(Pierluigi Fagan di Elzeviro) – Ma le gerarchie sono tante e diversi tipi, ad esempio: anagrafica, sessuale, di genere, di razza, di etnia, di classe o casta, di religione, di aspetto fisico etc. In ogni individuo, queste diverse gerarchie si sommano determinando lo status sociale finale.
Il quadro analitico l’abbiamo definito “ovvio” perché riteniamo che la lettura della storia sociale planetaria (quindi non solo “moderna” e non solo “occidentale”) confermi il fatto che, dalla loro nascita cinque-seimila anni fa), le società complesse si formano in base al principio di gerarchia, prima inesistente o più debole o reversibile. Ma quello che a noi sembra ovvio, per altri non lo è.
Escluso ci sia qualcuno che pensa che le società umane non siano gerarchiche, il dissidio è tra chi ritiene i valori che danno luogo a gerarchie “naturali” e chi “culturali” e tra costoro, tra chi li ritiene frutto di alcuni ordini specifici.
Ad esempio il “capitalismo” sarebbe gerarchico per classe sociale cosa ritenuta “naturale” per i liberali che invece si battono contro le gerarchie di determinazione individuale ad esempio sesso-genere, razza etc. Che in genere fondano quei sistemi di pensiero, ordini che determinerebbero da soli il resto della partizione gerarchica e la sua più o meno problematicità.
L’intersezionalità invece, somma i principi che danno luogo a diversi tipi di gerarchie. Quindi le femministe generiche non definite per etnia pensano che la gerarchia fondamentale (assunta come principio metodologico) sia uomo-donna.
Le femministe nere pensano sia uomo-donna+etnia, le femministe nere lesbiche pensano sia uomo-donna+etnia+orientamento sessuale, quelle nere lesbiche e povere pensano siano uomo-donna+etnia+orientamento sessuale+classe sociale e così via, da leggere al di là dell’ordine con cui le ho riportate. La questione ha rilevanza nell’ambito degli studi sull’eguaglianza-diseguaglianza, in analisi e prognosi.
In prognosi, laddove si ritiene che una partizione sia generativa di tutte le altre. Ad esempio, chi crede che la gerarchia sociale sia determinata dal fattore economico (ricchezza), sarà portato a pensare che, se non risolto, attenuato questo fattore si attenueranno anche tutti gli altri.
Si formano così gruppi culturali e poi politici che combattono l’ineguaglianza una per una, ritenendo quella del loro “principio metodologico”, la prioritaria e generativa di ogni altra.
Ma se invece il “principio di gerarchia” è analitico e non sintetico, se è un portato consustanziale le società da una certa complessità in su (data in primis, dalla semplice dimensione del gruppo sociale), ognuna di queste teorie della diseguaglianza risulterebbe parziale e sottodimensionante il problema.
Ammesso lo si ritenga un problema, i “diseguaglianti naturali” ad esempio, lo ritengono un non problema in quanto fatto naturale e come tale “giusto”. Lo pongo come fatto-problema da discutere, assieme ad un altro.
Qual è la ragione prima dell’esistenza così vasta, longeva e profonda del “principio di gerarchia” nelle società complesse? Si dirà “la differenza con l’Altro”. Laddove l’Altro è differente genera sospetto, è potenzialmente un problema. Ma cosa esattamente dell’Altro genera sospetto, cosa motiva il sentimento di potenziale diffidenza se non paura preventiva del differente?
Il “principio di gerarchia” potrebbe esser un facilitatore sociale, un semplificatore. Bene quelli simili a me, gli altri … è da vedere. I simili a me sono prevedibili, comprensibili, intuibili, gestibili perché ho gli strumenti per relazionarmi con loro (abbiamo cioè la stessa “teoria della mente”), con gli altri non lo so.
Ed in base a ciò potrebbe esser un ordinatore ovvero stabilire le relazioni di potere tra gruppi all’interno del sistema sociale comune, quelli come me stanno su o prima, gli altri stanno giù o dopo. Un “come me” relativo s’intende.
Come cristiani ci intendiamo di più e ci intendiamo di meno complessivamente con i musulmani, ma poi al nostro interno come cristiani ricchi ci intendiamo di più che non con i cristiani poveri o di più tra cattolici vs protestanti o tra cattolici conservatori più che con i cattolici progressisti così via.
La gerarchia avrebbe dunque una funzionalità semplificante e procedurale dei flussi di relazione (potere) nel sistema sociale. Ma sembrerebbe poggiarsi per sostanza, sulla differenza di immagine di mondo. Ogni individuo che è sempre dotato di una identità sfumata e composita (principio di identità complesso), ha una mentalità definita quindi differente con chi ne ha un’altra.
L’appartenenza comune ad un gruppo (a esempio “i maschi” di sesso e genere) dà preventivamente garanzia di condivisione di certe parti dell’immagine di mondo: “abbiamo (più o meno) degli interessi comuni e comuni modi sentire e pensare riguardo certe cose”.
Le società complesse, col loro “principio di gerarchia” avrebbero portato due nuovi problemi. Il primo fu il ridurre la complessità interrelazionale di ognuno con tutti ad una partizione gruppale (quelli come “noi” comandano gli Altri) gerarchica, l’altro il doverlo fare anche per esplosione delle differenti immagini di mondo. Le due cose abbinate ed auto-rafforzanti.
L’argomento è radioattivo e difficile da discutere. Avendo immagini di mondo a volte incommensurabili (senza “misura” comune, basate su differenti principi che danno vita a differenti organizzazioni di pensiero), può mancare il terreno comune per la discussione, ad esempio il significato dei termini e dei concetti oltreché ovviamente dei valori e dei giudizi.
In più, se è poi questa la radice del problema come ipotizzato, la discussione stessa è gravata dalla difficoltà di essere parte del problema stesso. Ma invito a provarci lo stesso.
1) Le gerarchie nelle società sono facilitatori di ordine (chi ha diritto di comandare chi)?
2) Si basano su condivisioni di immagini di mondo (quelli che sono come noi, la pensano come noi)?
A Voi le parole, fatene buon uso.