(Josè Maria Arnaiz di Settimana News) – La riflessione e il titolo costituiscono, senza dubbio, una provocazione ma sono anche una proposta di impegni che vengono da qualcosa che vuole nascere e che deve nascere: una nuova rotta per l’umanità e la vita consacrata.
Per orientarsi verso questa grande alternativa e questo obiettivo, bisogna leggere la realtà della vita religiosa in tempo di pandemia in un modo diverso e, naturalmente, in un modo nuovo. Il mondo in questo momento ha bisogno di un cambiamento di fatto già iniziato: “Ecco, io faccio nuove tutte le cose… Ecco sono compiute” (Ap 21,5). Sì, lo si nota. Anche la VC nel contesto dell’America Latina si sta preparando a questa nuova rotta.
Perché un cambio di rotta?
Naturalmente, come punto di partenza di ciò che sta accadendo, è necessario descrivere l’evento presente, da cui tutto deriva: la pandemia. Per alcuni è stato – ed è – un gigantesco tsunami; uno tsunami veloce e invasivo; è entrato nelle case e ha raggiunto le persone. All’inizio non pensavamo che fosse così minaccioso e devastante. È visibile e invisibile allo stesso tempo. Chiede una profonda reazione. Ci mette in un permanente stato di allarme.
Perché richiede un cambio di rotta?
La nuova realtà sarà frutto di un apprendimento; di un contemplare, osservare, discernere e ponderare ciò che abbiamo vissuto e che stiamo vivendo come religiosi in tempo di pandemia. Ma dev’essere qualcosa di vissuto, non un punto e avanti, ma un punto e a capo, un punto che porti all’inizio di una nuova tappa nella storia dell’umanità; un vero cambiamento di rotta per tutti gli esseri umani e per le diverse istituzioni e le persone che le compongono.
Così la vede papa Francesco. «Molte cose devono riorientare la loro rotta, ma prima di tutto è l’umanità che deve cambiare. Manca la coscienza di un’origine comune, di un’appartenenza reciproca e di un futuro condiviso da tutti. Occorre sviluppare nuove convinzioni, nuovi atteggiamenti e nuove forme di vita. Ne deriva una grande sfida culturale, spirituale ed educativa che richiederà lunghi processi di rigenerazione di una coscienza di base e consentirà l’emergere di una nuova umanità» (papa Francesco, 29 marzo 2021).
Non possiamo ignorare che viviamo in una situazione insolita, sconcertante, senza precedenti e sorprendente per ciò che la pandemia porta con sé e perché colpisce allo stesso tempo tutto il mondo; è globale.
Come esseri umani, cristiani e religiosi, ci ha colti in contropiede e quasi privi di risorse, ma fortunatamente disponiamo di due grandi mezzi: la fede, la quale ci ricorda che Dio è nostro padre, e la vicinanza di persone piene di speranza e di amore le quali ci dicono che, se cerchiamo il Regno di Dio e la sua giustizia, tutto il resto ci sarà dato in sovrappiù.
Stiamo rendendoci conto, con il passare dei giorni e dei mesi di questa pandemia, che domani niente sarà più come prima. Perché sia così, dobbiamo creare e perciò dare spazio all’incerto, all’imprevedibile, al magico e al poetico e al miracolo… e anche al tragico poiché – lo stiamo costatando – sono molte le realtà che muoiono e uccidono. Ma Dio è perdutamente innamorato della sua creazione, quella che viene dallo Spirito del suo amore, e porterà a compimento il progetto del Regno.
Nello stesso tempo, qualcosa di “vecchio” deve finire. Non c’è dubbio che la cultura consumistica ha attentato alla qualità del rapporto umano o, più ancora, alla qualità della vita umana. È urgente che la dignità di ogni essere umano prevalga sugli interessi materialisti e consumistici che il noto e persistente neoliberalismo ci ha portato.
È opportuno servirsi delle crisi di grande portata per promuovere politiche che approfondiscano l’uguaglianza, mettano in discussione le élites e rafforzino tutti gli altri. La fiducia deve passare da coloro che stanno al potere al popolo. È tempo di approfondire il disastro del capitalismo e far scomparire tutti gli anticorpi della solidarietà.
