di Alain Demurger
Articolo tratto dalla rivista
“MedioEvo” n. 174 – luglio 2011
PREGATE E COMBATTETE
Un manipolo di cavalieri, pronunciati i voti monastici, si arma in difesa dei luoghi santi. Nasce l’Ordine del Tempio. L’Ordine dei Tempio non è né una società segreta, né una setta esoterica; è, se così posso dire, un oggetto storico ben identificato, se non proprio ben conosciuto. È il primo ordine religioso-militare creato dalla cristianità occidentale, latina, e romana, nel Medioevo. Il Templare è, innanzitutto, un religioso che pronuncia i tre voti di obbedienza, povertà e castità. Come il monaco, vive secondo una regola; ma, a differenza di questi, che prega e medita all’ombra dei chiostri, il Templare combatte sul campo di battaglia per difendere Dio e la sua Chiesa. Questa novità, l’ordine religioso-militare, è il risultato delle esigenze della crociata e degli sconvolgimenti della società feudale occidentale intorno all’anno Mille, sotto il duplice effetto dello sviluppo del feudalesimo e dei movimento della riforma gregoriana. L’Ordine è nato senza clamore a Gerusalemme, nella Città Santa liberata dai Franchi alla fine della prima crociata (1095-1099). Gli Stati latini formatisi allora (Edessa, Antiochia, Tripoli e il regno di Gerusalemme) devono essere difesi, poiché i Musulmani di Damasco e di Aleppo si sono ben presto riorganizzati; ed è necessario anche proteggere i numerosi pellegrini occidentali che fanno visita al Santo Sepolcro. Bisogna dunque piazzare i propri uomini in questi Stati ed essere in grado di mobilitare rapidamente un’armata, giacché quella non è sufficiente.
LA GUERRA GIUSTA
Così, l’iniziativa di Ugo di Payns e del suo piccolo gruppo di cavalieri (nove secondo la tradizione), nel 1120, è ben accolta dal re di Gerusalemme, Baldovino II. Essi si propongono di formare una milizia che viva secondo una regola religiosa e la cui missione sia di proteggere, se necessario anche con le armi, i pellegrini lungo le strade, ancora poco sicure, che conducono dai porti a Gerusalemme e al Giordano. L’imperativo della difesa degli Stati latini obbligherà ben presto i Templari a superare questa fase difensiva e a partecipare ai combattimenti. Il re Baldovino posiziona Ugo di Payns e i suoi cavalieri nella moschea di al-Aqsa, sulla spianata del distrutto tempio di Salomone. Il nuovo ordine prenderà di qui il nome di “Milizia dei poveri cavalieri di Cristo e del Tempio di Salomone”, che verrà abbreviato in Ordine del Tempio o Ordine dei Templari. Un grande ricovero, che accoglieva i pellegrini cristiani nei pressi dei Santo Sepolcro, fu la culla dell’Ordine dei Cavalieri di San Giovanni dell’Ospitale, riconosciuto nel 1113 da Pasquale II. Puramente caritativo all’inizio, questo si trasformerà, sul modello dei Templari, in ordine religioso-militare. Eguaglierà il Tempio in potenza e i due ordini verranno spesso associati, ma talvolta saranno anche in concorrenza o, dirittura, in aperta rivalità. Dunque, entrando a far parte dell’Ordine del Tempio, si potevano pronunciare i tre voti monastici di obbedienza, povertà e castità, per poi andare a spargere sangue! È una novità, perfino una mostruosità per alcuni. Per capirne il senso, bisogna considerare tre fattori. In origine il cristianesimo era “pacifista”, ma nel IV secolo esso divenne la religione dell’Impero Romano e dovette affrontare il problema della guerra. Sant’Agostino prima, Isidoro di Siviglia più tardi hanno così definito un concetto di guerra compatibile con l’ideale cristiano: è giusta ogni guerra decisa da un’autorità legittima e che miri alla difesa da un aggressore, o a recuperare un bene di cui questi si sia appropriato. La crociata è una guerra giusta perché è giusto riprendere Gerusalemme all’Islam che l’ha fatta sua con la forza. Quelli che conducono questa guerra santa diventano i nuovi soldati di Cristo. Dopo l’anno Mille, in Occidente una potente classe di signori che unisce ricchezza fondiaria e autorità domina una massa contadina, appropriandosi dei frutti del suo lavoro con l’arbitrio. Per esercitare questa pressione, ma anche per lottare tra loro, i signori ricorrono a specialisti dei combattimento a cavallo, i cavalieri. Si tratta di uomini liberi che sviluppano, a poco a poco, un’etica e una cultura che si impongono a tutta la classe dominante. Al tempo stesso si delinea la teoria delle tre funzioni o dei tre ordini: la società voluta da Dio è divisa in tre ordini gerarchici e solidali, quelli che pregano, quelli che combattono, quelli che lavorano. Al movimento, che ha preso il nome da papa Gregorio VII (1073-1085), si fa riferimento per la lotta contro gli abusi del clero e la volontà di sottrarre la Chiesa all’influenza dei potere laico; la riforma gregoriana, in realtà, va ben oltre, e coinvolge l’insieme della società cristiana: ciascuno per quanto lo riguarda deve agire secondo la volontà di Dio. La Chiesa accetta il guerriero a condizione che egli si renda migliore e rinunci alla violenza cieca, immotivata. Se la “Pace di Dio” già proteggeva i poveri, quelli che non avevano i mezzi per difendersi, la “Tregua di Dio” proibisce ai cavalieri di battersi in determinati giorni (domenica, feste religiose, ecc.). Sotto pena di scomunica. Ma la Chiesa va anche più lontano: esortando i cavalieri a partire per la crociata, per liberare la tomba di Cristo e combattere gli infedeli, essa indirizza la violenza verso una giusta causa e offre alla cavalleria una via di salvezza compatibile con il suo genere di vita. Poiché la crociata ha come fine la presa di Gerusalemme e dei luoghi santi è giusto, come dicevamo, difenderli: la creazione dei Templari, ordine religioso-militare, risponde a questo obiettivo. Questa novità non fu accettata da tutti, e perfino in seno al nuovo Ordine dei Tempio ci furono dubbi sul valore di un impegno di tal genere. Ugo di Payns venne allora a cercare in Occidente la legittimazione della sua iniziativa. Il papato la approvò; un concilio riunito a Troyes nel gennaio dei 1129 convalidò la regola del nuovo Ordine. E San Bernardo di Chiaravalle, la più alta autorità spirituale della cristianità, presente a Troyes, redasse, su richiesta dei Templari, il suo Elogio della nuova milizia, per esaltare la missione di questi nuovi cavalieri di Cristo. Quando, durante il 1129, Ugo di Payns ritorna in Terrasanta con un centinaio di combattenti, lascia dietro di sé, in Occidente, le fondamenta di quella rete di case di Templari che forniranno ai confratelli impegnati in Oriente quanto necessario per compiere la propria missione. Inizia la grande avventura dell’Ordine dei Tempio.
SCORTA Al PELLEGRINI, GUARDIA ALLE FORTEZZE, AZIONI DI COMMANDO. SEMPRE PRONTI A COMBATTERE, DA VERI PROFESSIONISTI DELLA GUERRA
Molto presto i Templari vanno oltre la missione di protezione dei pellegrini e iniziano a partecipare ai combattimenti per la difesa degli Stati latini. Gli occidentali hanno importato il proprio sistema militare, fondato sull’obbligo di servizio dei titolari dei feudi, dai Paesi di origine, adattandolo alle particolari condizioni dell’Oriente latino, dove la guerra è un dato costante. Il cavaliere è il combattente per eccellenza, ma egli non è un professionista della guerra: l’attività bellica è “stagionale” (primavera ed estate) e non occupa tutta la sua vita. L’Ordine dei Tempio è la prima istituzione che fa la guerra “a tempo pieno”. La sua regola contiene nella seconda parte i Retraits (Capoversi), indicazioni precise che ne fanno un vero e proprio regolamento militare. Bisogna ricordare la distinzione fondamentale proposta dallo storico francese Georges Duby tra guerra e battaglia. La guerra è fatta di colpi di mano, imboscate, paesi rasi al suolo. La battaglia è un coinvolgimento totale: si vince o si perde tutto, poiché è un giudizio di Dio. Essa è rara in Occidente, un po’ meno in Terrasanta, dove può esser provocata più facilmente. Lo spirito della crociata e della guerra santa, il disprezzo di una morte che spalanca le porte del Paradiso e la fiducia nel giudizio di Dio spiegano in modo chiaro il maggiore ardimento – o addirittura la temerarietà! – del combattente franco in Oriente. Non facciamone comunque una regola. Grazie all’esperienza maturata, i latini d’Oriente e i fratelli degli ordini militari hanno saputo in genere moderare i loro ardori di crociati.
