(Valentina Geraci di Africarivista) – Accennare oggi alla “diversità di genere” spesso vuol dire trascurare tutta una serie di aspetti storici, di evoluzioni e/o involuzioni. Ancora più spesso, è un dar più luce ad alcune aree del mondo e lasciare in ombra altre. L’omosessualità interessa, tuttavia, tutto il globo e non è poi così recente. Ancora prima dell’arrivo dei francesi in Senegal, per esempio, si ricorda nel Paese la presenza di alcuni uomini che, nell’identificarsi con un genere, si allontanavano dalla classica distinzione uomo-donna, ritrovandosi in una sorta di “genere alternativo”. Si tratta dei Góor-jigéen, espressione che tradotta dal wolof indica letteralmente “uomini-donne”. Quel che emerge (e sorprende) da vecchie testimonianze o da letture in merito è l’atteggiamento di consenso e approvazione della società nei loro confronti, che si scontra oggi con stigmatizzazione e chiusura per queste minoranze. Per comprendere meglio dinamiche tanto interessanti, è utile muovere i passi sulle rotte segnate da un passato storico nella speranza di comprendere l’evoluzione dell’omofobia in Senegal. Quali sono infatti le origini? Da cosa derivano le leggi contro le relazioni omosessuali?
L’omosessualità, che dal 1965 è punita in Senegal con il carcere fino a cinque anni, è oggi severamente respinta tanto dai nuclei familiari quanto da confraternite religiose, villaggi e comunità locali. La sola scelta possibile per procedere liberamente e in tranquillità tra vita privata e professionale, per molti membri della comunità LGBTQIA+, è quella di nascondersi e soffocare così nel silenzio manifestazioni molti forti come quelle che hanno alzato la voce nelle piazze di Dakar il maggio scorso.
Omosessualità in Senegal dal pre-colonialismo al periodo neocoloniale
Secondo gli studi dell’antropologo Geoffrey Gorer, riportati nello studio Corpi divergenti, discorsi dissonanti. Rappresentazioni della sessualità tra uomini in Senegal di Dany Carnassale, dottorando di ricerca di Scienze Sociali presso l’università di Padova, i Góor-jigéen godono di personalità coinvolgenti che interessavano il tessuto sociale. Ponendo fede a testimonianze storiche successive, l’accettazione di questo genere “alternativo” sembra ancora esserci. I soli tratti forse meno accettati furono da un lato l’allontanamento da alcuni precetti religiosi e, d’altro canto, la volontà di riprendere alcuni caratteri estetici attribuibili tendenzialmente all’universo femminile, che resero i Góor-jigéen vittime di prime forme di discriminazione più per la mancata maschilità che per l’identità sessuale.
Nel corso dell’epoca coloniale, tanto cambiò per il continente africano. I codici sociali rigorosamente conservatori dell’età vittoriana circolavano allora tra i Paesi europei e, tra i vari aspetti che regolamentavano, vi erano anche i comportamenti sessuali. Le leggi contro l’omosessualità furono severamente applicate e direttamente imposte in Africa tra le proprie colonie. Come spiega Babacar M’Bayenel suo The Origins of Senegalese Homophobia: Discourses on Homosexuals and Transgender People in Colonial and Postcolonial Senegal, gli omosessuali e transessuali in Senegal sono stati, fin dai tempi coloniali, identificati come una sorta di capri espiatori, in risposta alla cosiddetta “missione civilizzatrice” francese.
L’autore ricorda che, anche se hanno sempre coabitato con il resto della società, gli omosessuali e transessuali sono stati trattati in gran parte come stranieri all’interno del loro stesso Paese e anche quando l’Europa iniziò a concedere l’indipendenza alle sue colonie, la maggior parte dei “nuovi” Stati africani mantenne un’architettura politica e sociale di impianto coloniale.
