(Vinicio Albanesi di Settimana News) – Il discorso di papa Francesco alla diocesi di Roma di sabato 18 settembre 2021 aiuta ad affrontare il cuore della sinodalità nel mondo diventato oramai postmoderno, nel quale è immersa la vita delle parrocchie: da quelle forti e organizzate delle città, fino a quelle periferiche e rurali.
Il soggetto consumatore
La riflessione si fa doverosa perché impegna l’ascolto di culture che, nel breve tempo di qualche decennio, sono profondamente cambiate.
Il popolo di cui parla Francesco è trasformato, almeno nel mondo occidentale. Rileggendo le analisi dei cambiamenti negli ultimi quarant’anni, occorre prendere coscienza che la sintesi culturale della nostra gente è altra.
Dando ascolto ad analisi pertinenti e scientificamente fondate, il soggetto moderno è considerato e strutturato come semplice consumatore.
Sono saltati i riferimenti e le sintesi cristiane, marxiste, liberiste della persona, per tradursi in un consumismo il cui potere è nelle mani di pochi grandi gruppi di intermediazione che, tramite la pubblicità, inducono all’acquisto ossessivo di beni e di merci, senza altri riferimenti. La stessa pubblicità, con i mezzi di comunicazione, stravolge la realtà, rendendola semplicemente visione lontana e irreale.
Si sono dileguati i concetti di persona, di comunità, di dignità. Vengono in mente le parole della Lettera di Giacomo che è stata letta recentemente nella messa domenicale: «Siete pieni di desideri e non riuscite a possedere; uccidete, siete invidiosi e non riuscite a ottenere; combattete e fate guerra!» Un’analisi datata duemila anni fa!
Senza entrare nei dettagli di studi sociologici complessi, è esperienza comune registrare le difficoltà che la proposta religiosa incontra nelle nostre parrocchie per suggerire ascolto e dialogo.
Il papa ne è convinto: “Se la parrocchia è la casa di tutti nel quartiere, non un club esclusivo, mi raccomando: lasciate aperte porte e finestre, non vi limitate a prendere in considerazione solo chi frequenta o la pensa come voi – che saranno il 3, 4 o 5%, non di più. Permettete a tutti di entrare… Permettete a voi stessi di andare incontro e lasciarsi interrogare, che le loro domande siano le vostre domande, permettete di camminare insieme: lo Spirito vi condurrà, abbiate fiducia nello Spirito. Non abbiate paura di entrare in dialogo e lasciatevi sconvolgere dal dialogo: è il dialogo della salvezza”.
Da qui la proposta di un affidamento allo Spirito perché riporti saggezza.
Rimane intatta la domanda sul che cosa fare. Avere fiducia significa essere testimoni di un Dio che ha donato alla terra e all’umanità le occasioni per la visione beatifica del regno di Dio. Quel “lasciatevi sconvolgere” delle parole del papa, al di là di piccoli esperimenti, ha indicato la via di comportamento.
Siamo fermi a 50 anni fa
La nostra organizzazione ecclesiale è ferma sostanzialmente agli anni ’50: liturgia, catechesi, carità, pietà popolare sono rimaste le stesse. Di fronte alle trasformazioni si sono approfonditi i temi della secolarizzazione, della nuova evangelizzazione, della riscoperta della catechesi battesimale: tentativi che si sono dimostrati insufficienti nella realtà che ha annullato antiche sintesi.
Non ci siamo resi conto della velocità delle trasformazioni e – per essere sinceri – non è stata compresa la loro portata. Per due motivi: il primo è consistito nel non avere strumenti di lettura, il secondo nel rimanere fedeli a quanto la liturgia, la morale, la teologia ci avevano suggerito nel dopoguerra. Il problema vero è una nuova visione del mondo enormemente lontana dai comportamenti trascorsi.
Il divario di sintesi religiosa e mondo sociale è diventata enorme.
Al di là dell’opera dello Spirito e della fiducia in Dio, un’indicazione della lettera di papa Francesco che può essere letta è nelle sue parole: «Prima di incominciare questo cammino sinodale, a che cosa siete più inclini: a custodire le ceneri della Chiesa, cioè della vostra associazione, del vostro gruppo, o a custodire il fuoco? Siete più inclini ad adorare le vostre cose, che vi chiudono – io sono di Pietro, io sono di Paolo, io sono di questa associazione, voi dell’altra, io sono prete, io sono vescovo – o vi sentite chiamati a custodire il fuoco dello Spirito?».