LE FORZE DELL’ORDINE
I combattenti franchi, spesso inferiori di numero, dispongono, con la cavalleria, di una forza di impatto senza uguali nei confronti dei loro avversari musulmani, a condizione di utilizzarla al momento giusto e su un terreno favorevole. Ma, perché questo avvenga, sono necessarie costanza e disciplina. L’Ordine del Tempio è in grado di mobilitare in Oriente un corpo di cinquecento cavalieri. Ben protetto da una cotta di maglia e da un’armatura, fornito di elmo, abile nel maneggiare scudo, lancia e spada, con a disposizione numerosi cavalli, tra cui uno robusto da guerra, il cavaliere del Tempio, assistito da valletti e palafrenieri, combatte in uno squadrone chiamato échelle, al comando del Maresciallo dell’Ordine. Al momento giusto, quando è lanciata la carica, i sergenti, armati in modo più leggero, gli prestano manforte. Fronteggiando i ripetuti attacchi degli arcieri a cavallo nemici, i Templari hanno sviluppato corpi di arcieri e balestrieri così come una cavalleria leggera di “turcopoli” (turcoples o turcopoles), che cioè combattono alla turca, guidati dal “turcopolerio”. I Templari si impegnarono in diversi generi di combattimento. In battaglia, naturalmente, sono tutt’uno con l’armata dei re, spesso rinforzata dall’apporto dei crociati, ma i cronisti del tempo sanno ben distinguere le truppe: <Tutti i cavalieri di Terra Santa, tutti i combattenti dell’Ordine dei Tempio, gli Ospitalieri, i Teutonici>, si trova scritto a proposito della sconfitta di La Forbie nel 1244. Essi hanno condotto anche delle cariche a cavallo, vere e proprie operazioni di commando, contro le forze musulmane. Ma il principale compito dei Templari è di proteggere e questo appare chiaro sia dalla scorta, con un corpo speciale di dieci cavalieri, dei pellegrini che si recano al Giordano, sia dalla guardia assicurata da cavalieri in ordine sparso, quando l’armata fa sosta per rifornirsi, o dalle cavalcate in “terra di rischio”, di ricognizione, cioè sul territorio, che la regola dell’Ordine distingue dalla cavalcata in terra “sicura”. Quando l’armata cambia postazione, quando combatte durante la marcia, come accadde nel corso della terza crociata sotto il comando di Riccardo Cuor di Leone, i Templari e gli Ospitalieri assicurano sistematicamente l’avanguardia e la retroguardia, tanto si ha fiducia nelle loro qualità di combattenti. Il troviero Ambrogio, che racconta la terza crociata e gli autori delle cronache della quinta crociata sul campo di Damietta, hanno lodato la rapidità, la disciplina, la coesione dei Templari e dei fratelli degli altri ordini. L’affermazione del vescovo di Acri, Giacomo de Vitry, secondo il quale <è il dovere d’obbedienza che ha abituato i fratelli degli Ordini a rispettare la disciplina militare>, è perfettamente chiarita da quanto accadde nel 1220 nel campo crociato davanti a Damietta, quando un’incursione notturna dei Musulmani fu respinta dai Templari, pronti a mobilitarsi poiché, mentre gli altri dormivano, essi erano già riuniti per la recita del mattutino in una tenda adibita a cappella dell’Ordine. Queste qualità, ma anche il fatto che gli ordini sono in grado di assicurare un’azione militare continua, spiegano perché il re di Gerusalemme, il principe d’Antiochia o il conte di Tripoli hanno affidato agli ordini stessi la guardia delle loro fortezze.
DI GUARDIA ALLE FORTEZZE
La difesa degli Stati latini non si limita a una frontiera. Nel XIII secolo, oltretutto, la frontiera non esiste più ed è più giusto parlare di territori mai collegati gli uni agli altri e di cui alcuni sono addirittura posti sotto la duplice autorità di Franchi e Musulmani. Oltre a essere un rifugio, il castello è il punto di partenza per le offensive, per gli attacchi a sorpresa; ed è anche il centro di un potere politico ed economico. Permette di stabilire un rapporto di forza che consente, tra l’altro, l’imposizione di un tributo alla popolazione; è così che i Templari lo prelevano dalla setta degli “Assassini” di Djebel Ansarieh, nella contea di Tripoli. Nel corso dei XII secolo, i Franchi hanno potuto compensare la loro inferiorità numerica con una strategia di movimento che si a poggiava a una fitta rete di castelli e fortificazioni di ogni tipo. Non sarà più così nel secolo successivo quando i latini sono raccolti sulla difensiva e devono ripararsi in enormi fortezze, di cui il Krak dei Cavalieri (Ospitalieri) fornisce ancor oggi un’imponente testimonianza. Nel corso dei XIII secolo gli ordini militari sono stati spinti a farsi carico di queste fortezze, giacché essi soli avevano i mezzi per proteggerle e sorvegliarle. Essi tengono così delle postazioni saldamente difese nelle città costiere. Nel regno di Gerusalemme, conformemente alla loro missione principale, i Templari hanno punteggiato di castelli le strade percorse dai pellegrini: da Acri a Giaffa lungo la costa, da Giaffa a Gerusalemme, e poi da Gerusalemme al Giordano, si trovano manieri o semplici torri: di Casel Déstroit, di Merle (o Dor), di Castel des Plains, nelle vicinanze di Giaffa; di Chateau Hernault, identificato a Yalu in seguito le scoperte archeologiche del 1967; di Toron des Chevaliers (Latrun), nella valla Ayalon. Lungo la ventina di chilometri che separa Gerusalemme dal Giordano, sono state identificate quattro fortificazioni dei Templari. Nella seconda metà del XII secolo, i Templari risiedettero stabilmente nella contea di Tripoli e in Galilea, dove costruirono o ricevettero dal re ampie fortezze con doppie mura: Safita (Chastel Blanc), La Fève, vasto magazzino di viveri e di armi, nonché luogo difesa; Safed, che fu loro donata da re Amalrico nel 1168. A caratterizzare ancor meglio il ruolo svolto dagli ordini militari nella difesa degli Stati franchi, si sono costituite ben presto delle vere e proprie marche militari, a vantaggio dei Templari come degli Ospitalieri. Alle frontiere del principato di Antiochia e della Cilicia armena, una marca dei Templari costituita tra il 1131 e il 1137, difende l’accesso dal nord del principato stesso, con i castelli di Baghras (il Gaston dei latini), di Roche Guillaume, di Roche de Roissel e di Darbsak. La precocità di questi insediamenti sorprende, ma la si può spiegare con la rivalità che oppone, anche nel principato di Antiochia, latini e Armeni. Compito dei Templari è di ostacolare in un primo tempo (nel 1142) i tentativi di riconquista dei Greci, in seguito quelli di penetrazione degli Armeni. Baghras, presa dal Saladino 1187, poi caduta nelle mani degli Armeni, fu restituita ai Templari solo dopo un lungo conflitto nel quale furono coinvolti, oltre al re di Cilicia e all’Ordine dei Tempio, il principe di Antiochia e il conte di Tripoli. Nel nord della contea di Tripoli, al confine di una zona solidamente difesa che appartiene alla setta degli Assassini, i Templari con Safita e la città costiera di Tortosa e gli Ospitalieri con il Krak dei Cavalieri controllano le strade e le terre coltivate di un vasto territorio e della sua popolazione contadina musulmana. Nel regno di Gerusalemme, dove l’autorità reale nel XII secolo è maggiore, simili marche non hanno potuto costituirsi. Nel XIII secolo, tuttavia, quando il regno è ridotto a una striscia lungo la costa e a poche aree montuose dell’interno, la difesa delle fortezze viene completamente affidata agli ordini militari. L’Ordine del Tempio può, grazie all’aiuto finanziario dei crociati d’Occidente, far ricostruire Safed e innalzare, sulla costa, Cháteau Pélerin (o Castello dei Pellegrini), che nel 1291 rimarrà, con Tortosa, l’ultimo ridotto difensivo in Terrasanta.
