I cristiani in Algeria non possono neanche riposare in pace. Nel paese nordafricano dove l’islam è religione di Stato non solo i cristiani devono praticare la loro fede facendo attenzione a non parlarne troppo in pubblico, visto che ogni minima azione può essere incriminata come proselitismo e condurre al carcere, non solo devono stare attenti a non offendere i sentimenti dei musulmani, ad esempio evitando di mangiare in pubblico durante il Ramadan, ma una volta morti non possono neanche riposare al cimitero pubblico. Ne sa qualcosa il signor Naraoui, che voleva dare degna sepoltura al figlio Lahlou, deceduto a 24 anni: “I leader della moschea mi hanno detto che l’unico modo per seppellirlo al cimitero era accettare il rito islamico. Infatti la comunità musulmana non permette di seppellire un cristiano nei cimiteri dove riposano dei musulmani”. La famiglia di Lahlou perciò ha deciso di seppellire il figlio in un pezzo di terra privata donato da una chiesa locale. Ma non è la prima volta che accade un caso simile: nel 2011, la comunità musulmana della città di Akbou aveva impedito che fosse sepolto un cristiano nel cimitero pubblico, perché l’islam non tollera che un infedele sia sepolto di fianco a un musulmano. Per i cristiani dell’Algeria, appena lo 0,2% su circa 35 milioni di persone, i problemi però cominciano prima. Innanzitutto il governo restringe il numero e la durata dei visti di entrata per tutto il personale della Chiesa – sacerdoti, religiosi, religiose, perfino laici di cui essa ha bisogno per le sue ordinarie attività – e coloro che ottengono il permesso devono limitare le loro attività nel Paese; inoltre, essi si vedono talvolta confiscare i loro libri di preghiera all’aeroporto. Anche i cristiani comuni vengono perseguitati. Nel 2010 due cristiani hanno affrontato un processo a Ain El Hammam per essere stati pizzicati a mangiare in treno durante il Ramadan. Il giudice ha chiesto per entrambi tre anni di carcere, anche se alla fine sono stati rilasciati grazie all’impegno di numerosi attivisti per i diritti umani. Nessuna legge obbliga a digiunare, ma non farlo potrebbe essere considerato da un giudice come attentato e offesa ai precetti dell’islam. Per quanto cambiare religione non sia formalmente reato in Algeria, convertirsi al cristianesimo significa spesso subire il disprezzo della società e sottoporsi a processi in tribunale. Emblematico il caso di Mahmoud Yahou, battezzato nel 1994 e diventato pastore protestante nel 1998. Da allora la polizia lo segue tutti i giorni e gli ha perfino ritirato il passaporto perché, in quanto cristiano, è un traditore della patria. Il sindaco di Ath Atteli, dove Mahmoud abita, irritato dalla conversione, ha obbligato la comunità cristiana a rinunciare a praticare il culto. Nel 2010, per aver ospitato in casa degli stranieri cristiani, muniti di regolare visto, Yahou è stato condannato a tre mesi di prigione. In Algeria gli “apostati” sono considerati come degli infami, come dimostra il caso di un altro convertito dall’islam al cristianesimo, Karim Siaghi. Nel 2011, quattro anni dopo la conversione, Karim è stato citato a comparire in tribunale per ingiurie verso il Profeta. A denunciarlo il suo vicino di casa che gli aveva chiesto di rendere omaggio a Maometto e come tutta risposta avrebbe ricevuto un dvd sulla vita di Gesù. Il vicino non aveva prove e Karim ha negato tutto, ma il giudice non gli ha creduto perché l’apostasia è già una presunzione di colpevolezza. E lo ha condannato a cinque anni di carcere duro.