da vaticannews.va – Il Pakistan si prepara a rinnovare i 342 seggi del Parlamento il prossimo 25 luglio e non mancano tensioni e timori legati per lo più alla violenza cieca dell’estremismo islamico.
Estremismo islamico e violenza
Gli ultimi due attentati all’inizio di luglio hanno provocato centinaia di vittime causando la morte anche di tre candidati alle elezioni e l’ennesimo attacco ad una chiesa nel Punjab ha provocato il ferimento di una ventina di fedeli e la distruzione di diversi oggetti sacri.
Elezioni cuore della democrazia
Il voto resta però ”l’aspetto centrale di una democrazia”, scrivono i vescovi in una Dichiarazione sulla tornata elettorale. A Vatican News parla il presidente della Conferenza episcopale del Pakistan mons. Joseph Arshad che così riassume le speranze della Chiesa per il futuro (Ascolta la dichiarazione di mons. Arshad):
R.- Noi siamo contenti perchè il processo democratico in Pakistan va avanti. E’ una bella speranza per il Paese, non dobbiamo mai arrestarlo! Ma nonostante questo,sembra che nessun partito avrà una maggioranza assoluta quindi per formare il governo servirà un’ alleanza tra vari partiti e sembra anche che qualunque governo andrà incontro a tanti problemi per trainare il Paese verso la prosperità.
Su luci e ombre della delicata vita del Pakistan oggi parla a Vatican News anche Paul Bhatti, voce delle minoranze religiose e figura fondamentale nella lotta all’intolleranza. Il medico e politico pakistano fratello del ministro cattolico Shabaz Bhatti – ucciso in un attentato terroristico nel 2011- ha incontrato i vescovi del Paese alla vigilia della loro Dichiarazione e traccia un quadro del clima sociale odierno in Pakistan.(Ascolta l’intervista a Paul Bhatti sulle elezioni in Pakistan)
I vescovi come i cittadini per libertà e pace
La conferenza episcopale- spiega- condivide il desiderio di ogni cittadino pachistano che le “elezioni siano trasparenti, che ogni passo del processo elettorale possa essere compreso con facilità e che gli scrutini siano pubblici per tutti”. Il Pakistan “vuole un cambiamento”, vuole il “progresso”, vuole “l’armonia nazionale e internazionale” che passa innanzitutto per il contrasto alla corruzione e al nepotismo dilagante in politica. Il timore grande per tutti, aggiunge, è l’isolamento a causa del fanatismo religioso, ma è anche vero che, ricorda Bhatti, “i partiti religiosi non hanno avuto mai in Parlamento più di sei o sette seggi, ciò significa che la gente non vuole essere governata dalla legge islamica, ma da una legge normale”.
Educazione di qualità che sconfigga l’odio
Paul Bhatti rilancia anche il timore delle vendette tra partiti vincitori e perdenti a fine voto, e evidenzia le esigenze della società che – come scrivono anche i vescovi- riguardano “salute, educazione, sicurezza, promozione di solidi valori umani e responsabilità internazionale”. “Il Paese” afferma Bhatti “non può cambiare se si continua a predicare l’odio nelle scuole nei confronti di chi non è mussulmano”: dunque “meno mega progetti che attirano corruzione, e più ospedali, scuole e soprattutto un’ educazione di qualità che si accompagni a lavoro per i giovani”.
Ottimismo verso il PTI
A contendersi i 342 seggi in parlamento il 25 luglio, sono principalmente 3 partiti: la Lega Musulmana del Pakistan, messa a dura prova dalla condanna per corruzione dell’ex primo ministro Nawaz Sharif; il Partito Popolare Pakistano e il Movimento per la Giustizia del Pakistan di Imran Khan, ex parlamentare che spera di diventare il prossimo primo ministro. Pur essendo quest’ultimo un “partito religioso”, fa notare Paul Bhatti, “contiamo che possa fornire spunti importanti per il dialogo” e il rispetto delle minoranze religiose.