STRATEGIA E DISCIPLINA
La regola dei Templari – documento unico nel Medioevo quanto a indicazioni sull’arte della guerra – confrontata con le cronache dell’epoca, dà la misura dell’apporto fornito dai cavalieri del Tempio a quest’arte. Bisogna innanzi tutto insistere sulla solidaríetà tra cavalieri e combattenti a piedi, in particolare durante gli scontri lungo la via; non si rileva mai in Oriente, almeno non in modo così accentuato come in Occidente, il disprezzo della cavalleria per i fanti. Analogamente, lo sviluppo della cavalleria leggera dei “turcopoli” è segno di una comprensione e di un adattamento alla tattica dell’avversario, basata su ripetuti attacchi e fughe simulate. La regola del Tempio fa anche riferimento all’utilizzo di armi turche da parte dei Templari. L’Ordine ha infine sviluppato valori propriamente militari che si possono definire moderni. La regola promuove valori collettivi in un mondo cavalleresco sensibile soprattutto alle prodezze individuali. Fa riferimenti precisi alla disciplina da osservare in convento, sul campo di battaglia, durante gli spostamenti. Sviluppa un’ideologia del coraggio, dello spirito di sacrificio, dei senso dei dovere, dell’orgoglio della bandiera. E lo stendardo dell’Ordine del Tempio, il famoso gonfalone baucent (o baussant, bipartito, riferito al mantello dei cavalli, e che sta dunque a significare l’esser di due colori, bianco e nero), punto di raccolta dei fratelli durante il combattimento o sul campo, è il simbolo della coesione dell’Ordine. Nondimeno si deve sottolineare l’importanza attribuita all’abito. Dopo la perdita della domus, la perdita dell’abito è la punizione più grave che possa spettare a un fratello colpevole di un errore o di una inadempienza alla regola. L’abito, detto anche uniforme, il baucent detto anche stendardo, la cura delle armi e delle cavalcature, la disciplina e l’obbedienza, tutte queste manifestazioni di una “cultura della guerra” che ci sono familiari, sono già esplicite nella regola dei Templari. Che pure è una regola religiosa! L’espressione militia Christi non poteva meglio riunire, nella sua ambivalenza, figure contrastanti quali erano i pugnatores, coloro che facevano la guerra, e gli oratores, coloro che pregavano.
RISPONDEVANO SOLO AL PAPA I POSSEDIMENTI E I PRIVILEGI DELL’ORDINE SI ALLARGANO A MACCHIA D’OLIO IN TUTTO IL MONDO. MA CRESCE ANCHE IL NUMERO DEI NEMICI
L’Ordine del Tempio si procura in Occidente le risorse materiali e umane necessarie per la sua opera in Terrasanta. Dopo i Cluniacensi e i Cistercensi, prima degli ordini mendicanti, i Templari hanno ricevuto doni ed elmosine sotto forma di terre, chiese, rendite. Tutto si deve al viaggio di Ugo di Payns tra il 1128 e il 1129: nella Champagne, in Borgogna, nella Linguadoca le donazioni affluiscono e anche in Spagna, dove la reconquista conosce i suoi primi grandi successi, e dove i sovrani d’Aragona e di Castiglia tentano di coinvolgere Templari e Ospitalieri nelle loro guerre contro l’Islam. In Italia l’Ordine del Tempio ha beneficiato della protezione di San Bernardo, che si è impegnato nella lotta contro lo scisma di Anacleto, sostenendo Innocenzo II, papa legittimo, al concilio di Pisa dei 1135. Egli ha fatto comprendere al pontefice l’importanza di appoggiare un Ordine così concepito; e le donazioni si sono moltiplicate man mano che si è realizzata la “reconquista” di Innocenzo II.
CASE OVUNQUE
A Piacenza, dove l’Ordine del Tempio insedia una delle sue commende italiane più importanti, a Milano, ad Albenga, a Treviso, a Roma, esso è presente già prima dei 1140. Dal 1143, riceve beni a Trani, nel regno normanno di Sicilia. La rete dei Templari italiani si infittirà tra il 1150 e il 1250 – 1260 e non ci saranno praticamente regioni in cui l’Ordine non possieda una domus o una mansione. Sfortunatamente la documentazione non è sempre così ricca come per la Capitanata, dove l’inventario dei beni sequestrati nel 1229 per ordine di Federico II rivela l’esistenza di 37 domus. L’Ordine ha cercato di stabilirsi lungo le grandi vie di comunicazione della Penisola, strade percorse dai pellegrini che si recavano a Roma, ma anche da coloro che erano diretti ai porti d’Apulia, a Venezia o a Genova per imbarcarsi per Gerusalemme. Le sedi dei Templari sono numerose lungo la via Francigena e nei porti di Barletta, Bari e Brindisi. L’Ordine del Tempio, inoltre, è in concorrenza con gli Ospitalieri sul piano dell’ospitalità offerta ai pellegrini, poiché anch’esso gestisce in Italia numerosi luoghi d’accoglienza. In Occidente, è il caso di sottolinearlo, i Templari sono considerati non solo come i difensori del sepolcro di Cristo, ma anche come uomini di preghiera, intermediari tra l’uomo e Dio, tanto più efficaci in quanto essi vegliano per la sicurezza dei luoghi in cui Cristo ha vissuto e sofferto la Passione. L’Occidente si copre dunque di insediamenti templari, riuniti in commende, a loro volta organizzate in balìe e poi in province. La rete, particolarmente fitta in Francia, si stende dalla Penisola Iberica ai Paesi Bassi, alle Isole Britanniche, alla Germania (fino nella lontana Prussia), all’Italia, alla Croazia e all’Ungheria. In Italia, intorno al 1160 vengono create due province: la provincia d’Italia, o di Lombardia, per l’Italia del Nord e del Centro, e la provincia d’Apulia e Sicilia per l’Italia del Sud. I Vespri siciliani dei 1282, separando la Sicilia dal resto del regno angioino dell’Italia meridionale, divideranno la provincia templare, e la Sicilia sarà unita alla provincia d’Italia.
