(Gianni Borsa di Legnano News) – Il Disegno di Legge Zan è di particolare attualità e risulta profondamente attenzionato nell’ambito cattolico. Leggiamo infatti in un recente documento della Conferenza Episcopale Italiana che “si auspica che un testo così importante cresca con il dialogo e non sia uno strumento che fornisca ambiguità interpretative” La conclusione dei vescovi italiani è un appello perchè “si possa sviluppare nelle sedi proprie un dialogo aperto e non pregiudiziale. In cui anche la voce dei cattolici italiani possa contribuire alla edificazione di una società più giusta e solidale”. E tra le voci del mondo cattolico, anche legnanese, ecco quella di Gianni Borsa, presidente diocesano Azione cattolica ambrosiana. Di seguito una sua riflessione.
Un tifo da stadio, dove l’emotività supera la razionalità che è invece richiesta nel formulare una legge. Il dibattito sul Disegno di Legge Zan, intitolato “Misure di prevenzione e contrasto della discriminazione e della violenza per motivi fondati sul sesso, sul genere, sull’orientamento sessuale, sull’identità di genere e sulla disabilità”, fa esplodere le tifoserie piuttosto che impegnare nella comprensione del testo e nella motivazione di scelte e perplessità. È un limite riscontrabile sul piano civile, dove talvolta trionfa il silenzio che penalizza la ricerca. Eppure sarebbe bene parlarne di più, recuperando i tempi del silenzio che ha circondato l’ipotesi di legge nel suo iter parlamentare alla Camera dei Deputati.
È evidente che l’intolleranza – ancora così diffusa in Italia – è da perseguire. Lo ha autorevolmente ricordato anche il Presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, lo scorso 17 maggio in occasione della Giornata internazionale contro l’omofobia, la transfobia e la bifobia. Dalla Presidenza della Conferenza Episcopale Italiana sono del resto giunti due pronunciamenti (il 10 giugno 2020 e lo scorso 28 aprile 2021) con essenziali elementi da considerare proprio in relazione a questa eventuale normativa. Altri spunti sono emersi con l’intervista al card. Bassetti, presidente Cei, apparsa sul Corriere della sera del 17 maggio.
Sappiamo che stereotipi culturali non di rado si trasformano in episodi di scherno, emarginazione, violenza. Si impone, nel concreto, la necessità di combattere tutte le forme di discriminazione a sfondo sessuale, adottando al contempo un atteggiamento educativo e di promozione di una cultura dell’accoglienza reciproca.
È bene ricordare che stiamo parlando di una legge che riguarda l’ambito sociale e civile, con valutazioni etiche e risvolti educativi, incidendo ogni norma anche sul “sentire culturale” che verrà. Più semplicemente: una legge regola l’esistente ma condiziona il futuro.
Il nodo del contrasto non pare oggi primariamente sul centro del DDL che intende estendere l’aggravante prevista dalla legge Mancino (1993) per motivi di razza e religione alle aggressioni nei confronti di persone omosessuali – tutela necessaria e, in genere, condivisa – quanto piuttosto sugli interrogativi sollecitati dalla liquidità della formula del testo che rinvia alla “identità percepita”, sulla richiesta di rassicurazione a riguardo della libertà di opinione, sul senso di una “giornata nazionale” che, se malintesa, rischia di imporre, a partire dalle scuole, un tipo di antropologia anche quando essa non sia condivisa.
Di per sé, le garanzie definite dalla Carta Costituzionale, e il dettato della legge Mancino (estendendone l’applicazione alle discriminazioni motivate dall’identità sessuale) dovrebbero essere sufficienti per raggiungere gli scopi che si prefigge il decreto all’esame del Parlamento.
