musulmani in Italia è quella italiana. Tra l’altro, va ricordato che, a causa dell’arretratezza della legge sull’ottenimento della cittadinanza, a scuola il 64,5% dei 857.729 alunni con cittadinanza non italiana dall’infanzia alle secondarie sono in realtà nati in Italia (secondo dati forniti dal Miur, 2020).
Di fronte a questo quadro, i saggi contenuti nel volume si chiedono quale ruolo possa avere la scuola. Innanzitutto, ribadire – precisano i curatori del volume – “i compiti di integrazione e di promozione della cittadinanza, con una particolare attenzione alle dinamiche interculturali e del pluralismo, attraverso cui superare sia una scelta di assimilazione dei “diversi”, sia un relativismo che elude il confronto e la ricerca di valori comuni. Sarebbe improprio ritenere che l’appartenenza a una data religione possa dar luogo a una categoria specifica di studenti, dato che, come si è detto, i musulmani esprimono culture e lingue molto diverse tra loro”. In questo senso, pensando all’analfabetismo religioso e a stereotipi e pregiudizi alla base dell’islamofobia, “è importante che i docenti si interroghino sugli effetti degli atteggiamenti superficiali o poco attenti alla diversità religiosa nelle loro pratiche didattiche quotidiane, su quel substrato di conoscenza inconsapevole e non soggetta a un vaglio critico che spesso accompagna la vulgata sui musulmani“. Scommettere sull’integrazione e sul ruolo attivo dei giovani musulmani – si legge nell’introduzione del volume – “nella costruzione della convivenza civile, contrastando allo stesso tempo l’analfabetismo religioso degli adulti, non è una risposta ingenua a un problema drammatico; al contrario, permette di connettere l’inclusione sociale ai fattori di rischio, ribadendo che “l’incitamento all’odio, l’islamofobia e la discriminazione nei confronti dei giovani di origine musulmana o delle comunità musulmane in quanto tali (compresi i profughi che arrivano in Europa) rafforzano la radicalizzazione religiosa” (Risoluzione 2103/2016, Consiglio d’Europa)“.
Nel contesto scolastico, quello dell’islam è un tema che non sempre emerge nei curricoli delle diverse discipline, sebbene sia una questione spesso al centro del discorso sia pubblico sia mediatico e politico. Non da ultimo, è un argomento su cui tutti sanno o vogliono dire qualcosa, molto spesso con il rischio di scadere in eccessive semplificazioni, se non stereotipi e pregiudizi. Fatta questa premessa, le domande che bambini e ragazzi, in particolare “di seconda generazione”, di fede islamica che pongono alla scuola italiana possono essere sintetizzate in un desidero, più o meno evidente, di essere riconosciuti nella loro “diversità”. In questa prospettiva Anna Granata, nel suo contributo dal titolo Crescere con l’islam: sfide e risorse delle nuove generazioni, acutamente sostiene: “La scuola è un luogo altro, uno spazio di riconoscimento di sé, ma anche il luogo dove poter costruire una propria identità autonoma, distinta rispetto a quella della famiglia e della comunità”.
Il volume contiene spunti suggestivi al fine di riuscire a interpellare la scuola affinché il tema della diversità religiosa sia affrontato sul piano delle conoscenze. In definitiva, la presenza di fedi minoritarie nello spazio pubblico richiama in modo particolare il decisivo ruolo che la scuola ha nei processi educativi. Senza dubbio, questa presenza coinvolge la discussione sull’educazione religiosa, nella quale una definizione ampia di cittadinanza può trovare conferma, o negazione, oltre a essere una fondamentale occasione per educare al pluralismo culturale e impedendo, per questa ragione, la formazione del pensiero radicale.