MANEGGIO DI CAPITALI
Non si creda che queste “case” dei Tempio fossero altrettante fortezze inespugnabili. Soprattutto in Spagna, ma anche in Croazia, i Templari possiedono castelli possenti; talvolta anche in Italia, come a San Savinio, nella Tuscia romana. Ma il più delle volte le domus dell’Ordine non sono che case fortificate al centro di un grosso contado, spesso di tipo feudale. Il commendatario dei Templari percepisce da parte dei contadini canoni e corvées (giornate di lavoro), imposte, pedaggi e “diritti di giustizia”, di cui una parte, inizialmente un terzo dei totale, è la responsio che viene inviata in Oriente. Il Templare, in Occidente, è un amministratore attento, preoccupato di trarre dai beni di cui ha la responsabilità il maggior profitto, e pertanto in grado di adattarsi alle circostanze e perfino di introdurre novità. I frutti della terra, i prodotti delle vigne e degli oliveti dell’Italia meridionale vengono per lo più venduti e il denaro inviato in Oriente o usato per l’acquisto di armi e di cavalli. I Templari furono veri e propri banchieri, come lasciano pensare i consistenti trasferimenti di fondi di cui essi si liberano direttamente o attraverso i numerosi pellegrini e crociati che si dirigono in Oriente? Essi hanno anche fatto prestiti, come del resto altri religiosi prima di loro (pensiamo ai Cluniacensi). Ma non si può farne per questo gli inventori della banca, né i più grandi maneggiatori di capitali dell’Occidente medievale: le compagnie italiane furono loro sempre superiori. I Templari non furono altro che una “banca passiva”, perché non bisogna soprattutto confondere – ed essi per primi non l’hanno mai confusa – la gestione dei loro propri fondi con quella dei conti dei privati, ancor meno con quella del Tesoro reale d’Inghilterra o di Francia. I Templari erano abili ed esperti e le loro case erano sicure: si dava loro fiducia; da qui il ruolo svolto in questo campo. I Templari stabilirono il loro quartier generale a Gerusalemme, nella moschea di al-Aqsa, costruita sull’antico tempio di Salomone. In seguito, quando la Città Santa fu perduta (1187), si spostarono ad Acri, dove avevano una sede in riva al mare. A partire dal 1217 viene costruito il possente Cháteau Pélerin – con le sue magnifiche sale in stile gotico e la sua cappella decagonale – che costituisce il vero centro dell’Ordine. Dal 1291 fino alla loro soppressione, avvenuta nel 1312, i Templari fecero di Cipro il fulcro delle proprie attività, mostrando così di non voler abbandonare la Terrasanta. La regola dell’Ordine, completata dai Retraits e poi da numerose norme disciplinari, ne precisa l’organizzazione. Alla testa c’è un Maestro, coadiuvato da un Consiglio e da un certo numero di dignitari, i più importanti dei quali sono il Siniscalco, che fa le veci dei Maestro, il Maresciallo, vero e proprio Capo di Stato Maggiore, il “turcopoliere”, che comanda la cavalleria leggera. Dal XIII secolo, uno e in seguito due ispettori generali rappresentano il Maestro in Occidente. Le commende sono regolate da un commendatario (praeceptor in latino); le province sono dirette da un Maestro.
TUTTO “IN FAMIGLIA”
Quanto ai “fratelli” templari, come si è soliti chiamarli, essi costituiscono un “popolo” diversificato. I cavalieri sono gli unici ad aver diritto di indossare il bianco mantello dell’Ordine; i sergenti d’armi combattono ugualmente a cavallo; i cappellani sono i sacerdoti dell’Ordine e non possono combattere in quanto hanno ricevuto gli ordini sacri. Queste tre categorie si riuniscono nei “fratelli di convento”, che hanno fatto voto di obbedienza, castità e povertà. Si aggiungono inoltre alla grande famiglia templare i “fratelli di mestiere”, indispensabili per le attività economiche e in particolare agricole, dell’Ordine, molto simili ai “conversi” dei Cistercensi; e tutti coloro che desiderano, in un momento o in un altro della propria vita, aiutare i Templari e dividere i propri beni spirituali e materiali senza per questo pronunciare i voti: i confratelli dei Tempio, numerosi in Aragona e in Catalogna, o coloro che, come l’inglese Guglielmo il Maresciallo, avevano fatto voto di indossare il bianco mantello in punto di morte, per beneficiare del privilegio di essere sepolti nel cimitero dei Templari. La bolla Omne datum optimum, dei 1139, conferì all’Ordine dei Tempio privilegi importanti, sempre confermati in seguito. L’Ordine era posto direttamente sotto l’autorità diretta del papa e totalmente esente dalla giurisdizione dei vescovi; sui raccolti delle commende templari non venivano prelevate decime; i Templari potevano essere scomunicati solo dal pontefice e le loro chiese non erano soggette a un eventuale interdetto lanciato su una regione o una città. Di questi stessi privilegi godevano, d’altra parte, gli ordini mendicanti e gli Ospitalieri. Essi provocarono (i privilegi in quanto tali, ma anche il comportamento dei privilegiati!) l’ira dei clero secolare (i vescovi della Terrasanta protestarono ufficialmente nel 1184) e virulente critiche da parte degli scrittori satirici e moralisti dei tempo: Mattheo Paris lo storico, jacquemart Gélée, l’autore di Renart le Nouvel, Gervais du Bus che scrisse il Romon de Fauvel, furono severi con i Templari ma, a essere obiettivi, anche con gli altri: Ospitalieri, Cistercensi e mendicanti dei vari ordini.
UN GRAN BRUTTO AFFARE NEL 1307 IL RE Di FRANCIA SFERRA L’ATTACCO CONTRO I TEMPLARI. PROCESSATI COME ERETICI, IN MOLTI PAGHERANNO CON LA VITA
Per ordine dei re Filippo IV il Bello, il 14 ottobre 1307 tutti i Templari del regno di Francia furono arrestati. Per la prima volta un sovrano laico accusava un ordine religioso potente, posto direttamente sotto la tutela del papa. Ricercando nella vicenda stessa dell’Ordine le ragioni della sua caduta, gli storici si sono trovati spesso di fronte a tre scogli: aver isolato l’Ordine del Tempio dagli altri ordini religiosi; aver accettato passivamente l’idea della sua impopolarità; aver trascurato i dati dell’affaire du Temple fuori della Francia. L’affaire ha avuto inizio negli anni immediatamente precedenti all’arresto dei cavalieri. Non prima. La caduta di Acri (1291) pone fine all’esistenza degli Stati latini d’Oriente. Ci si interroga sulla validità della crociata; ci si interroga sulle responsabilità dello scacco e le si attribuiscono agli ordini militari, che alcuni accusano di non aver saputo difendere la Terrasanta, impegolati com’erano nelle loro rivalità e nelle loro beghe interne. Già prima del concilio di Lione (1274) si pensava a fondere Templari e Ospitalieri in un solo ordine. I Templari erano contrari. I poteri laici anche: è il re d’Aragona che far fallire il progetto a Lione. In questione, infatti, c’è sia la genesi dello Stato moderno sia l’affermazione delle monarchie nazionali in Francia, Inghilterra, Castiglia e Aragona. I re, che aspirano a stabilire in modo indiscusso la propria sovranità, sono ostili alla Chiesa e all’autorità pontificia. Il conflitto è particolarmente vivo fra il re di Francia Filippo il Bello e papa Bonifacio VIII. Il re, nel 1303, non arriva forse a far arrestare il pontefice nella sua residenza di Anagni? Un papa accanto al quale vegliavano due cubicolari, uno dei Templari, l’altro degli Ospitalieri. Gli ordini religioso-militari si possono considerare come gli strumenti più fedeli del papato.
SOTTO ACCUSA
L’occasione si presenta nel 1305, quando il re e i suoi consiglieri ascoltano le voci malevole diffuse sull’Ordine da un avventuriero, Esquieu de Floyran, e ne informano il nuovo papa Clemente V. Quando questi nel 1307, nella speranza di organizzare una crociata, convoca a Poitiers, dove risiedeva, i capi degli ordini militari, Giacomo de Molay, Maestro dei Templari, indignato per le calunnie diffuse sul suo Ordine, chiede al papa di aprire un’inchiesta. Siamo nell’estate dei 1307. Da parte sua, il re di Francia, che si è persuaso della veridicità delle accuse mosse all’Ordine del Tempio e che teme l’insabbiamento dell’inchiesta pontificia, risolve la questione facendo arrestare i Templari. Si giustifica con i sovrani europei affermando che ha agito come difensore della fede; e li invita a fare come lui. Che cosa si rimprovera ai Templari? Di essere eretici, blasfemi, di rinnegare Cristo, di riunirsi segretamente, di dedicarsi a pratiche sessuali contro natura, eccetera. Niente di nuovo. Queste accuse fanno parte del bagaglio antieretico costituitosi nel corso del XIII secolo: gli uomini dei re hanno giocato le stesse carte contro Bonifacio VIII. Tra l’ottobre e il novembre 1307, i Templari imprigionati a Parigi (sono 138) con a capo il Gran Maestro Giacomo de Molay, confessano tali crimini. I sovrani europei che, come il papa, non credono alle accuse, sono sconvolti. Il papa, per riprendere in mano la situazione, ordina l’arresto di tutti i Templari; i grandi d’Europa obbediscono. Mentre viene stilata una lista di 127 accuse, con la bolla Facians misericordiam del 12 agosto 1308 si avvia la procedura per giudicare i Templari e il loro Ordine. Si tratta di un processo per eresia, condotto secondo le regole dell’inquisizione, per la quale l’uso della tortura è lecito. I Templari confessarono generalmente quattro colpe: il rinnegamento di Cristo e lo sputo sulla Croce <di bocca e non di cuore>; l’assoluzione dei peccati impartita dal commendatario, che non è un sacerdote; il consiglio dato di sfogare con l’omosessualità l’eventuale eccitazione dei sensi; lo scambio di baci osceni al momento di entrare nell’Ordine. Ognuna di queste pratiche era individualmente plausibile nell’Ordine del Tempio come in qualsiasi altro senza per questo mettere in causa l’Ordine stesso (la regola infatti condannava l’omosessualità). Queste confessioni furono ottenute in Francia (dove la tortura venne largamente impiegata) e nei Paesi che ne subivano l’influenza, ma non altrove. Ciononostante il re di Francia sembrava aver vinto.
