L’Olocausto è stato solo uno dei tanti drammatici eventi che hanno colpito il popolo ebraico durante la sua lunga storia. Quali sono, dunque, le origini e i motivi dell’antisemitismo? Questo fenomeno, considerato la forma d’odio più antica della Storia, è la manifestazione di un’ostilità costante e duratura basata sulla persistenza di alcuni stereotipi e su accuse false e irrazionali che hanno attraversato i secoli innescando drammatiche persecuzioni.
Fin dall’antichità gli ebrei sono stati accusati di essere barbari e sanguinari perché non partecipavano ai culti pagani delle altre popolazioni, di non riconoscersi nelle divinità dei luoghi in cui vivevano. In seguito è arrivata l’accusa di “deicidio”, ovvero dell’uccisione di Cristo – anche se la crocifissione era una condanna romana –, di praticare omicidi rituali di bambini cristiani, di avvelenare i pozzi, di diffondere la peste nera, di praticare la stregoneria e di cospirare per distruggere il mondo cristiano. In epoca moderna è stata infine teorizzata l’esistenza di un “complotto ebraico” per conquistare il dominio del mondo attraverso il controllo del sistema finanziario internazionale.
Ostilità religiosa
Il termine “antisemitismo” venne coniato nel 1879 dall’agitatore tedesco Wilhelm Marr, ma le basi di questa ideologia di odio risalgono a tempi remoti. Il primo episodio di ostilità storicamente documentato si verificò per motivi religiosi intorno al 400 a.C., nell’Egitto dei faraoni, con la distruzione del tempio ebraico di Elefantina (l’odierna città di Assuan). Furono di natura religiosa anche le successive persecuzioni nel regno di Siria, perché gli ebrei si opponevano all’ellenizzazione del loro culto. E alcuni studiosi hanno individuato un sentimento anti-ebraico tra gli antichi Greci e Romani, sempre a causa della loro fede monoteista. Episodi di odio sono in effetti citati nelle fonti classiche da Cicerone, da Tacito e da Giovenale.
Una svolta decisiva avvenne dopo l’Editto di Tessalonica del 380 d.C.: l’imperatore Teodosio I rese il cristianesimo la religione ufficiale dell’Impero romano, mettendo fuori legge gli altri culti. Gli ebrei vennero progressivamente privati dei diritti di cui avevano goduto sotto gli imperatori pagani e iniziarono a essere perseguitati. “Al tempo dei Romani le violenze furono tutte di natura politica, perché gli ebrei non si erano conformati alla religione di Stato e all’obbedienza nei confronti dell’imperatore”, spiega Marina Caffiero, docente di Storia moderna all’Università La Sapienza di Roma. “Il cristianesimo concettualizzò l’antigiudaismo sul piano teologico. Fu sant’Agostino il primo a codificare l’ostilità verso di loro, accusandoli di deicidio. Al tempo stesso si impose quella che sarà per lungo tempo la politica della Chiesa nei confronti degli ebrei, ovvero da un lato la repressione, dall’altro la tolleranza e la persistenza all’interno della società cristiana”, prosegue Caffiero. “Gli ebrei dovevano essere i testimoni della verità del cristianesimo e su questa ambivalenza si rifletterà in seguito anche la nascita del ghetto”.
Interessi e pregiudizio
Nel V secolo gli editti di Teodosio e Valentiniano esclusero i fedeli di Jehovah da ogni carica pubblica e dall’accesso alle università. Ma i primi grandi massacri si verificarono nell’Europa Centrale nel 1096, ai tempi della Prima crociata: le comunità ebraiche insediate lungo il Reno e il Danubio furono quasi del tutto cancellate dai cavalieri cristiani in marcia verso la Terrasanta. Già ad Alessandria d’Egitto, nei primi anni del cristianesimo, gli ebrei cominciarono a essere accusati, senza prove, dell’omicidio rituale di bambini cristiani. Alla metà del XIII secolo questo sospetto si trasformò nella cosiddetta “accusa del sangue”, ovvero il presunto utilizzo del sangue dei bimbi per i riti della Settimana santa. Un’accusa che nel 1475 sfociò nel drammatico caso di Simonino, un bimbo trovato morto a Trento, per il quale quindici ebrei furono accusati di omicidio e costretti a confessare sotto tortura, prima di essere uccisi.