A differenza delle potenze europee che nel corso degli anni hanno cambiato atteggiamento rispetto al tema dell’omosessualità e nei confronti della comunità LGBTQIA+, sorge spontaneo tentare di trovare delle risposte guardando al continente africano. Da quando i singoli Paesi hanno ottenuto l’indipendenza, è ormai passato qualche decennio, allora perché rispetto all’Europa si cammina a due diverse velocità? Una possibile interpretazione è ricollegabile alle scelte dei leader politici e religiosi che hanno marciato sulla possibilità di godere di maggiori consensi, condannando tali minoranze di fronte a un atteggiamento di rifiuto che negli anni è stato comune, spesso alimentato e poi auto sostenuto.
Dalla piazza alla radio: le diverse comunicazioni
Protagonisti delle manifestazioni che hanno interessato le strade di Dakar alla fine del mese scorso sono coloro che si battono contro l’omosessualità dei loro connazionali. In realtà, la manifestazione, organizzata da un collettivo della società civile, è stata pensata con l’obiettivo di promuovere il riconoscimento dei valori e dei diritti umani. Tuttavia, paradossalmente, tra applausi e slogan, alla difesa sperata si promuovono interventi a favore dell’omofobia con la presenza di numerosi manifestanti e con la presa di posizione del governo senegalese contro la legalizzazione dell’omosessualità.
Da queste voci nelle piazze, si sente un eco contrario che prende parola con organizzazioni e singole iniziative. Interessante quella promossa da alcuni attivisti che, cavalcando l’onda del digitale, hanno creato il podcast “Cry Like a Boy”, che si sofferma sulle storie di cinque Paesi africani (tra cui il Senegal) che lottano ogni giorno sul significato da attribuire all’espressione “essere un uomo”, confrontandosi tanto all’interno delle loro società quanto individualmente con la speranza di ottenere l’uguaglianza di genere.
Attraverso reportage e discussioni in studio che riuniscono prospettive africane ed europee, questi appuntamenti esaminano come gli uomini stiano concretamente cambiando loro stessi e le rispettive comunità. Nel caso specifico senegalese, si susseguono incontri che approfondiscono temi come l’identità omosessuale in Senegal, la connotazione più offensiva che oggi è ricollegabile al termine Góor-jigéen, il passato storico e coloniale, la scelta del silenzio e infine i processi di coming out.
Altra iniziativa interessante è quella della Commissione Internazionale per i Diritti Umani Gay e Lesbiche che conserva un archivio di storie sul trattamento dei gay in Senegal, raccontando di arresti, condanne e diritti non riconosciuti a testimonianza delle sofferenze subite da quelle persone che sono poi realmente vittime di crimini d’odio. Un altro esempio è dato dalla rassegna di articoli e ricerche promosse da Il Grande Calibrì, un’associazione di volontariato a favore della comunità LGBTQIA+ con interventi a cura di volontari, studiosi e dell’imam Ludovis-Mohamed Zahed per un confronto sul rapporto tra Islam, orientamento sessuale e identità di genere.
Conclusioni
Oggi, nonostante un passato di accettazione, il temine Góor-jigéeè diventato peggiorativo e offensivo per gli omosessuali. Sebbene il Senegal sia ufficialmente uno Stato laico e siano presenti minoranze religiose rispettate, la comunità LGBTQIA+ è sempre più spesso vittima di attacchi e condanne, verbali e no. Più che la religione, la colonizzazione ha rappresentato sicuramente un passo indietro nel rispetto della diversità e dell’identità di genere e, col tempo, ha creato un vuoto nella memoria storica dei senegalesi.
Tuttavia, situazioni sempre più diversificate su scala mondiale possono essere considerate uno strumento utile anche su scala locale per illuminare lo scollamento tra rappresentazioni dominanti e visioni alternative, beneficiando di potenziali interconnessioni. Nonostante le difficoltà, le comunità LGBTQIA+ in Senegal e in altre zone del continente africano stanno infatti gradualmente acquisendo fiducia in loro stesse, diventando sempre più visibili grazie al digital. Superare confini, siano essi geografici o mentali, vuol dire aprirsi ad un mercato in cui film, podcast, riviste e altre testimonianze incoraggiano una maggiore tolleranza tra le giovani generazioni su scala mondiale. Combattere la discriminazione e i crimini di odio è possibile su più livelli ed è una responsabilità di tutti quella di muoversi e orientarsi verso nuove consapevolezze.