BRUCIATI SUL ROGO
In ogni Stato o, in Italia, nelle province ecclesiastiche, delle commissioni pontificie dovevano giudicare la colpevolezza dell’Ordine. In Francia, a Parigi, il re lascia senza alcuna preoccupazione che la commissione convochi i Templari che intendono difendere l’Ordine. La loro partecipazione è bassa, all’inizio, ma, a partire dal febbraio 1310, è un maremoto: più di 600 Templari ritrattano le proprie confessioni e difendono l’Ordine. La reazione dei re è violenta: il 10 maggio 1310, a Parigi, 54 Templari vengono bruciati come eretici. La resistenza dei cavalieri del Tempio è spezzata di netto. Fuori della Francia le cose andarono diversamente. In Inghilterra, a Roma, a Firenze, nel regno angioino di Napoli, i Templari che “si ostinarono nell’errore” furono imprigionati. Nella provincia di Ravenna, di contro, furono semplicemente assolti. In Aragona essi si difesero e resistettero nei loro castelli. Negli altri Stati spagnoli, e in Germania, non ebbero noie di alcun genere. È con il concilio ecumenico, che si apre a Vienne il 16 ottobre 1311, che ritorna la preoccupazione di decidere sulla sorte dell’Ordine. I capi di accusa sono così poco convincenti che una buona parte dei Padri del concilio non è disposta a condannarlo. Papa Clemente V, malato e sottomesso alla pressione del re di Francia, vuole concludere la questione, e il 22 marzo 1312, con la bolla Vox in excelsio, decide la soppressione provvisoria, ovvero senza giudizio né condanna, dell’Ordine. I suoi beni, sequestrati dai poteri laici, verranno trasferiti agli Ospitalieri. Per chiudere l’affaire restavano da giudicare i quattro dignitari dell’Ordine, prigionieri a Parigi. Tra questi, Giacomo de Molay, Maestro dei Templari dal 1293. De Molay si era rimesso al giudizio del papa. Il quale, nel 1314, non fa altro che inviargli una commissione di tre cardinali per notificargli una sentenza di carcere a vita. Sentendosi tradito, in un ultimo sussulto, ammirevole ma vano, de Molay allora si rivolta, difende l’Ordine e ritratta tutte le sue confessioni; Geoffroy de Charney, Maestro di Normandia, fa lo stesso. Era il 18 marzo 1314. La sera stessa essi salirono sul rogo. Senza alcuna esitazione. L’Ordine del Tempio era eretico? I Templari, e tra questi coloro che sono morti sul rogo (una minoranza), erano colpevoli? No, essi sono morti da cattolici. Filippo il Bello ha certo creduto sinceramente alle accuse a essi rivolte, ma altri all’epoca, pii quanto lui, non ci hanno creduto o sono stati colti dal dubbio, e l’hanno detto, anche prima del concilio di Vienne. Nello stesso modo, non si deve prestare troppa fede alla volontà di crociata di Filippo il Bello. Il nipote di San Luigi in realtà si è servito della crociata, non l’ha servita. Oltre a consentirgli di impiegare per le proprie guerre le decime sulla crociata riscosse al clero, essa è stata per lui anche l’occasione di ribadire la necessità di una riforma degli ordini militari. Nessun dubbio che il “modello” spagnolo degli ordini militari nazionali abbia interessato il re di Francia. Egli non amava gli Ospitalieri più dei Templari, e la loro fusione non lo interessava se non a condizione che il nuovo ordine si ponesse al suo servizio.
UNA QUESTIONE POLITICA
E nella politica del re di Francia, dunque, che bisogna cercare le ragioni del suo attacco contro l’Ordine dei Templari. Al tempo si invocarono anche ragioni finanziarie. Filippo il Bello non arrivava, con le tasse, a procurarsi il denaro per la sua costosa politica di sottomissione dei grandi feudi di Fiandra e di Guienna. Aveva spogliato gli Ebrei, ha spogliato i Lombardi; perché non prendersela con l’Ordine dei Tempio, considerato immensamente ricco (ma ci si sbaglia a riguardo), se l’occasione si dovesse presentare? Si sa che da più di un secolo il Tesoro dei re è gestito dai Templari di Parigi. Filippo il Bello non ha nulla da rimproverare loro a riguardo e, se nel 1295 decide di affidare la gestione di questo Tesoro a dei banchieri fiorentini, i fratelli Guidi dei Franzesi, è perché spera di ottenere da loro crediti consistenti. Il che non accade. Ancora di più, Filippo il Bello vuole “nazionalizzare” la gestione delle sue finanze. Non vuole dipendere da organismi autonomi, stranieri come gli italiani, o internazionali, e per di più legati al papa, come i Templari. Nel 1303 egli riconsegna il suo Tesoro ai Templari, ma sono ora degli ufficiali reali, reclutati tra gli uomini d’affari delle città di Francia, e di Parigi in primo luogo, che ne supervisionano la gestione. Si potevano fermare gli italiani senza troppe precauzioni. Per sbarazzarsi dei Templari erano necessarie altre giustificazioni. Esquieu de Floyran ha fornito un buon pretesto: l’eresia. Per esser più chiari, ai miei occhi il processo all’Ordine del Tempio è un processo politico la cui spiegazione va ricercata nell’affermazione dello Stato di fronte al potere pontificio. Gli altri re europei non hanno creduto alla colpevolezza dei Templari; essi hanno pertanto utilizzato l’affaire per rinforzare il proprio potere alle spalle della Chiesa. Non dimentichiamo inoltre che, dopo Anagni, Filippo il Bello cerca di distruggere la reputazione di papa Bonifacio VIII. l’affaire dei Templari va nella stessa direzione. Fornisce un ulteriore mezzo di pressione su un papa, Clemente V, che infine sceglierà di sacrificare l’Ordine per salvare la memoria di Bonifacio VIII.