Ciò che sta per iniziare era già stato intuito da alcuni studiosi del futuro e per uno di essi – Alvin Toffer – ciò si sarebbe verificato con l’arrivo della “terza ondata”. L’umanità, dopo la prima fase, che fu la rivoluzione agricola, visse la seconda, la cosiddetta rivoluzione industriale, e poi cominciò a navigare verso quella che Toffer chiama la terza stagione in cui aumenterà la forza mentale dell’essere umano con i prodotti computerizzati, cibernetici e con altri nuovi strumenti.
Questa nuova rotta dell’umanità è come il tesoro nascosto nella sofferenza di tante persone, famiglie e persone consacrate; e del loro buon frutto. Sta germogliando da questa sofferenza profonda e feconda; stiamo già iniziando a goderlo. Non ne dubitiamo. Dobbiamo avere il coraggio di volare e spunteranno le ali.
Per la medesima ragione, questa grande convinzione sta inducendo molte persone e istituzioni a pregare e a vedere Dio presente in questa realtà; persone convinte che anche in questa circostanza si può affermare che non c’è male che venga se non per il bene; che non c’è croce che non porti la Pasqua.
Perciò, in questi mesi, si è cominciato a fare di tutto perché non si spenga il fuoco della memoria e soprattutto si cerchi con tutti i mezzi di uscire migliori da questa pandemia; perché si prendano decisioni pasquali. Dalla croce e dal Crocifisso è venuto un grande bene: “La vita tolta, distrutta, annientata sulla croce si è risvegliata e torna di nuovo a pulsare” (R. Guardini). Questa è la nostra speranza, quella che non può esserci rubata, messa a tacere o contaminata. Se nella nostra vita torneremo a metterci a servizio, l’amore ricomincerà a pulsare.
Il fondamento o la ragione più profonda per fare questa grande proposta sta nel fatto che chi non cambia, mentre tutto cambia, rimane nel passato, nell’ieri; rimane muto e sordo. Ma la vita non si ferma a questo ieri. Va verso un nuovo orizzonte; così progettiamo la storia.
Abbiamo bisogno di chiarezza e di coraggio per accettare ciò che è successo e poter innovare i nostri stili o condannarci ad una normalità che dimentica ciò che è avvenuto. Dobbiamo forzare il sorgere di una nuova aurora che sia serena. Bisogna farlo senza mescolare il vecchio e il nuovo. Vino nuovo richiede otri nuovi.
“Se abbiamo potuto imparare qualcosa in tutto questo tempo, è che nessuno si salva da solo. Cadono le frontiere, crollano i muri e tutti i discorsi integristi si dissolvono davanti a una presenza quasi impercettibile che rivela la fragilità di cui siamo fatti” (papa Francesco). Senza dubbio, è meglio la solidarietà dell’isolamento. Non può mancare la collaborazione. Per raggiungere questo obiettivo, ci aiuta la consapevolezza di un’origine comune, di un’appartenenza reciproca e di una posizione condivisa da tutti.
Questa nuova rotta dell’umanità in occasione della pandemia offre risposte e anche domande. La vita umana, cristiana, religiosa e quella di ciascuno di noi sono vita e come tale è crescita, rischio, minaccia, opportunità, maturazione; perciò la vita è vera luce e sale.
Si potrà notare in ciò che segue che tutto questo è frutto di una riflessione personale e non viene offerta tanto una previsione del futuro quanto una speranza che non nasce prima di tutto da ciò che stiamo attraversando ma da ciò che ci accadrà.
Tutti i contributi sono contestualizzati soprattutto nella vita consacrata e sullo sfondo del prima, durante e dopo la pandemia e nel contesto latinoamericano.
Un dramma di queste dimensioni mette in risalto il peggio e anche il meglio del genere umano. Compito importante è trovare e dare un nome ai tesori nascosti e avvolti nella sofferenza di tante persone e famiglie affinché diventino fecondi e si moltiplichino in un domani incerto.
