(da Varese News) – Che cosa c’è di meglio, in previsione delle prossime elezioni amministrative, che presentare al Consiglio comunale e alla giunta di Varese un testo dal titolo “Carità e politica. Per un servizio dei cristiani alla comunità civile” scritto da un emerito concittadino e fine giurista, il cardinale Attilio Nicora, scomparso nel 2017?
La proposta di questa presentazione, che si terrà martedì 13 luglio alle 18 e 30 al Salone Estense di Varese, cuore della politica cittadina, è stata avanzata dal Comitato amici del cardinale Attilio Nicora e il Gruppo Lettera alla città. Il saggio risale a trent’anni fa, ma conserva intatta tutta la sua freschezza e attualità, anche perché le logiche politiche di questa “povera patria” sono sempre più autoreferenziali e sempre meno al servizio della comunità.
La lettera a Tito dell’apostolo Paolo
Per richiamare gli impegni del cristiano nella vita civile e politica, Nicora sceglie una pagina della Scrittura, la lettera a Tito dell’apostolo Paolo, che già ai primordi del Cristianesimo prestava grande attenzione a questi problemi. Il saggio è preceduto da un’introduzione che ne sottolinea i passi salienti e da una postfazione.
Lo scritto è tratto dal volume “Stare con il Signore, andare verso i fratelli” curato dalla LUMSA, Libera Università Santa Maria Assunta, con prefazione del segretario di Stato, cardinale Pietro Parolin, edizioni Studium, Roma.
Nicora nel suo scritto prende in considerazione il ruolo della politica e come la stessa reagisce alla novità introdotta dall’annuncio dell’evento cristiano. La domanda di fondo dell’autore è chiara e ineludibile: qual è l’atteggiamento che i cristiani autentici sono chiamati a tenere di fronte alla realtà dell’istituzione sociale e politica dentro la quale essi vivono? Nicora individua tre livelli di risposta progressivi: bisogna rinfrescare e ricordare ai cristiani, che a volte hanno la memoria corta, le verità annunciate fin dalle origini («Vuol dire che un insegnamento cristiano sul rapporto del cristiano con la politica apparteneva già al primo insegnamento della dottrina della fede. Adesso si tratta di rinverdirlo, di riproporlo con convinzione e con autorità»). Il cosa ricordare lo dice chiaramente l’apostolo Paolo: “Essere sottomessi ai magistrati e alle autorità”.
La sottomissione è dunque il comportamento che il cristiano deve tenere di fronte all’istituzione. Questa affermazione può sembrare spiazzante, ma lo stesso Nicora invita a contestualizzarla («siamo in un’epoca in cui non esistevano né potevano esistere quelle condizioni politiche complessive che sono tipiche della nostra epoca e che riflettono, come tutti sappiamo, l’idea di una sovranità popolare, che, vissuta in pienezza, diventa partecipazione democratica e capacità e impegno di tutti i cittadini a determinare, per libero consenso, l’organizzazione della vita sociale. Allora eravamo in una situazione che potremmo definire autocratica») e quindi la sottomissione all’autorità e ai magistrati «era la forma più semplice e nello stesso tempo più esemplare di lealismo politico». Un atteggiamento di fedeltà che in uno stato di diritto dovremmo rivolgere alla legge, sovraordinata rispetto ai cittadini che sono eguali dinnanzi ad essa “senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali” (articolo 3 della costituzione).
La realizzazione del bene comune
Nicora fa un ulteriore e interessante passaggio, quando parla del compito dell’istituzione politica che deve “organizzare la società in modo tale che, per quanto umanamente possibile in un determinato contesto storico, le relazioni tra gli uomini siano disciplinate secondo linee che creino le condizioni per cui ciascuno, e tutti insieme, possano esprimere al meglio la pienezza delle proprie umane possibilità. Il senso della legge è questo, e i provvedimenti amministrativi, che poi via via la attuano, dovrebbero mirare a creare quelle condizioni comuni di organizzazione sociale che traducono e presidiano in concreto quello che la dottrina sociale della Chiesa ama chiamare il “bene comune”.
Al servizio di giustizia e carità
Il bene comune, infatti, non è né privato né pubblico, ma soddisfa bisogni che sono comuni e condivisi, pensiamo al diritto alla salute o alla salvaguardia dell’ambiente. Scrive Nicora: “In fondo, nel sottomettermi alla legge, mi sottometto agli altri, riconosco gli altri nella loro dignità personale, riconosco il valore di questo nostro vivere e crescere insieme e adeguo la mia volontà a quelle esigenze essenziali e fondamentali che servono a garantire le condizioni del bene di tutti e di ciascuno. Se la sottomissione è vissuta in questa prospettiva, non è qualcosa che vada contro la dignità del cristiano e la libertà a cui l’ha chiamato la fede in Gesù Cristo, ma, all’opposto, è una forma altissima di manifestazione di quella libertà paradossale del cristiano che è libertà di mettersi reciprocamente a servizio gli uni degli altri nella logica della giustizia e della carità. Allora il cristiano, di fronte all’istituzione civile e politica, riconosciuta secondo quest’ordinamento fondamentale che risponde all’originario disegno di Dio creatore e provvidente, liberamente accetta di mettersi in atteggiamento di sottomissione, cioè riconosce che l’esigenza espressa dalla legge trascende, supera, il suo ambito limitato, che rischia di diventare personalistico e privilegiato, ed esige un adeguamento, una partecipazione che concorre a creare e a garantire le condizioni per il bene di tutti. Dunque il cristiano non è un ribelle per natura e l’obbedienza civile è una virtù”.