(Diego Fusaro di Radio Radio) – Curioso davvero il rapporto tra scienza e fake news. Può dirsi scienza quella che liquida come fake news una teoria senza peritarsi di confrontarsi con essa secondo il modus operandi del “provando e riprovando” di galileiana memoria?
Può analogamente dirsi scienza quella che minaccia scomuniche a chi non crede in “x”, dove x sta ora nei vaccini, ora nella genesi del virus a partire dal pipistrello, ora nell’inesistenza di cure efficaci per debellare il coronavirus?
Torniamo per un attimo a Galileo. Ebbene, tutti sanno che la sua visione scientifica fu condannata dal potere dominante o, direbbe Foucault, “dall’ordine dell’episteme“, vale a dire dall’intreccio al tempo operante tra sapere e potere. Peraltro si tramanda che Bellarmino neppure volesse puntare lo sguardo nel cannocchiale per appurare se la teoria eliocentrica fosse realmente vera o falsa. “Eppur si muove“. La frase pronunciata da Galileo dopo l’abiura venne in principio considerata una fake news.
Anzi, se lo scienziato italiano non avesse compiuto suddetta abiura, avrebbe fatto la stessa fine di Giordano Bruno: condannato a morte per fake news non ritrattate.
Accadde in seguito tuttavia che la fake news di Galileo si rivelò tesi scientificamente esatta, con l’ovvia conseguenza per cui fake news divennero di chi, paradossalmente, pretendeva di condannare lo scienziato italiano in nome di una verità certificata e non negoziabile.
La storia insegna ma non ha scolari, ed è per questo che siamo condannati a viverla in eterno con tutti i suoi supplizi e le sue sofferenze.
E così, secoli dopo Galilei, anche oggi i nuovi Bellarmino si rifiutano di puntare lo sguardo nel cannocchiale. Per altro non sono uomini di Chiesa ma uomini della nuova chiesa medico-scientifica, vale a dire di una nuova religione particolarmente dogmatica e intollerante: una nuova religione che ha sostituito Dio con la scienza e la fede nel trascendente con la fede nel mito dei dati di fatto.
Li abbiamo visti fin dal marzo 2020 negare risolutamente ogni possibilità circa la genesi del coronavirus nel laboratorio di Wuhan. Non soltanto negavano la possibilità stessa di quella stessa tesi, rifiutandosi anche solo di discuterla per confutarla, come pure la scienza dovrebbe fare: addirittura come esponenti di una nuova inquisizione in camice bianco, perseguitavano senza mezze misure quanti osassero prospettare suddetta tesi.
Così abbiamo visto uomini in camice bianco richiamarsi alla sacra scienza divinizzata e mutata in feticcio e insieme compiere vere e proprie persecuzioni diffamatorie ai danni di scienziati e studiosi non piegati al nuovo culto. Anzi, scienziati ostinatamente pronti a cercare la verità provando e riprovando e mediante il supporto delle sensate esperienze.
Tutto questo ha trovato un’espressione evidente nella violenza degli algoritmi e della intelligenza artificiale, che ha semplicemente silenziato e chiuso i profili e i canali degli scienziati e studiosi dissenzienti rispetto al dogma.
A più di un anno di distanza lo ripetiamo ancora una volta, soddisfatti del fatto che la nostra tesi – diffamata e perseguitata – sia ora universalmente ammessa. E la nostra tesi dice semplicemente che la genesi del virus può essere di triplice natura. Il virus può essere frutto di una zoonosi, vale a dire di un salto di specie dal pipistrello all’uomo. Ma poi può anche essere, secondo cause che possono essere liberamente indagate, l’esito di una fuga dal laboratorio di Wuhan, quando non il prodotto di una operazione bioterrorista le cui ragioni chiedono ugualmente di essere ricercate con pazienza, metodo e dedizione. Queste e non altre, sono a mio giudizio le reali possibilità eziologiche in relazione al coronavirus.
La linea divisoria sta dunque tra coloro i quali hanno l’onestà e l’interesse di fare ricerca interrogandosi scientificamente intorno a queste tre possibilità, e coloro i quali, per ragioni connesse non secondariamente al potere, tutto l’interesse hanno di volta in volta di negare la libera ricerca (peraltro coprendo tale ignobile gesto con la vernice della scienza divinizzata).
Non mi stanco di ripeterlo: la nostra è la prima epoca in cui la problematizzazione critica e il domandare socratico sono liquidati in blocco con la categoria infamante di “complottismo”.
Che cosa diranno adesso tutti coloro i quali urlavano scompostamente dinanzi a chiunque osasse parlare di laboratorio come luogo genetico del virus? Cosa dirà la truppa dei giornalisti portatori del pensiero unico? E gli scienziati allineati del culto del terapeuticamente corretto?