Livorno (da Il Tirreno) – Santa Giulia non è una festa come tante altre perché figuriamoci se una città così fuori dalle righe poteva avere una santa come tante altre: non era ancora sparito l’impero romano e mentre il suo vescovo cartaginese “tradisce”, questa ragazza nordafricana si fa ammazzare dagli aguzzini per non rinnegare la sua fede dopo esser finita per caso in Corsica su un barcone naufragato. Ovvio che, in occasione della celebrazione della patrona, la predica del vescovo Simone Giusti parta dall’identikit della santa: un’idea di fedeltà al proprio credo che la porta ad accettare di morire piuttosto che rinnegare Gesù. Però puntare i riflettori sulla patrona è servito al presule per mostrare le ombre dei nostri tempi. Li ha chiamati di “apostasia morale”.
“Al 70-80% si senta di stare all’alveo sociologico di una generica cultura cattolica, ma – dice Giusti – è una appartenenza “light”: in realtà c’è un rinnegamento reale dell’effettiva ispirazione cristiana”.
Il vescovo prende al balzo le parole di papa Francesco per disegnare un’antropologia cristiana che ha a che fare con una nuova mappa di quel “tradimento” che la Chiesa chiama “peccato”. Prima di tutto, mette in fila una serie di peccati “sociali”. A cominciare dal “disimpegno politico che è mancanza di carità”: ricorda che papa Paolo VI e l’intellettuale cattolico Giuseppe Lazzati avevano definito la politica come “la forma più alta della carità”). Guai anche al “ripiegamento intimista” e all’”accettazione dell’ingiustizia sociale che è tradimento del più povero”: sottolinea, così come aveva fatto il Primo Maggio, la “drammatica situazione” dei cinquantenni senza occupazione (“ci vuole un sovrappiù di impegno sociale per garantire il diritto costituzionale al lavoro”).
Ma, di fronte a una santa patrona di origine maghrebina, il sussulto più potente è per contestare il rifiuto del migrante: è “bestemmia del Padre Nostro” (“certo che l’accoglienza bisogna gestirla, partendo però dal fatto che siamo fratelli invece che nemici”). Non basta: parlando della guerra fra Israele e i palestinesi a Gaza, il presule sbotta: “Impossibile uccidere nel nome del Dio di Abramo, Isacco e Giacobbe. Fuori dai fondamentalismi, ci vorrebbe non meno ma semmai più religione per far ritrovare la pace al Medio Oriente. Le tre grandi tradizioni religiose dicono chiaramente: “non uccidere”.
Fin qui i peccati sociali, tuttavia il vescovo riprende anche temi della morale più tradizionalmente cattolica. Declinandoli però in termini anch’essi “sociali”: finiscono nel mirino “i rapporti fuori dal matrimonio, l’adulterio, la convivenza, la rinuncia ai figli” fino all’aborto. Tutti bollati come “inno all’egoismo: l’idea che l’unica bussola esistenziale è “godiamocela”. Giusti se la prende con “la sessualità banalizzata a giochino, magari violentando chi non ci sta”: è una vita “ridotta a lunapark”. Beninteso, la politica deve “creare condizioni favorevoli con servizi e asili nido” ma poi c’è la scelta individuale e invece, secondo stime recenti, “il 32% delle coppie di conviventi ha dichiarato che non vuole figli”.
Dalla cultura francese contemporanea il vescovo pesca l’idea di “collapsologie”: la descrive come una visione catastrofista che fa un moulinex di clima, ambiente e diseguaglianze per pronosticare la fine di tutto. È qui che il monsignore-architetto tira fuori una delle sue filippiche in cui accentua perfino la cadenza pisana perché capisca bene anche chi è poco abituato alla teologia: “Smettiamo di gufarcela, mi raccontano che c’è un boom del consumo di ansiolitici: vogliamo aprire gli occhi sul fatto straordinario che in pochissimo tempo siamo arrivati a creare un vaccino e a usarlo su milioni di persone?”.
Ecco che per Giusti bisogna ritrovare le ragioni della speranza. Torna a insistere sul fatto che la chiave del cristianesimo è la resurrezione di Cristo. Tradotto: “La morte non è l’ultima parola della storia umana”. Per accreditarlo, paradossalmente va a pescare un pensatore di radice protestante e tutt’altro che un allegrone sorridente: “Søren Kierkegaard diceva che Dio è colui per cui le cose restano possibili”. Poi, fuor di filosofia: “Basta con il fatalismo che lascia al palo chi resta indietro: possibile che sappiamo solo dir loro “attaccatevi” e dobbiamo rassegnarci all’arraffa-arraffa dei furbastri? No, non voglio una morale pronto uso da discount: chiedo semmai un nuovo umanesimo”.