Una combinazione di pregiudizio popolare e interessi politici ed economici innescò nel Medioevo nuove ondate di odio antiebraico. Siccome la Chiesa condannava l’usura e vietava ai cristiani di prestare denaro (lo “sterco del diavolo”) su pegno, questa attività diventò prerogativa degli ebrei e presto si diffuse il luogo comune del giudeo usuraio. Nel XIV secolo si sparse la voce che avessero causato loro la diffusione della Peste nera, avvelenando i pozzi. Papa Clemente VI cercò di proteggerli ma non riuscì ad arginare la violenza che travolse centinaia di comunità.
Diaspore e ghetti
Oltre agli eccidi, sono tristemente famose le migrazioni forzate all’origine della diaspora ebraica. Il primo esodo dalla Palestina (dopo la deportazione in Babilonia del VI secolo a.C., narrata dalla Bibbia) seguì le guerre giudaiche e la distruzione del Tempio di Gerusalemme da parte dell’imperatore Tito, nel 70 d.C. Tra il XIII e il XV secolo gli ebrei vennero invece espulsi in rapida successione dall’Inghilterra, dalla Francia, dalla Germania e dalla Spagna. Con il decreto di Granada del 31 marzo 1492, re Ferdinando II d’Aragona impose a tutti gli ebrei spagnoli di scegliere tra la conversione al cattolicesimo e l’espulsione o la morte. Decine di migliaia di profughi si diressero verso il Portogallo – da dove sarebbero stati espulsi successivamente –, altrettanti raggiunsero i Paesi Bassi, l’Italia e la Grecia.
Anche Martin Lutero si scagliò contro di loro quando rigettarono il suo appello a convertirsi, trasmettendo quell’odio in eredità al luteranesimo. Nel XVI secolo, in piena Controriforma, nacquero i primi “ghetti”, i quartieri dove gli ebrei furono costretti a risiedere. Erano circondati da mura, con portoni che venivano chiusi al tramonto e riaperti all’alba. Il primo, nel 1516, fu quello di Venezia. Quello di Roma fu istituito quattro decenni più tardi dalla bolla Cum nimis absurdum di papa Paolo IV, che impose una serie di dure restrizioni alle comunità ebraiche di tutta Europa. I ghetti vennero progressivamente aperti nel XIX secolo, ma furono poi ricostituiti dai nazisti come tappa verso la “Soluzione finale”.
Odio antico e moderno
Le origini dell’antisemitismo moderno risalgono all’Ottocento, il secolo delle persecuzioni antiebraiche in Germania, in Ungheria e soprattutto in Russia. I “pogrom” (dal russo “devastazione”) dell’epoca zarista causarono massacri anche prima che i Protocolli dei Savi Anziani di Sion (un falso messo insieme in Russia) diffondessero l’idea delirante di un complotto ebraico per il dominio sul mondo. Ma esiste una connessione tra l’antisemitismo moderno e l’antigiudaismo antico? Secondo Marina Caffiero è semplicistico considerarli fenomeni disgiunti e incomparabili. “Esiste un nesso ben preciso, poiché le radici storiche dell’antisemitismo affondano nell’ostilità della cultura cristiana antica che ha fornito elementi culturali e intellettuali durevoli nel tempo. Negarlo equivarrebbe a compiere un’operazione mistificatoria per assolvere la cultura cattolica”.
Uno sporco affare
Il passaggio decisivo, secondo gran parte della storiografia recente, è il cosiddetto “Affaire Dreyfus”, che sconvolse l’opinione pubblica francese negli anni fra il conflitto franco-prussiano e la Grande guerra. Nel 1894 l’ufficiale ebreo francese Alfred Dreyfus fu accusato di spionaggio a favore della Germania, processato in tutta fretta e condannato da una corte marziale militare con prove false e manipolazioni. Quella vicenda di fine ‘800 è considerata da molti il prodromo della Shoah, perché portò alla superficie quei rigurgiti razzisti e antisemiti di cui tutta l’Europa, e non soltanto la Germania, era inquinata. Di lì a poco l’antisemitismo sarebbe diventato un pilastro dell’ideologia nazista di Hitler, causando una delle più grandi tragedie della storia dell’umanità.