Come giungeranno i religiosi a questa nuova rotta?
Per raggiungere questo obiettivo dobbiamo imparare a vivere più uniti e avere molta pazienza, con un isolamento sopportabile e un’attività limitata e molto diversa.
La VC oggi si trova “bloccata” e non si mette alla prova per essere parte viva delle grandi trasformazioni che l’umanità sta vivendo in occasione di questa pandemia.
Deve scoprire come tratto principale di essere nomade e in ricerca, perché saremo fedeli all’eternità solo quando lo saremo al tempo attuale.
La VC non è abbandonata dalla mano di Dio; deve aprirsi alla nuova coscienza che bussa alle nostre porte. Quelli della pandemia sono giorni che hanno provocato una certa interruzione; un fatto provvidenziale per segnare una nuova rotta, quella del futuro. Così eviteremo le vertigini di un ripiegamento invernale.
La VC indica una primavera che consiste soprattutto nel saper stare nel cuore del mondo e mettere il mondo nel cuore di Dio. Per questo è importante ritornare al “primo amore” che deve essere un misto di gratuità, solidarietà, disponibilità, speranza, fiducia, perdono, lavoro per la giustizia, conversione, comunione, tutti segni di una vita rinata.
La VC ha un ruolo importante da svolgere, deve svegliare il mondo e invitare a un modo diverso di operare, agire e vivere. Per questo è importante essere profezia del Regno e per riuscirvi dobbiamo essere profeti come ci ha chiesto con insistenza papa Francesco.
Le comunità religiose saranno luoghi dove si rifà l’umanità e si vive un amore attento ad ogni bisogno.
Di fronte alla crisi della povertà e di tante persone in una situazione di estremo bisogno, la VC avrà molto da dire e da fare. C’è un virus che non scompare mai ed è quello che fomenta il potere e l’avere, quello della brama di ricchezza e della sessualità incontrollata. È compito della VC far vedere qual è l’autentico antivirus: la condivisione, la compassione, l’amore, il distacco, la generosità, le parole positive, i vincoli reali e la gioia autentica. Deve riuscire a far rivivere e a testimoniare l’amore che vince la morte.
Il virus ci ha mostrato che ci sono delle cose nella VC che hanno smesso di essere importanti. L’attuale realtà strutturale della VC è stata messa in discussione e soprattutto il fatto che non si coltiva e si cura quella che possiamo chiamare la chiave di volta della vocazione religiosa: la felicità. È necessario uscire da quel recinto che moltiplica le verità e i costumi intoccabili e cerca, invece, nuove forme per giungere ad esprimere i valori evangelici.
Un ventaglio di opportunità
Tutto questo si trasforma in grandi opportunità per i religiosi. La sfida ad affrontare la pandemia da parte delle nostre comunità religiose ci chiede di trasformare questa esperienza in grandi opportunità per la nostra storia personale e comunitaria. Dobbiamo viverla come una grande occasione che ci viene offerta e aiutare gli altri a fare altrettanto.
Se la VC si scopre oggi “bloccata” è perché non ha sfidato se stessa ad essere parte viva delle grandi trasformazioni che l’umanità sta attraversando. Si tratta di ravvivare una fede che operi mediante la carità e sostenga la speranza del mondo. Speranza che si incarnerà nel fatto di vivere le opportunità che qui ci limitiamo ad elencare:
- opportunità di una VC che sia solidale internamente ed esternamente
- opportunità di vivere insieme di più e meglio in comunità
- opportunità di ripensare i nostri schemi mentali e di tornare a ciò che è essenziale e importante
- opportunità di essere responsabili unendo insieme nella nostra vita tutte le proposte del Regno
- opportunità di prendersi cura di sé e gli uni degli altri
- opportunità di allontanarci di meno e di incontrarsi
- opportunità di essere creativi
- opportunità di condividere le grandi certezze
- opportunità di una direzione caratterizzata da accoglienza, incoraggiamento, accompagnamento e passione
- opportunità di passare dal rito alla preghiera.
