Roma – E’ vero, così recitano le scritture del Nuovo Testamento”. Con buona pace di tutti quelli che “recitano” le scritture, cioè le leggono secondo la tradizione dei bimbi che vanno a dottrina, per molti studiosi e teologi del nostro tempo non è così “vero” che Gesù abbia istituito la successione apostolica e il papato (per giunta, dal 1870, “infallibile”). E nemmeno “questa” Chiesa. La rinuncia di papa Benedetto, che lo storico Le Goff, riferendosi alle intenzioni presunte, ha definito un’ “uscita dalla modernità”, sta producendo un potente effetto di rimbalzo proprio “dentro” la modernità, destinato, forse, a diventare controproducente. Come continuare a mantenere l’aura sacrale e a sostenere l’infallibilità quando un Pontefice romano lascia il soglio perché “non ce la fa”? Joseph Ratzinger, nemico del relativismo, è diventato involontariamente relativista; impressionato dalla secolarizzazione, ha evidenziato la secolarizzazione interna al Vaticano. Difficile conservare memoria della visione immaginata al momento dell’annuncio di Papa Ratzinger come uomo fragile, dallo sguardo infantile, velato di timidezza repressa, disposto a tornare nella sua Germania per sedere in poltrona con il gatto sulle ginocchia ad ascoltare Mozart. In realtà, sempre che la salute glielo consenta (appare davvero vulnerabile), la presenza in Vaticano di un pensiero tutt’altro che debole potrà riservare ancora sorprese, quanto meno letterarie. L’aver fatto vescovo il segretario per mantenerlo accanto a sé ma garantito da vendette postume, la nomina di un finanziere dell’industria bellica tedesca al controllo dello Ior, l’allontanamento in Colombia di un curiale apparentemente più faccendiere che prete, sono scelte forti. Il motu proprio dell’11 novembre 2012 prende atto del disordine amministrativo delle Caritas, ma non ne impone la trasparenza mediante un controllo laicale o tecnico, bensì le sottomette tutte all’autorità episcopale; così la condanna del gender al Consiglio Cor Unum del 19 gennaio, successivo alla lunga controversia con le suore americane accusate di “femminismo”, e la scomunica di p. Bourgeois impegnato a favore del sacerdozio femminile, non illudono sul pensiero teologico del papa “riformatore” che piace ai “laicisti”. Probabilmente il prossimo scritto non riguarderà l’infanzia di Gesù.In ogni caso il nuovo pontefice avrà un compito assai difficile. Tutte le religioni attraversano un momento critico e nemmeno l’islam può restare immutato e non superare i suoi fondamentalismi. Il cattolicesimo non può chiedere agli anglicani di sottomettersi al primato di Roma, dato che nessuno di noi, nemmeno un anglicano, ha qualcosa a che vedere con Enrico VIII: l’ecumenismo deve fare i passi avanti fin qui intercettati, mentre il tempo interpella senza rinvii la libertà religiosa. Anche in questi, che sembrano problemi minori, si tratta di fedeltà ai messaggi originari da cui le religioni traggono senso. Sarebbe molto grave favorire, proprio nella fragilità psicologica della gente che vive male una crisi mondiale, il ritorno al “sacro” e alle ritualità, ormai solo formali. Il 2013 è stato denominato “l’anno della fede”. Da troppo tempo si nomina invano il nome di Dio – sono parole di Benedetto – per interessi profani che arrivano alla corruzione, alla copertura complice degli scandali e all’interferenza nelle politiche degli stati. Ma si parla anche di etica, senza rendersi conto che i “principi non negoziabili” favoriscono l’ipocrisia della doppia morale: il rifiuto di ridiscutere di natura e di sessualità umana fa sì che nessuno segua i precetti della Chiesa che partono da una tradizionale (e materialistica, peraltro) concezione della “natura” per predicare la castità ai divorziati, il celibato ai preti, l’inferiorità della donna rispetto all’altare, il divieto della contraccezione e del preservativo anche anti-aids, la discriminazione dei fratelli omosessuali. Eppure, proprio nei momenti difficili sarebbe importante occuparsi della spiritualità degli umani, non quella che evade nella trascendenza, ma quella che dà senso e alimenta le speranze, camminando insieme alla gente e cercando di prevedere i nuovi “segni dei tempi”. Riprenda il nuovo Papa gli impegni del Concilio Vaticano II a partire dalla collegialità, mettendo fine al pregiudizio di un Concilio finalmente pastorale, contestato perché non dogmatico. Il Vaticano II affrontò un tema di coerenza evangelica senza dargli compiuto sviluppo teologico, quello della “povertà”. I padri conciliari avevano incominciato a trattarne in modo radicale, poco confacente con le linee tendenziali dello Ior, addirittura opponendosi al fasto delle vestimenta clericali. Tuttavia, proprio quel rigore potrebbe rendere amico il volto della Chiesa.
Giancarla Codrignani