da “Le Monde” – Il mondo sta impazzendo. Le parole padre e madre saranno soppresse dal codice civile. Queste due parole che condensano tutte le differenze, poiché portatrici sia della differenza dei sessi che di quella delle generazioni, scompariranno da ciò che codifica la nostra identità. Bisognerebbe essere sordi per non sentire il soffio giovanilistico che percorre tutto questo.
Il colpo di scopa ideologico capace di rovesciare secoli di uso e di sopprimere le parole alle quali dobbiamo la trasmissione della vita evidentemente si basa su ambivalenze inconsce molto arcaiche, e ampiamente condivise, per avere la minima possibilità di imporsi e… ben presto di fare la legge. Questa violenza, deflagratrice, non è certo solo il fatto di una minoranza di omosessuali che richiedono il matrimonio. Senza eco collettiva del problema della perdita o del rifiuto di qualsiasi punto di riferimento trasmesso, questa violenza avrebbe suscitato nel migliore dei casi la risata o il disagio, non la soddisfazione pura e semplice. Questo avvenimento è tuttavia portato avanti da una ultra-minoranza, con il ricorso indispensabile di un linguaggio che è la rovina del pensiero: il politicamente corretto.
Questo diniego della differenza, “una donna è un uomo”, Freud lo chiamava diniego della castrazione. Ciò significa, nel gergo psicanalitico, che la castrazione non esiste, basta che io la neghi mentalmente perché la sua esistenza reale sia rifiutata. Quando un licenziamento diventa un “piano sociale”, ci sentiamo a disagio. Quando un “pallone” diventa un “referente rimbalzante” ci chiediamo se stiamo sognando. Quando il “matrimonio” diventa “una discriminazione legale contro i cittadini fondata sul loro orientamento sessuale”, cominciamo ad aver paura.
Politicamente corretto: il discorso deve essere cortese, senza alcun taglio drastico. La “levigatura” della forma, oggetto di una sorveglianza ideologica puntigliosa, maschera il terrorismo che fa regnare e che porta ad un’ “etica” dell’odio e della confusione, in nome del bene liberato da ogni negatività… cosa che l’umanità non è. La rivendicazione del matrimonio omosessuale non costituisce una richiesta da soddisfare, ma un sintomo da decifrare. Che cosa significa che il matrimonio disertato sia reinvestito sotto forma di parodia? Si tratta di dargli il colpo di grazia? O che questo posto non sia lasciato vuoto? Che cosa significa infine l’identificazione dei politici e dei media a tali sfide, quando ci sono tanti problemi che richiedono la nostra vigilanza?
Da un lato, secoli e secoli di uso, che fanno sì che matrimonio e alleanza di un uomo e di una donna siano una cosa sola. Dall’altro, la rivendicazione di una minoranza di attivisti che sanno parlare il linguaggio che si desidera sentire oggi: quello dell’egualitarismo ideologico, sinonimo di indifferenziazione. E maneggia efficacemente il ricatto dell’omofobia, che impedisce di pensare. Non spetta agli Stati adeguarsi alle provocazioni di alcuni ideologi che parlano una lingua confusa, ma con violenza, sbalordendo o terrorizzando i loro obiettori con dei sofismi. Ancor meno dare a queste provocazioni una forma istituzionale.
La lotta contro l’omofobia, indispensabile, è una cosa. L’organizzazione giuridica dei rapporti tra gli omosessuali che lo desiderano è un’altra. Ma la destituzione delle istituzioni da parte di quegli stessi che sono incaricati di elaborarle è ancora un’altra cosa. Lì sta la difficoltà di pensare il problema del “matrimonio omosessuale”: una difficoltà che mescola una problematica legittima ad un attacco istituzionale selvaggio che mobilita le forze più arcaiche. Che i governi sappiano ciò che fanno: non ci si impone al linguaggio altrimenti si vendica. Devono scomparire anche le parole uomo e donna? Dobbiamo smettere di tener conto del sesso in diritto, se non per abolirlo, almeno per “cacciarlo” in nome dell’uguaglianza, ritenendo che il linguaggio usato sia testimonianza di antichi furori? La nostra generazione continua a superare dei limiti, o a distruggere tutto ciò che li incarna, piuttosto che trasmetterli con la loro parte di insondabilità.
Omosessuali ed eterosessuali non rientrano nella divisione rigida che sembra essere accettata oggi. Tutti condividono lo stesso mondo ed è insieme che sono tenuti ad occuparsi delle istituzioni che strutturano i rapporti tra gli uomini e tra le generazioni. Le distruzioni simboliche sono riconoscibili per la sofferenza che causano ad alcuni, immersi nell’impotenza, consapevoli dell’odio e della distruttività, e che sentono che non si sta argomentando contro una perversione. Si riconoscono anche per la gioia che procurano ad altri, immersi nel trionfo dell’ “onnipotenza” e del diniego della legge. È probabile che il mondo assorbirà questo con indifferenza, che è l’altro nome dell’odio. È perfino a questo che cominciamo ad assomigliare: non più ad un’umanità conosciuta, ma ad un mondo indifferente. Neutro. Neutralizzato.
Monette Vacquin
Jean-Pierre Winter