L’immagine del fuoco e delle ceneri può aiutare a indicare la via. Occorre coraggio nel mettere mano a una serie di decisioni che appartengono alle ceneri, ma che in realtà nascondono il fuoco.
La riforma della Curia romana, l’aggregazione delle diocesi, le chiese dismesse, la riorganizzazione diocesana, i nuovi gruppi ecclesiali, le giovani e le antiche Congregazioni religiose, gli scandali, l’uso delle proprietà ecclesiastiche sono temi pertinenti al Sinodo.
I ragazzi e le giovani famiglie
Sicuramente non bastano; distinguere il fuoco dalle ceneri non è facile. Eppure è possibile concentrarsi sulle briciole che l’animo umano nasconde e non dimentica. Probabilmente l’opera dello Spirito opera in quelle briciole.
Da qui l’impegno a non aver paura delle circostanze che sono cambiate, ma di restare fermi nella sostanza del messaggio evangelico. Pastoralmente significa rimanere nella verità della fede, non sottolineando eccezioni e contraddizioni.
Soprattutto in due ambiti di impegno che restano significativi: i ragazzi e le giovani famiglie. Di fronte agli adolescenti, i genitori e gli adulti rimangono senza risposte. I loro figli hanno abbreviato le tappe della loro crescita; sono diventati aggressivi, ma anche fragili e facilmente influenzabili. Sono soprattutto “digitali nativi”. Girano il mondo della rete e sono propensi a seguire miti e tendenze.
I nostri oratori sono attrattivi per troppo pochi soggetti: occorre andare a cercare i ragazzi, superare la loro diffidenza, comprendendone linguaggi e atteggiamenti. Si mostrano a chi così agisce, che hanno cuore, generosità e soprattutto apprezzamento per quanti si prendono cura di loro.
Una cultura prima ancora di una religione
Le giovani famiglie interpretano soggettivamente leggi, indicazioni, emozioni, affetti. Hanno bisogno di essere accompagnate, suggerendo responsabilità. Avvertono il loro impegno, anche se non sono ancora decisi di che fare della loro vita. Si avvitano tra i rimpianti della giovinezza e la maturità non ancora raggiunta. È utile accompagnarli, sostenerli, rendersi sensibili alle loro solitudini.
La strada della catechesi è sui grandi temi che pure giovani e adulti avvertono: il lavoro, l’ambiente, l’ecologia, gli affetti, le responsabilità, il mondo.
Di fronte al cataclisma dei cambiamenti, una tentazione è quella di stringersi in gruppi selezionati, piccoli e fedeli, dimenticando “le genti” che rimangono lontane.
Il soggetto della missione della Chiesa è il popolo, con tutte le variabili che esso rappresenta. Se non apparisse come eresia, siamo chiamati a diventare propositori di cultura, prima che di religione.
La nostra fede cristiana ci aiuta ad offrire una visione solare del mondo e delle sue creature: il rispetto, l’universalità, il perdono, la fraternità sono valori che valgono ancora di più nel clima delle apparenze, della bellezza, delle ricchezze. Non per impegno religioso, ma per la storia delle creature. Anche chi è ricco, potente e visibile, ha le sue paure che, guarda caso, si rivelano ancestrali: diventare povero, aver paura della morte.
Il Dio cristiano, rivelato da Gesù Cristo, sarà così cercato, incontrato, voluto bene. È un grave errore persistere nel rappresentare la “verità” di Gesù Cristo suggerendo adesione. Occorre prima di tutto condividere le condizioni di ogni creatura, perché la creatura si disponga a cercare risposte finali che la fragilità delle cose terrene non offre.
Non si tratta di moralismo, ma di un autentico percorso catechetico che parte dalla condizione umana per trovare in Dio la risposta solida e pacificatrice. Si placherà l’esigenza dell’immortalità che solo il Creatore può suggerire, fugando le ansie del futuro dopo la morte.