CACCIA ALLE STREGHE
I Templari, a differenza di molti altri ordini, Ospitalieri, Carmelitani, eccetera, non hanno cercato di attribuirsi un’origine antica e prestigiosa. Tutt’al più alcuni hanno creduto che San Bernardo fosse il loro fondatore. Non si può naturalmente prevedere cosa sarebbe avvenuto se il Tempio non avesse conosciuto una fine così brutale. Ma questa è comunque la causa principale del suo seguito crescente fino a oggi. Leggende, miti, sette: i seguaci dei Templari sono numerosi, alcuni simpatici, altri francamente inquietanti. Al concilio di Vienne, l’Ordine venne soppresso, ma non condannato, e i suoi beni trasferiti agli Ospitalieri. Quanto ai Templari, la maggior parte si riconciliarono con la Chiesa e, poiché i loro voti erano perpetui, si ricongiunsero ad altri conventi, tra cui quelli degli Ospitalieri. Nel regno di Valenza (corona aragonese) e in quello portoghese tuttavia le cose andarono in maniera diversa. I sovrani ottennero da papa Giovanni XXII che i beni del Tempio fossero attribuiti a due nuovi ordini, l’Ordine di Montesa a Valenza e quello di Cristo in Portogallo, gli unici a poter essere storicamente considerati eredi dei Templari. Tutto il resto è fantasia. Ma se lo storico rifiuta la favola, non può impedire a nessuno di inventarsi delle filiazioni prestigiose. Non si fa più, però, la storia dell’Ordine del Tempio, ma la storia della Massoneria francese templare, o del neotemplarismo. Non siamo più nel contesto delle crociate, ma in quello dell’illuminismo o delle paure e delle frustrazioni della società, senza valori e senza futuro, della fine del secondo millennio. Tentiamo di vederci chiaro. Dopo la scomparsa dell’Ordine Templare, all’inizio dei XIV secolo, cronisti e pubblicisti si sono interrogati sulla colpevolezza o meno dei Templari, e sulle cause della loro caduta così come sulle ragioni dei re di Francia e dei papa. Una maggioranza accettò la tesi della colpevolezza pur prendendo anche in considerazione l’avidità dei re; ma non mancarono voci divergenti, quella di Dante, certo, ma soprattutto quella di Boccaccio che, nel suo De casibus, testo largamente diffuso e tradotto in francese a partire dal XV secolo, mette sotto accusa il sovrano. Il dibattito prosegue, episodicamente, nei secoli successivi: minoranza perseguitata per alcuni autori protestanti; colpevoli per Pierre Dupuy, difensore della monarchia francese, che pubblica il primo studio serio sul caso, con numerosi documenti scelti ad hoc per confortare la sua opinione; vittime dell’oscurantismo per Voltaire. Su questa corrente storiografica si è innestato, con il De occulto philosophia, l’opera di Agrippa di Nettesheim scritta intorno al 1510, il primo elemento della leggenda “nera” dell’Ordine: Agrippa cerca di giustificare la magia buona, ovvero la magia bianca, contrapponendola a quella malvagia, la magia nera, e pone i Templari tra gli stregoni e gli adepti di quest’ultima. Tesi che conoscerà un certo successo tra i secoli XVI e il XVII che hanno visto scatenarsi la grande caccia alle streghe. Nello stesso periodo prendeva corpo il tema della maledizione lanciata dai Templari.
COMPLOTTI MASSONICI
Nel XVIII secolo, e solo allora, si diffonde la voce della sopravvivenza clandestina dell’Ordine e dunque della continuità della sua esistenza dal 1312. Il tema è sviluppato in alcuni circoli della Massoneria francese. Il cavaliere André Michel Ramsay per primo introduce in Francia l’idea d’un collegamento tra la Massoneria francese e le corporazioni di mestiere medievali da una parte e il tema dell’antica saggezza dei costruttori del tempio di Salomone. Il legame è tra Massoneria e Medioevo, Massoneria e crociate. Ramsay non parla dei Templari. L’idea di un’affiliazione tra l’Ordine dei Tempio e la Massoneria, di una tradizione mantenuta e trasmessa, è introdotta verso il 1760 nelle logge tedesche: i Templari sopravvissuti, per sfuggire alla persecuzione, si sarebbero nascosti nelle logge dei massoni e degli altri artigiani specialmente in Scozia. Mistici e ciarlatani sviluppano questa leggenda in Germania dove si moltiplicano cerimonie e rituali segreti e fantasiosi. Questo provocherà una reazione degli ambienti conservatori, che denunciano i complotti massonici, tanto più viva con l’avvento della Rivoluzione francese. L’abate Augustin Barruel, un gesuita rifugiatosi in Inghilterra, dà a questa teoria del complotto la sua forma più coerente: egli denuncia una lunga catena di macchinazioni “anarchiche” andando dai manichei ai giacobini, passando per tutti gli eretici dei Medioevo, i Templari, Crornwell, e altri ancora. Ma una seconda corrente neotemplare nascerà, in Francia, sotto Napoleone, quella di un neotemplarismo indipendente dalla Massoneria francese, poiché a essa precedente. Nel 1805, il dottor Fabre-Pellaprat ricostituisce l’Ordine del Tempio, dichiarandosi uscito dalla clandestinità in cui la Rivoluzione francese lo aveva costretto a nascondersi, e se ne proclama Gran Maestro. Egli sostiene di aver scoperto il famoso documento, noto come Carta di Larménius, che attesta la continuità dell’Ordine dopo il processo del 1307-1312: Giacomo de Molay, alla vigilia della sua morte, avrebbe trasmesso a Jean Larménius, cavaliere scozzese, i suoi poteri e i segreti dell’Ordine. Questo testo è un falso grossolano, fabbricato da un amico di Fabre-Pellaprat, il dottor Ledru. Per apparire più credibile Fabre-Pellaprat aggiunge una lista di Gran Maestri del Tempio clandestini, da Larménius fino al duca di Cossé-Brissac, massacrato nel 1792, lista nella quale figura il connestabile di Carlo V, Bertrand du Guesclin. Questa è la base fondamentale di tutti i movimenti neotemplari contemporanei. Ci sono dei falsi che non possono trarre in inganno se non coloro che vogliono lasciarsi ingannare. Partendo da essi tutto è possibile: allucinazioni storiche di quanti cercano le proprie radici, organizzazioni caritatevoli, sette occulte e movimenti apocalittici. Decine di associazioni nel mondo reclamano oggi la loro appartenenza al Tempio. Non bisogna confonderle tra loro e soprattutto non bisogna giudicarle alla stregua di frange tragiche dell’Ordine del Tempio Solare che, ahimè continuano a esser protagoniste della cronaca. Lo storico non può che augurarsi una cosa, che non si mescoli l’Ordine del Tempio a tutto questo.
QUESTIONE DI DATE
Lo storico Rudolf Hiestand in un suo articolo del 1988 (Kardinal-Bischof Mattháus von Albano, das Konzil von Troyes und die Entstehung des Templerordens, in “Zeitschrift fur Kirchengeschichte”, 99/1988), ha proposto alcune variazioni sulla cronologia della fondazione dell’Ordine del Tempio. Guglielmo di Tyr, vissuto nella seconda metà del XII secolo, ci dice che l’Ordine del Tempio, nove anni dopo la sua fondazione, ricevette la sua Regola dal concilio di Troyes. Questo avrebbe avuto inizio il 13 gennaio del 1128, e dunque la fondazione dell’Ordine risalirebbe al 1119. Il cardinale Matteo d’Albano, legato pontificio, presente a Troyes, era però in Sicilia ai primi di dicembre del 1127. Hiestand ha dimostrato che era impossibile, a quel tempo, fare il viaggio dalla Sicilia alla Champagne in così poco tempo, se non per mare: ma in inverno non si navigava. E allora? Ci si è dimenticati, egli afferma, che nella Champagne del XII secolo l’inizio dell’anno si faceva coincidere con l’Annunciazione; stando così le cose, il 1128 cominciava il 25 marzo per finire il 24 marzo seguente. Tutte le date comprese tra H l’ gennaio e il 24 marzo del 1128 devono dunque essere trasposte nel 1129 per coincidere con il nostro calendario attuale. Partendo da ciò, Hiestand colloca la creazione dell’Ordine nel 1120, tra gennaio e settembre.
