Transizione è la parola chiave, quella che consente di leggere assieme, attualmente, ciò che sta accadendo nelle due sponde del Mediterraneo. Come ha sottolineato il Cardinale Scola in un recente editoriale, il porre in rapporto ed in dialogo mondi diversi – Occidente e mondo arabo; cristianesimo e islam – è imprescindibile. In una visione unitaria il termine “transizione” è accompagnato dalla domanda: “attraverso chi?”. Attraverso dove procede la transizione? O, detto in altri termini, la Primavera araba verso dove? Verso dove l’Europa con la crisi dell’euro? Verso dove l’Italia con una crisi politica che sta terremotando l’intero quadro istituzionale? Questo “dove” non è chiaro, né predeterminato, anche se si possono indicare possibili direzioni. Ciò che è chiaro, invece, è la causa che ha portato alla crisi delle forme politiche dominanti. È la globalizzazione post-’89 che provoca il tramonto dell’Occidente “politico”, di quella teologia politica (Carl Schmitt) che, imperante nello scontro Est- Ovest, si dissolve per mancanza di nemici. In Italia la fine della prima Repubblica, una fine che si prolunga sino a noi, si esprime nella figura dei partiti “liquidi”, della politica dei tecnici, nel declino dell’idea di rappresentanza. La globalizzazione segna, nell’Europa che svuota gli Stati sovrani, la crisi delle democrazie liberali nazionali. Procede come neutralizzazione delle differenze – politiche, religiose, naturali – come fine della Storia (Fukuyama). Questo processo interessa l’Europa e il mondo occidentale in genere, non però il resto del mondo. Dopo l’11 settembre 2001 la globalizzazione, fuori dell’Occidente, ha sì delegittimato le forme politiche sorte durante lo scontro Est-Ovest, ma non già la dimensione del Politico. La novità è qui data dal fatto che la nuova politica è concepita a partire dal religioso. È quanto Samuel Huntington aveva intuito nel suo The Clash of Civilizations and the Remaking of World Order, del 1996. La diffusione del mercato unico mondiale e l’estendersi del benessere non neutralizzano automaticamente le differenze. Al contrario essi producono, fuori dell’Occidente, autostima, riscoperta delle radici ideali e religiose, rifiuto dell’egemonia occidentale. Come afferma Serge Latouche, l’occidentalizzazione del mondo comporta processi mimetici ed oppositivi ad un tempo. Lo scenario post-2001 vede, da un lato, un Occidente in cui globalizzazione e secolarizzazione coincidono e, dall’altro, una globalizzazione che provoca mimesi tecnologica e teologia politica (islamica, ebraico-ortodossa, induista). La globalizzazione è un Giano bifronte che suscita secolarizzazione e fondamentalismi.
È nel solco di questa prospettiva che assistiamo, nell’altra sponda del Mediterraneo, ad un ritorno alla politica, un ritorno che è, in qualche modo, una “prima volta”. È il tema della Primavera araba che, con particolare attenzione alla Tunisia, è al centro del numero presente di “Oasis”. Si tratta di un ritorno teologico politico che non può essere – non riesce ad essere – un mero ritorno alla tradizione. Nonostante i salafiti o Al-Qaeda, anche i Fratelli Musulmani o an-Nahda si rendono conto che un “ritorno” non è possibile. Non è percorribile un ritorno che escluda interamente la modernità europea-occidentale, la forma dello Stato moderno con i suoi diritti e le sue libertà. Il ritorno teologico-politico diviene, così, il problema dei rapporti tra politica e religione. Scartata la via salafita, che vuole subito lo Stato islamista ed approfitta delle rivolte per dividere i musulmani, e la via del laicismo europeo, rimangono due strade: quella tattica, che accetta strumentalmente la forma democratica nelle condizioni presenti riservandosi, però, di condizionarla pesantemente allorché l’islamizzazione dal basso sia compiuta; quella liberale, che riconosce come un punto fondamentale la distinzione tra Stato, laico, e società civile, religiosa.
Una differenza che, nel numero di “Oasis”, è bene espressa dal modello americano, illustrato dall’Arcivescovo di Filadelfia Charles Chaputt, e dal modello libanese, attraverso la figura dello Stato civico teorizzata dallo sciita Muhammad Mahdî Shamseddine. Una variante, meno laica, di questa posizione è quella che intende la sharî’a come fonte di ispirazione, non rigorosamente normativa, del quadro legislativo. Importante, da questo punto di vista, è la dichiarazione del marzo 2012 di Rachid Ghannouchi, leader di an-Nahda, l’equivalente tunisino dei Fratelli Musulmani, secondo cui il suo partito non avrebbe richiesto il riferimento alla sharî’a nella nuova Costituzione.
Di questo intenso dibattito, che attraversa attualmente il mondo arabo-islamico, passato interamente sotto silenzio dai nostri media, “Oasis” nel numero presente così come in quelli passati offre una scelta significativa di posizioni. In questo modo la rivista offre un contributo davvero prezioso. Consente di aprire un varco nel muro d’ignoranza che divide popoli vicini, divisi dal mare e da pregiudizi secolari, i cui immigrati sono sempre più presenti tra noi, ed aiuta altresì a comprendere l’affinità delle problematiche. Noi, con la crisi della democrazia in cui la religione non sembra aver il diritto di interloquire; loro, con il tentativo di accedere alla democrazia attraverso la religione. Il loro ritorno del religioso sulla scena interpella la nostra desolata secolarizzazione così come, in parallelo, la distinzione tra politica e religione ha molto da dire all’attuale Primavera araba. Una distinzione che si è affermata, nell’Europa moderna, non solo contro la religione (cristiana), ma anche grazie ad essa. Grazie a quella dualità tra Dio e Cesare, Chiesa e Stato, città di Dio e città terrena che, presente nel cristianesimo dei primi secoli e poi oscurata, viene ritrovata e poi riconosciuta nel Concilio Vaticano II. Un modello che implica la critica alla teologia politica. Il che non significa opposizione, tra religione e politica, bensì chiara distinzione in modo da consentire il rapporto tra democrazia e religione. Giustamente “Oasis” mette in evidenza l’importanza avuta in questa riflessione dalla figura e dall’opera di Jacques Maritain. Il pensiero cattolico del ‘900 ha dovuto rigettare il modello teologico-politico medievalista per aprirsi alla democrazia liberale e all’incontro con il moderno.
Un cammino analogo è richiesto oggi all’Islam, attraverso una valorizzazione ermeneutica delle posizioni liberali presenti nella sua lunga tradizione.
Massimo Borghesi