(Luigino Bruni di Avvenire) – Affinché in una civiltà (in declino) una nuova religione possa subentrare a quella esistente, deve lavorare sulle feste. Occupare e ‘ribattezzare’ le vecchie feste popolari, lasciare la data e qualche volta il nome e cambiarne il significato – con l’avvento del cristianesimo, il romano Sol invinctus divenne Natale, le Ferie di Augusto (Ferragosto) divennero l’Assunta, il culto dei morti fu Ognissanti… E poi, come secondo atto fondamentale, occorre introdurre nuove feste per celebrare lo specifico del nuovo culto. Il black friday riunisce in sé queste due caratteristiche: è una festa specifica del culto capitalisticoconsumista, ma è agganciata ad una festa della religione precedente, il thanksgiving, di cui sta prendendo il posto (il black friday è nato quasi un secolo fa come il giorno dopo il Ringraziamento, ora il Ringraziamento è diventato la vigilia del «venerdì nero»). La religione capitalistica sta dunque facendo col cristianesimo quello che questo aveva fatto in Europa con i culti romani e indigeni.
Prima ha occupato le feste cristiane e ora ne sta introducendo di nuove. Tra queste la più potente è quella che si festeggia oggi in tutto il mondo, in tutte le latitudini, da uomini e donne, bambini e anziani, che oltrepassa le barriere culturali e politiche. La promessa della salvezza eterna del cristianesimo è stata sostituita dallo sconto. Una piccola salvezza, ma molto più a portata di mano e concreta del paradiso e del purgatorio. Salvezza universale per tutti, molto cattolica e poco protestante, perché qui ci si salva solo con le opere, non serve la fede. Quest’anno, poi, il black fridayha introdotto anche la novità dell’avvento (o della quaresima), come si conviene alle grandi feste comandate: due settimane di offerte – si noti la parola religiosa – per prepararsi spiritualmente al grande ultimo venerdì sacro del mese, quando le offerte saranno perfette, e perfetto il culto. E così, dopo due millenni, il post-cristianesimo si ritrova dentro una nuova religione pagana, molto più simile ai culti cananei che alla civiltà del trionfo della ragione illuminista.
Eppure prima Marx, poi Benjamin – entrambi ebrei ed esperti di religione e di idolatria – ci avevano avvisato che la forza del capitalismo si trovava proprio nella sua natura di nuova religione senza metafisica, di religione di puro culto. Ma noi non li abbiamo ascoltati. È stato sufficiente l’arco temporale di una vita (mio padre è nato in un mondo e morirà in un altro) per cancellare dall’anima collettiva occidentale l’eredità classica e cristiana. Tutto quel patrimonio morale, quella cultura nata dall’impasto di etica greco-romana, biblica e cristiana, è stato spazzato via in pochi decenni. La stessa Chiesa, e in generale le grandi religioni, non se ne sono accorte, certamente non se ne sono accorte abbastanza. Hanno profondamente e gravemente sottovalutato quanto stava accadendo nell’anima collettiva dell’Occidente.
Nell’universo religioso è mancata una coscienza critica attenta, un pensiero abbastanza profondo per capire che sul crepuscolo del secondo millennio stava avvenendo un cambiamento davvero epocale e definitivo. Le Chiese erano troppo occupate a combattere con le loro ultime forze intellettuali i residui di comunismo, di ateismo e di relativismo, alleate quasi sempre con i difensori dell’eredità sbagliata del nostro passato, e così non si sono accorte che mentre combattevano queste battaglie minori e spesso inutili, il consumismo, cioè la versione che il nichilismo ha assunto dentro la forma di vita capitalista, stava occupando completamente le anime della gente. E lo ha fatto nel modo più radicale, riempiendo le anime di cose, occupando con le merci tutto lo spazio interiore dove si coltiva ogni spiritualità autentica e quindi non commerciale.
Nabucodonosor è tornato, ma per conquistarci non ha avuto bisogno di assediarci, perché gli abbiamo spalancato le mura della città e la porta del santuario. Siamo già in esilio lungo i fiumi di Babilonia, ma crediamo che siano i fiumi delle vacanze esotiche o le terme delle SPA. Siamo già dietro le nuove processioni del dio Marduk ma crediamo ancora di portare in spalla il baldacchino del Santo patrono della festa del paese. Pierpaolo Pasolini è stato tra i pochi inascoltati profeti laici a cogliere l’essenza del grande mutamento spirituale operato dalla civiltà dei consumi: «Nessun centralismo fascista è riuscito a fare ciò che ha fatto il centralismo della civiltà dei consumi. Il fascismo proponeva un modello, reazionario e monumentale, che però restava lettera morta. Le varie culture particolari (contadine, sottoproletarie, operaie) continuavano imperturbabili a uniformarsi ai loro antichi modelli: la repressione si limitava ad ottenere la loro adesione a parole. Oggi, al contrario, l’adesione ai modelli imposti dal Centro, è tale e incondizionata. I modelli culturali reali sono rinnegati. L’abiura è compiuta» (‘Corriere della sera’, del 9 dicembre 1973). Il primo dogma della nuova religione è un consumo assoluto, senza se e senza ma.
La società tradizionale aveva posto il risparmio al centro dell’economia. Saper risparmiare, non spendere tutto il reddito, era stata considerata fino a ieri la virtù economica più importante, e sprecare soldi in acquisti non necessari il principale vizio delle famiglie. Anche perché il risparmio diventava, grazie alla mediazione delle banche, investimenti delle imprese e quindi lavoro. Il nuovo culto ha trasformato le virtù in vizi e i vizi in virtù, e le banche hanno iniziato a fare altro con i nostri risparmi. E ora i governi, le istituzioni economiche nazionali ed internazionali sono sempre più preoccupate perché le famiglie non consumano abbastanza, perché non stanno traducendo tutto il nuovo reddito della debole ripresa in consumi.Tutti allarmati e scandalizzati perché le famiglie, dopo questi quasi due anni di paura e di terrore senza precedenti, stanno mettendo da parte qualche risparmio. La prudenza da virtù cardinale è diventata vizio capitale. Perché chi non consuma tutto il reddito non rilancia i consumi e blocca la crescita. Risparmiare è il nuovo vizio pubblico, che frena la virtù privata del consumo.
Come se il consumo fosse tutto uguale, come se i beni fossero tutti uguali, come se non ci fossero beni privati, beni pubblici, beni comuni, beni meritori, beni relazionali, beni spirituali… Non deve allora stupirci se nelle liturgie comunicative del black friday non vi sia alcun riferimento alla qualità dei consumi, nessun cenno a quali prodotti acquistare; nessuna parola sugli aspetti ambientali, sull’impatto di quei consumi scontati sul pianeta. Come se non avessimo appena avuto il sostanziale fallimento della Cop26, come se le ragazze e i ragazzi da anni non ci stessero chiedendo di cambiare consumi e stili di vita, come se non ce lo chiedesse la Terra, come se non ce lo chiedesse Francesco. Come se questa quantità e questa qualità di consumi non fossero da troppo tempo insostenibili, sbagliate, irresponsabili. Come se i beni non avessero un’anima.