UCCIDERE SECONDO LA REGOLA
I Retraits, che completano la regola originaria dell’Ordine, forniscono una descrizione dettagliata della sua organizzazione militare e delle sue regole di combattimento. In tempo di pace, i Templari compiono missioni di sorveglianza e non sono sottomessi alle stesse regole disciplinari a seconda che siano in terra di pace, ovvero in territorio sicuro, o in terra a rischio, cioè in territorio nemico o mal controllato. <Nessun fratello deve allontanarsi dalla truppa per abbeverare [il proprio cavallo], né per qualsiasi altro motivo senza autorizzazione; e se essi attraversano un corso d’acqua “in terra di pace”, possono, se lo vogliono, far bere i propri animali, a condizione di non scomporre la truppa; ma se essi attraversano un fiume ‘in terra a rischio”, e il portatore del gonfalone [colui che conduce la truppa] passa senza fermarsi, non possono dar da bere ai cavalli senza autorizzazione>: così recitava l’articolo 159. In tempo di guerra, i Templari si riuniscono in échelles, ovvero in squadroni. Ci sono squadroni di cavalieri, di sergenti, e anche di scudieri. La disciplina diventa allora più rigida. Sono previste due situazioni: quella dell’armata in marcia, in colonna e talvolta bersagliata dal nemico su strade strette, e quella della battaglia “sui campi”, dove l’armata può spiegarsi e lanciarsi nella famosa carica di cavalleria: <Quando il convento [l’insieme dei combattenti Templari] è in guerra e i cavalieri procedono in squadrone, uno dei “turcopoli” deve portare il gonfalone e il gonfaloniere deve condurre gli scudieri in squadrone. Se il Maresciallo e i fratelli caricano [si preparano alla carica], gli scudieri che conducono i destrieri [i cavalli da combattimento] devono caricare con i loro signori e gli altri scudieri devono prendere i muli sui quali il loro signore cavalca e devono restare con il gonfaloniere>, recita ancora l’articolo 159. È solo all’ultimo momento, dunque, che i cavalieri montano i cavalli da combattimento, per mantenerli riposati in prospettiva di una carica.
IN SILENZIO, TUTTI A TAVOLA
Per consumare i pasti principali, i Templari si riuniscono nel refettorio. 0, meglio, nelle due o più sale adibite al rito della mensa: regola vuole, infatti, che cavalieri, sergenti e scudieri mangino separatamente. La tavola dei cavalieri è ricoperta da una tovaglia bianca; davanti a ciascun posto, allestite in bell’ordine, figurano una ciotola, una coppa, un cucchiaio e un coltello. La forchetta non c’è, ancora non si conosce. Dopo un corale Pater Noster, i cavalieri si siedono e i servitori cominciano a versare il vino nelle coppe e a far girare le pietanze in grandi recipienti di stagno. Il tutto, in un religioso silenzio rotto soltanto dalla lettura di un brano della Bibbia da parte del confratello di turno. Qualora un commensale desideri ancora del pane, del vino o quant’altro necessario, comunica a gesti prestabiliti di cui il servitore ben conosce il significato. Mai a parole. Carne, verdura, pesce, uova, formaggio o minestra, a seconda dei giorni della settimana o dei periodi di festa o di digiuno, il cibo è sempre più che sufficiente e di buona qualità, pur nulla concedendo al superfluo e al ricercato. La sobrietà, d’altro canto, è uno degli imperativi dell’Ordine, unito peraltro alla più severa parsimonia. Nessuna pietanza va mai sprecata: ciò che avanza dalla tavola viene venduto e il ricavato posto a favore dei cavalieri che combattono in Terrasanta. Solo dopo essersi recati nella cappella a ringraziare il Signore del cibo che ha loro concesso, i cavalieri riacquistano il diritto alla conversazione. Purché seria e moderata, però. Al calar della notte, eccoli ancora tutti riuniti nel refettorio per consumare il pasto serale, più frugale rispetto al precedente, soprattutto per quanto riguarda la razione di vino. La regola non prevede eccessi.
LE TORRI DI SAFED
È difficile immaginare che il castello di Safed (o Zefat), oggi totalmente distrutto, sia stato una fortezza di importanza e di bellezza paragonabili al celebre Krak dei Cavalieri Ospitalieri. Burchard du Mont-Sion, che visitò la Siria-Palestina nel 1285, lo definì <il più bello e il più forte di tutti i castelli che ho visito>. Un primo castello, in mano ai Templari prima del 1168, fu preso dal Saladino e smantellato. Quando, nel 1240, i latini occupano nuovamente la regione, un crociato, il vescovo di Marsiglia Benedetto d’Alignan, prende l’iniziativa di finanziarne la ricostruzione, che durò tre anni. Il castello fu affidato nuovamente ai Templari. A 800 metri sul lago di Tiberiade, aveva una doppia cinta di mura; quella esterna, approssimativamente ovale, contava più di 800 metri di perimetro; fiancheggiata da torri rotonde, era costruita con un sistema a bugna. Un fossato scavato nella roccia la precedeva; un altro la separava da una cinta interna con torri d’angolo quadrate, che la sovrastavano per più di 6 metri. Il donjon, infine, era un’enorme torre rettangolare a numerosi piani con alla base una cappella di forma ottagonale. Controllando una vasta regione, il castello proteggeva una guarnigione di 1700-2000 persone (in maggioranza non combattenti). Esso fu assediato dal sultano d’Egitto Baibars nel 1266, ma cadde solo in seguito a un tradimento Tutti i combattenti furono decapitati.
UNA SITUAZIONE INSOLITA
L’Italia del Sud ha avuto un ruolo essenziale nella strategia delle crociate e nel sostegno alla Terrasanta. Dai porti d’Apulia (Puglia), Barletta, Bari, Brindisi, partono navi cariche di crociati e di pellegrini, ma anche di viveri e di armi per la Palestina. Gli ordini militari, e dunque i Templari, sono stabilmente insediati in queste regioni, e i prodotti delle loro terre, le rendite delle loro commende, sono trasferiti in parte in Oriente con il consenso delle autorità del regno di Sicilia, che accordano le licenze d’esportazione. Federico II, re di Sicilia e imperatore, non ha alcuna prevenzione nei confronti dei Templari o degli Ospitalieri, anche se tende a favorire piuttosto l’Ordine Teutonico che gli è assai devoto. Il violento conflitto che oppone l’imperatore al papato a partire dal 1227 mette Templari e Ospitalieri, alle dirette dipendenze del pontefice, in una situazione difficile. In Terrasanta soprattutto, dove Federico II si è recato per la crociata tra il 1227 e il 1228, benché scomunicato: obbedendo al papa, i Templari e gli Ospitalieri manterranno le distanze dall’Imperatore. In seguito, i rapporti tra Federico II e i Templari si inaspriscono (gli Ospitalieri di contro si riavvicinano a lui) e nel regno di Sicilia i loro beni vengono confiscati. Ciò non toglie che, in particolare in Piemonte, ci siano stati Templari favorevoli all’imperatore, il quale, verso la fine della sua esistenza, restituisce all’Ordine i beni espropriati. Buoni rapporti si stabiliscono nuovamente con Manfredi, erede di Federico II, al punto che i Templari si rifiutano di appoggiare il papa nella sua crociata contro lo stesso Manfredi. La morte di quest’ultimo e il successo angioino porranno fine a una situazione per lo meno insolita. E le navi dell’Ordine, o quelle da esso allestite, riprenderanno a imbarcare mercanzie e combattenti diretti in Terrasanta dai porti della Puglia.
UN CAVALLO PER DUE
Bisogna diffidare dei simboli o piuttosto delle interpretazioni di cui sono oggetto: all’inizio un simbolo è semplice, ma in seguito si fa di tutto per renderlo complicato. Così è accaduto per il sigillo dei Templari, che rappresenta due cavalieri su uno stesso cavallo. Se ne è spesso fatto “il” simbolo dell’Ordine, quando esso non è che “uno” dei suoi simboli. Il Maestro dei Templari disponeva, secondo la regola, della “bolla” che riproduceva sul recto la Cupola della Roccia (il Templum domini dei latini) e sul verso i due cavalieri. Ricordiamo che la Cupola della Roccia, o moschea di Omar, posta al centro della spianata del tempio, non apparteneva all’Ordine, il cui quartier generale era la vicina moschea di al-Aqsa. Quando fu creata la figura dell’ispettore generale, delegato del Maestro in Occidente, il Maestro tenne per sé come sigillo la Cupola della Roccia, e l’ispettore prese la parte con i due cavalieri. I maestri delle province, così come i commendatari, avevano un proprio sigillo: il Maestro d’Italia, ma anche alcuni Maestri d’Aragona, ne adottarono uno che rappresentava un semplice cavaliere. L’ispettore dell’Ordine viaggiava molto e il suo sigillo si diffuse un po’ dovunque. Da allora sono state date interpretazioni diverse del simbolismo di tale sigillo. Per alcuni esso rappresenta la povertà dell’Ordine (va da sé che questa interpretazione non è realistica: immaginate una carica di cavalleria in due sullo stesso destriero!), altri vi leggono un segno di umiltà. A meno che non simbolizzi la solidarietà dei membri di quella famiglia che era l’Ordine, solidarietà che molti cronisti del tempo hanno rilevato nei combattimenti. Nessuna di queste interpretazioni esclude l’altra: povertà, umiltà, solidarietà sono le virtù del monaco, e la regola del Tempio redatta a Troyes le ricorda in tutti i suoi articoli.