Per questo non è necessario far scomparire la ritualità, ma crearne una nuova; quella che va in uscita e arriva là dove abita colui che aspetta il vangelo. «Quando la pandemia finirà, non dobbiamo tornare a restaurare la Chiesa sacramentalista del passato, usciamo per la strada ad evangelizzare, senza proselitismi, per annunciare con gioia la buona notizia di Gesù a coloro che non entrano nel tempio. Avrà così pieno significato celebrare nella comunità cristiana la frazione del pane e gli altri sacramenti” (Victor Codina sj).
Un tempo nella VC il rito scandiva tutto; a cominciare dall’abitazione che era il monastero, il convento, la casa religiosa… ora è la nostra casa, una casa; la stessa cosa è successa con l’abito che era la veste; così con le norme di comunicazione che erano improntate e caratterizzate dal silenzio, dal segreto e dalla riservatezza… È chiaro tuttavia che il cristianesimo non è una religione ma una fede. Sulla base di questo principio nascerà la nuova ritualità.
Attualmente nella Chiesa buona parte della ritualità è stata interrotta. Non c’è dubbio che ne nascerà un’altra nuova e forse un po’ diversa dal vecchio rituale. Occorre reinventare la nostra ritualità. Lo Spirito vuole che germogli molto vicino alla vita e per moltiplicare la vita. Senza dubbio bisogna crescere nel senso della famiglia e della fraternità.
Per concludere
La notte sta finendo e il sole torna a illuminarci. Un nuovo giorno sta nascendo. Ma non ha ancora una data: “È bello che nella notte crediamo alla luce… Bisogna forzare l’alba a nascere, credendo in essa” (G. La Pira). Perché ciò avvenga, abbiamo bisogno di creatività, immaginazione, novità, di unire le mani e gli sforzi. Dobbiamo lottare insieme e realizzare questo enorme cambiamento culturale poiché stiamo attraversando un’autentica crisi socioculturale.
Il discorso razionale sembra non avere effetto. L’arte, la cultura e, in definitiva, l’educazione possono riuscire ad attivare strumenti simbolici che toccano la fibra emotiva; possono consentire il recupero e la ricostruzione della tanto importante fiducia civica e la collaborazione di tutti. È necessario costruire un senso collettivo di identità e di appartenenza ad una unità più grande. Così potremo cantare con la grande poetessa, Violeta Parra: “Il canto di tutti è il mio canto”. Questo ci porta a misure condivise e, per così dire, a misure realizzate.
Strumenti di questo cambiamento sono le persone che si sono svegliate, che hanno aperto occhi e orecchie e sentito il bisogno e la possibilità del cambiamento personale e di gruppo, sociale e culturale che hanno iniziato a vivere.
Per alcuni è giunto il momento di essere sapienti. Questo ci porterà a vivere in base a ciò e per ciò che è importante e ad uscire migliori dalla pandemia. In un modo o nell’altro vedremo questa crisi come un’opportunità per uscire dall’ipocrisia, dal ritmo frenetico del consumismo e della produzione, umanizzandoci e sentendoci tutti fratelli. In questo modo otterremo un’umanizzazione indovinata, rendendo realtà una nuova rotta per l’umanità. Per il Mahatma Gandhi è giunto il momento di essere lucidi e audaci come le aquile: “Quando c’è una tempesta, gli uccelli si nascondono, invece le aquile si sentono spinte a volare più in alto”.
Per sant’Alberto Hurtado la preoccupazione sarebbe: cosa farebbe Gesù in questo luogo e in questo momento? E impegnarsi a fare lo stesso. Sarebbe il miglior risultato di queste pagine. Andiamo avanti come farebbe Gesù e troveremo il modo migliore per reinventare la nostra vita consacrata.
Non possiamo dimenticare che Dio è alleato nostro, non del coronavirus. Da lì parla e noi dobbiamo ascoltarlo; per questo non abbiamo bisogno tanto di silenzio. Ora il luogo privilegiato dove possiamo ascoltare Dio sono le vittime.