(da vocecontrocorrente) – I cristiani dicono no alla Legge Zan con una lettera chiara e articolata. Sono diverse le libertà messe a rischio da un’ipotetica approvazione del Ddl ed è per questo che numerose realtà cristiane hanno deciso di dire la propria. Riportiamo qui il testo integrale.
Chiediamo il rispetto delle libertà
Con questa lettera vogliamo ribadire che da cittadini della Repubblica Italiana desideriamo continuare a godere dei diritti inalienabili sanciti nel nostro ordinamento dalla Costituzione. Come Cristiani ci identifichiamo pienamente nella famiglia e nella tradizione evangelica, la quale da sempre riconosce allo Stato la sua funzione di regolazione dei diritti nella società.
Per questo motivo vogliamo ricordare tre articoli della nostra Costituzione, che promuovono quei principi fondamentali sui quali si costruisce il nostro Ordinamento e che consentono di diffondere e propagandare la religione e quindi manifestare liberamente la propria fede senza ovviamente intolleranze né incitamenti discriminatori:
Art.3 comma 1 “Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali”.
Art.19 “Tutti hanno diritto di professare liberamente la propria fede religiosa in qualsiasi forma, individuale o associata, di farne propaganda e di esercitarne in privato o in pubblico il culto, purché non si tratti di riti contrari al buono costume”.
Art.21 “Tutti hanno diritto di manifestare liberamente il proprio pensiero con la parola, lo scritto e ogni altro mezzo di diffusione…”.
Queste premesse ci portano al cuore del nostro discorso in merito al cosiddetto DDL Zan. Pur non condividendo l’impianto generale della legge riteniamo che il vero problema sia nelle molte ombre che si stagliano sulla libertà religiosa. Questo sia per il testo stesso, abbastanza fumoso nei passaggi chiave, che per le potenziali interpretazioni in sede giurisdizionale. In particolare l’articolo 4 recita: Ai fini della presente legge, sono fatte salve la libera espressione di convincimenti od opinioni nonché le condotte legittime riconducibili al pluralismo delle idee o alla libertà delle scelte, purché non idonee a determinare il concreto pericolo del compimento di atti discriminatori o violenti.
L’articolo sembra garantire oggettivamente la libera espressione del pensiero ma la conclusione riporta, in modo chiaro, la questione sul piano soggettivo. In concreto cosa significa “atti discriminatori”, “La definizione della discriminazione è soggettiva? Nel caso fosse soggettiva chi la riconduce all’oggettività, il giudice?”. Facciamo un esempio concreto: leggere il primo capitolo della lettera di Paolo ai Romani in presenza di un omosessuale è un atto discriminatorio? Ai sensi di questo articolo, nel caso il soggetto percepisse la lettura come atto discriminatorio, potrebbe adire le vie legali e troverebbe sicuramente un giudice che intenti l’azione penale. Il risultato sarebbe una sequela di processi con un aggravio sul sistema giudiziario e sulle già esigue risorse finanziarie delle confessioni religiose costrette alla tutela legale dei propri ministri. Senza contare che il tutto finirebbe inevitabilmente dinanzi alla Corte costituzionale per i fondati dubbi di costituzionalità della legge qualora arrivasse alla vigilanza.
Un altro punto controverso che vogliamo rimarcare riguarda l’insegnamento, in riferimento all’articolo 7 comma 3 del DDL, nel quale si prevede l’inserimento eventuale della Giornata nazionale contro l’omofobia, la lesbofobia, la bifobia e la transfobia all’interno dell’offerta formativa scolastica.
Riteniamo che non sia una problema insegnare nelle scuole la tolleranza e il rispetto della persona umana, il quale è uno dei requisiti fondamentali del nostro ordinamento religioso. Il problema sorge quando si vuole imporre un sistema educativo che non tiene conto delle sensibilità del cittadino, anche queste garantite dalla Costituzione all’articolo 30: “È dovere e diritto dei genitori mantenere, istruire ed educare i figli”. Attualmente lo Stato surclassa questa previsione costituzionale della responsabilità genitoriale nell’istruzione, sostituendosi ad essi e, nel caso della “istituzionalizzazione pedagogica” della teoria gender, imponendo modelli educativi che superano il normale concetto “d’istruzione” culturale e civica del cittadino.
Concludiamo questa lettera affermando che le nostre convinzioni si basano sui principi inalienabili dell’essere umano, sottolineando che la nostra azione non vuole essere una contrapposizione tra le ragioni della religione e quelle della politica. Come parte della famiglia evangelica conosciamo direttamente le conseguenze della discriminazione, essendo il nostro percorso dal Medioevo fino alla storia contemporanea, costellato da persecuzioni. Per questo il nostro desiderio è di non vedere nuovamente compromessi, o addirittura non riconosciuti, diritti che sono costati il sangue di migliaia di credenti.
Per queste ragioni:
Difendiamo il pluralismo, come valore della nostra società contemporanea, ricevuto in dote dalla nostra generazione al costo di due guerre mondiali e decine di milioni di morti.
Riconosciamo alle istituzioni il dovere di regolare i rapporti tra i cittadini e, laddove si ravvisino discriminazioni, o peggio ancora violenze di ogni genere, intervenire coercitivamente nelle modalità consentite dalla legge.
Respingiamo con forza l’accusa di bigottismo e o peggio ancora di oscurantismo omofobo, il nostro unico desiderio è quello di continuare a predicare liberamente l’Evangelo della grazia in Gesù Cristo affermando che “Dio ha tanto amato il mondo, che ha dato il suo unigenito Figlio, affinché chiunque crede in lui non muoia, ma abbia vita eterna”.