IL CORAGGIO DI UN DEBOLE
La storia non è stata tenera con Giacomo de Molay, l’ultimo Maestro dell’Ordine del Tempio (1293-1312), considerato in genere un mediocre. Proveniente da una famiglia della piccola nobiltà di Borgogna, entrò a far parte dell’Ordine verso il 1265. È a Cipro, dove l’Ordine si riunirà dopo la caduta di Acri, che egli viene eletto Maestro. De Molay non ha rinunciato a riconquistare Gerusalemme, e fa di tutto per ottenere aiuti dall’Occidente. Su richiesta di papa Clemente V elabora un piano per questa riconquista, e arriva in Francia nel 1307. Viene allora informato delle calunnie diffuse sul suo Ordine e chiede al papa di aprire un’inchiesta per fare giustizia. Come gli altri Templari è preso del tutto alla sprovvista, dall’azione di Filippo il Bello, e viene arrestato a Parigi il 13 ottobre 1307. Durante i numerosi interrogatori de Molay ha mancato di coerenza, di certo d’intelligenza, forse anche di coraggio. Egli riconosce dapprima alcune delle accuse rivolte all’Ordine, in seguito ritratta le sue confessioni, per poi adottare una posizione che non cambierà più: non parlerà se non davanti al papa. Così rimane in silenzio anche quando, nel 1310, i Templari si levano in massa per difendere il proprio Ordine. E non dice nulla nemmeno allorché, due anni più tardi, il papa lo abolisce. Ma quando, nel 1314, Clemente V, che si era riservato di giudicare personalmente i dignitari del Tempio, si limitò a inviare tre cardinali per notificare a de Molay la sua condanna al carcere a vita, questi si sentì tradito e reagì. Difese l’Ordine e si accusò di debolezza. Ma era troppo tardi, e la sera del 18 marzo 1314 salì sul rogo. Il suo coraggio fece un grande effetto, e la leggenda si impossessò dell’affaire dei Templari.
UN AGUZZINO AL SERVIZIO DEL RE
Guglielmo di Nogaret condusse tutto l’affaire dei Templari. Nato verso il 1260 a Saint-Felix-de-Caraman in Linguadoca, insegnò diritto all’Università di Montpellier. Entrato nell’amministrazione del regno come giudice, svolse la parte principale della sua carriera a Parigi, dove divenne assai presto valido e fedele consigliere per gli affari religiosi di re Filippo IV il Bello. Fu lui che preparò l’atto di accusa contro Bonifacio VIII, e che fu inviato ad Anagni, nell’estate del 1303, per chiamarlo a comparire davanti a un concilio. Scomunicato, Nogaret proseguì nel suo impegno per ottenere la rimozione delle sanzioni ecclesiastiche che lo colpivano e soprattutto per arrivare alla damnatio memoriae del papa. Naturalmente fu anche incaricato di preparare il dossier contro l’Ordine del Tempio, basandosi sulle accuse di Esquieu de Floyran. Prevedendo gli indugi di papa Clemente V, convinse il re a procedere all’arresto dei Templari. Spesso presente agli interrogatori, in particolare a quelli del Gran Maestro Giacomo de Molay, Nogaret ispirava terrore. Egli mise tanto più accanimento in questo processo, in quanto considerava l’Ordine uno strumento al servizio del papa che poteva creare ostacoli al potere reale. Il caso dei Templari offriva a Filippo il Bello e a Guglielmo di Nogaret, i quali continuavano a giustificare le loro azioni contro Bonifacio VIII, un mezzo di pressione notevole su papa Clemente V. Sostituito come consigliere del re da Enguerrand de Marigny, Nogaret rimase comunque guardasigilli fino alla propria morte, sopravvenuta probabilmente nel 1313, prima dell’esecuzione di Giacomo de Molay.
LA MALEDIZIONE DEI TEMPLARI
Sul rogo Giacomo de Molay ha maledetto il re di Francia, il papa e Guglielmo di Nogaret? Le fonti più dirette non ne parlano. Di contro, l’idea che gli ultimi Capetingi, Filippo il Bello e i suoi tre figli e successori, siano stati maledetti, si diffuse a partire da allora, anche se i Templari non hanno nulla a che vedervi. Come dunque si è giunti ad attribuire a de Molay la maledizione dei Capetingi? Stranamente, è nella storiografia italiana che si trovano i diversi elementi che lo spiegano. Per primo, Guglielmo Ventura nel suo Cronicon Astense ci dice che Nogaret fu maledetto da un Templare che veniva condotto al rogo. È Giovanni Villani a raccontare che la sera dell’esecuzione di de Molay furono viste delle persone raccogliere le ceneri e i resti del Gran Maestro, che esse conservarono piamente come reliquie. Ferreto de Ferretis, stabilitosi a Verona alle dipendenze di Cangrande Della Scala, riprende il racconto di Ventura, lo trasforma e lo puntualizza. Secondo la sua versione, è al papa che si rivolge il Maestro dei Templari condannato a morte: <Per il tuo ingiusto giudizio io mi appello al Dio vero e vivente; tu comparirai tra un anno e un giorno con Filippo a sua volta responsabile di tutto ciò, per rispondere alle mie contestazioni e presentare la tua difesa>. Un altro italiano, Gian Battista Fulgoso, ritorna sulla vicenda, adottando in pratica la stessa formulazione, verso il 1400. Che de Molay, sulla strada che lo porta al rogo, o addirittura sul rogo stesso, mentre le fiamme stanno per avvolgerlo, pronunci un discorso, e in seguito lanci una maledizione contro il re e il papa, è storia del XVI secolo. A parlarne sono Bernard de Girard Du Haillan e Franigois de Belleforest nei suoi Grandes Annales, scritti nel 1579. La versione di quest’ultimo ha avuto la meglio.
L’INQUISITORE CHE DISSE DI NO ALLA TORTURE
Arcivescovo di Ravenna e come tale inquisitore per il Nord dell’Italia, Rinaldo da Concorrezzo si occupò in prima persona dell’affaire dei Templari. Questo giurista milanese aveva fatto carriera al fianco di Bonifacio VIII, da cui era stato incaricato, tra l’altro, di tentare di risolvere le controversie tra i re di Francia e d’Inghilterra a proposito della Guienna, nel 1294. Nel 1311 l’arcivescovo presiedette la commissione pontificia, incaricata di giudicare l’Ordine del Tempio in quanto presente nella provincia ecclesiastica di Ravenna, posta sotto la sua giurisdizione. Rinaldo adottò un atteggiamento e seguì una procedura che fecero del processo ravennate l’opposto di quello francese: egli non aveva pregiudizi sulla colpevolezza dei Templari della sua provincia, che pertanto comparirono liberi davanti alla commissione giudicante; non accettò di applicare la tortura e rifiutò perfino di riconoscere alcuna validità alle confessioni ottenute con questo sistema. II risultato fu che alla fine la commissione riconobbe l’innocenza dell’Ordine e la dozzina di Templari chiamati a comparire dovette soltanto sottomettersi a una solenne promessa di penitenza. Papa Clemente V, furioso per il risultato del processo, ordinò all’arcivescovo di riaprire il processo, e di applicare la tortura per ottenere delle confessioni. A differenza dell’arcivescovo di Pisa e di quello di Firenze, che si erano piegati alle richieste del pontefice, Rinaldo rifiutò ancora. Fu sicuramente presente al concilio di Vienne, ma non intervenne. Morì nel 1321.