— Il ddl Zan suscita numerose critiche, fra i contrari al testo ci sono anche esponenti di sinistra. Partiamo dall’articolo 7, cioè quello in merito all’istituzione di una giornata nazionale contro l’omofobia, la lesbofobia, la bifobia e la transfobia. Giusy D’Amico, serve davvero una giornata contro l’omofobia nelle scuole?
In base ai dati dell’Oscad (Osservatorio per la sicurezza contro gli atti discriminatori) in Italia non vi è alcuna emergenza omofobia. In cima alla statistica i casi di discriminazione riguardano l’etnia e soprattutto la religione. C’è una minima parte collegata all’orientamento sessuale e ovviamente anche per noi anche un solo caso di discriminazione per l’orientamento sessuale sarebbe inaccettabile. Tuttavia ciò non giustifica il dover imporre una linea di pensiero in funzione di una minoranza a danno di una maggioranza su cui andrebbe a ricadere una giornata come questa, soprattutto all’interno delle scuole, dove andrebbero ad introdurre itinerari di stampo antropologico assai distorto e fuori da ogni base scientifica.
Questa giornata fa sparire nell’articolo 7 il collegamento con la disabilità, escludere questo riferimento la dice lunga sul fatto che in quella giornata si vuole solo parlare di omosessualità. Tutte le linee programmatiche hanno come focus l’identità di genere, qualcosa che non si trova in nessun libro scientifico, ma solo sotto forma di propaganda ideologica. Abbiamo visto tanti dietro front sul tema visti i danni che ha provocato la propaganda nei bimbi dagli 8 anni in poi. Si è registrata un’impennata di richieste di transizione sessuale. Questa giornata andrà ad incidere sul percorso educativo italiano. Vorrei citare la nota ministeriale numero 1972 del 2015 che dice: nessuna ideologia gender è contemplata nei saperi del sistema educativo scolastico italiano.
— Si voterà il 13 luglio, ma di fatto il ddl Zan è già sbarcato nelle scuole, potremmo citare il caso della scuola di Pisa dove ai ragazzi hanno mostrato il discorso del cantante Fedez, ma non solo. Qual è il rischio del gender nelle scuole?
Il primo fattore grave è che si va a spezzare il patto di alleanza educativa che è previsto dall’ordinamento della scuola italiana, cioè il patto di corresponsabilità. Il patto dice che entrambe le parti si impegnano in maniera consapevole sul dove, come e quando. Il patto è stato tradito da numerosi progetti entrati nelle scuole che hanno prevaricato ciò che la famiglia avrebbe desiderato affrontare con i propri figli in casa. Si sono viste irruzioni nelle scuole senza richiesta di consenso informato preventivo, senza condivisione su come e quando sarebbe stato affrontato il tema. È stata tradita la sinergia fra scuola e famiglia.
Infine non vi è alcuna base scientifica delle teorie che già oggi provocano una confusione antropologica nei bambini. Dall’età dei 6 anni fino alla prima adolescenza i bambini hanno la necessità assoluta di avere dei riferimenti sessuali certi, per non entrare in una confusione da cui è difficile uscire in questa fase delicata della costruzione della propria identità. Negli Stati Uniti da un mese è esplosa una bomba a causa di una trasmissione in cui una giornalista molto coraggiosa ha cominciato a tirare fuori i dati della richiesta di detransizione di tante persone le quali desiderano tornare alla condizione originaria, che è ovviamente impossibile. Sta emergendo il fenomeno che sta mostrando come la transizione sessuale sia un fallimento da cui non si riesce a tornare indietro e tutto ciò potrebbe portare anche al suicidio.
— Il ddl Zan e il gender sono già entrati nelle scuole a gamba tesa dal 2014 con i libretti “educare alla diversità” dell’Unar. La famiglia deve scegliere quali vie perseguire, invece avremo un diktat che calerà dall’alto con linee guida infarcite di gender, su cui non si potrà dire di “no”. Il minimo che ci capiterà sarà ricevere lo stigma di omofobi, il peggio sarà entrare in un circuito di denunce, sentenze e tribunali a cui nessuno vuole esporsi, soprattutto dopo un anno e mezzo di pandemia.