Comunque, chi sostiene che il testo debba essere approvato al Senato così come arrivato dalla Camera (settembre 2020) dimentica forse che ogni legge deve ottenere il consenso autonomo delle singole due Assemblee e che il passaggio di un testo fra Camera e Senato – e una sua eventuale rilettura a seguito di emendamenti – è il normale iter del percorso legislativo. Il rifiuto aprioristico di questo passaggio tradisce un po’ la debolezza del testo attuale con il rischio però che l’irrigidimento ne pregiudichi l’esito conclusivo.
Chi vorrebbe utilizzare l’inserimento di nuovi emendamenti come espediente per bloccare il provvedimento deve invece avere il coraggio intellettuale di motivare esplicitamente le proprie preoccupazioni.
Con spirito costruttivo, tanto più richiesto da ogni legge che interseca la vita delle persone, si intende qui segnalare alcuni punti che suggeriscono un’ulteriore riflessione.
Anzitutto l’identità di genere, che resta ancora oggi un concetto vago e indeterminato suscitando così un comprensibile allarme: è possibile affidarsi all’autodeterminazione di donna o uomo a prescindere dall’elemento biologico e dall’evidenza sessuale? Si può far diventare neutro ciò che si caratterizza per differenza complementare? Tale indeterminatezza potrebbe aprire la strada a situazioni oggi non dichiarate (es. utero in affitto)? Quali sarebbero le implicazioni nel campo di tutele specifiche che in particolare le donne stanno oggi conquistando? Gli interrogativi non sono superflui rispetto ad ogni concezione antropologica che non intenda banalizzare la sofferenza personale.
Secondo punto: la libertà di opinione. Anche se opportunamente immessa nel testo durante il percorso alla Camera, la “libera espressione di convincimenti… o condotte legittime riconducibili al pluralismo delle idee e alla libertà delle scelte…” vede il vincolo di non determinare “concreto pericolo del compimento di atti discriminatori”. Concetto che rinvia nel tempo il possibile effetto: chi lo determina? Ogni volta il Giudice, visto che la legge si pone nell’ambito del diritto penale? Quanto una denuncia può diventare strumento di preventiva pressione al di là del suo prevedibile esito? Si può osservare, in proposito, che trattandosi di diritto penale i comportamenti sanzionabili devono essere agevolmente comprensibili sia al cittadino (a monte) sia ai giudici (a valle). Qui la norma non è chiara e univoca e la discussione piuttosto confusa lo testimonia.
Un terzo punto riguarda la Giornata nazionale contro l’omotransfobia: se ne comprende, ovviamente, l’intento di sensibilizzare l’opinione pubblica al rispetto delle differenze e delle scelte personali. Ma essa imporrebbe agli enti pubblici e in particolare alle scuole l’organizzazione di iniziative e attività che non si può certo dare per scontato siano condivise da genitori e famiglie. Sono molte le “giornate nazionali” nella cui ricorrenza si possono promuovere eventi a cui liberamente aderire rispetto ad una formula che invece qui li intende come vincolanti.
Utile sarebbe a questo punto che si abbandonassero gli irrigidimenti ideologici e non si vedesse l’esito finale come una vittoria o una sconfitta di un partito piuttosto che un altro. Conviene entrare con serietà nelle problematiche ancora aperte.
C’è il tempo di lavorare in questo senso: ognuno – anche nella comunità cristiana – si senta impegnato a capire, valutare e assumersi responsabilità.
Un’ultima annotazione. Ogni diritto e ogni libertà riconosciuti e garantiti dalla Costituzione devono essere tutelati. Negli ultimi anni si stanno peraltro imponendo nel dibattito pubblico nuovi “diritti individuali” che emergono anche dalle trasformazioni sociali e culturali in atto. Bisogna d’altronde ricordare che, accanto a questi, non possiamo trascurare i cosiddetti “diritti sociali”, oltremodo fondamentali nella vita dei cittadini e delle famiglie italiane, e impostisi con estrema urgenza proprio in questa fase pandemica. Salute, lavoro, scuola e casa sono diritti e necessità indilazionabili per la vita delle persone e non possono passare in secondo piano nel dibattito culturale e politico italiano.