(Luigi Patrini di Malpensa24) – Il tema del Meeting di Rimini di quest’anno è particolarmente stimolante. “Il coraggio di dire ‘IO’”: questo è il titolo scelto, tratto da una frase di Kierkegaard. La presentazione che ne hanno fatto oggi, venerdì 20, il Presidente del Meeting, Bernhard Scholz, e il Presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, è stata molto profonda e – chi l’ha sentita in diretta può darne conferma – molto “provocante”, perché non è stata solo una riflessione intellettuale, ma ha suscitato negli ascoltatori il desiderio di un impegno forte e serio con la realtà. “Finalmente discorsi che non dicono solo delle parole – mi sono detto – ma che fanno venire la voglia di mettersi in moto, di affrontare la realtà con grinta, di non tirarsi indietro dalla responsabilità che noi tutti, uomini liberi, abbiamo.
Ma questo è proprio il “bello” del cristianesimo, che non ci offre solo un Annuncio, che non ci propone solo una dottrina, ma che ci dà un desiderio profondo: quello di annunciare nei fatti, nell’agire concreto di tutti i giorni, il grande Messaggio sconvolgente e meraviglioso dell’Amore paterno di Dio per le creature umane. Da qui nasce la vera “filosofia” cristiana. Vengono alla mente le parole del grande Aristotele “La filosofia nasce dalla meraviglia”, che qui assumono concretezza, perché questo è vero per la riflessione culturale, ma è vero anche per il cristianesimo, impregnato in profondità dall’unione tra teoria e prassi, cioè tra la concezione della Realtà che scaturisce dall’Annuncio cristiano e l’agire concreto del singolo fedele e dell’intera comunità dei fedeli.
“Non chiunque mi dice: Signore, Signore, entrerà nel regno dei cieli, ma colui che fa la volontà del Padre mio che è nei cieli” (Mt. 7, 21). Questo è il concetto che è alla base anche della Dottrina sociale della Chiesa, come scrive Leone XIII nella Immortale Dei, l’enciclica scritta nel 1885, ben 6 anni prima della celeberrima Rerum novarum.
Mi sia permesso citare le righe iniziali di quell’enciclica: “Quell’immortale opera di Dio misericordioso che è la Chiesa, sebbene in sé e per sua natura si proponga come scopo la salvezza delle anime e il raggiungimento della felicità celeste, pure anche nel campo delle cose terrene reca tali e tanti benefìci, quali più numerosi e maggiori non potrebbe se fosse stata istituita al precipuo e prioritario scopo di tutelare e assicurare la prosperità di questa vita terrena. E veramente dovunque la Chiesa abbia posto piede ha immediatamente cambiato l’aspetto delle cose, ha instillato nei costumi dei popoli virtù prima sconosciute e una nuova civiltà: e i popoli che l’accolsero si distinsero per l’umanità, per l’equità, per le imprese gloriose”. Ed ecco che subito Leone XIII propone la sfida alla politica (di quel tempo, ma anche del nostro tempo) con queste chiarissime parole: “ Eppure resiste quella tradizionale e oltraggiosa accusa secondo cui la Chiesa sarebbe in contrasto con gl’interessi dello Stato e del tutto incapace di dare un contributo a quelle esigenze di benessere e di decoro, cui a buon diritto e naturalmente tende ogni società ben ordinata”.
Una sfida alla politica, ma soprattutto agli stessi cristiani: non si accontentino di enunciare teorie, di sventolare Vangeli e Rosari nei comizi, ma si rimbocchino le maniche e affrontino con grinta e con gioia la Realtà, tutta la realtà, quella sociale e politica, economica e culturale e mostrino la Verità della Fede, la verità di chi crede con convinzione che tutti gli uomini, senza distinzione alcuna, sono figli dell’unico Creatore e perciò fratelli tra loro. Basta con gli equivoci illuministi di una “fraternité” astratta che ci rende tutti rivali e avversari! Se siamo fratelli, trattiamoci da fratelli, cioè da figli dello stesso Padre!
Utopia? Fantasia astratta? No! Ricordiamoci che l’Utopia è il vero motore della storia, ma non l’Utopia marxiano-marxista, quella che si realizzerà quando sarà sorto “il sol dell’avvenire”, cioè mai, ma un’utopia come quella di cui parla ser Thomas More, un politico concreto come pochi ce ne sono stati: la cui isola di Utopia – come osservò acutamente Francesco Cossiga – “non è lontana nel tempo, ma nello spazio”, perché può essere anche contemporanea a noi; esattamente come la vita nel convento benedettino, fatta di preghiera e di lavoro, seppe e sa ancora essere contemporanea alle epoche più tragiche dei secoli passati e di quello presente, proponendo un modello autentico di vita fraterna, serena e pacifica, capace – pur con le mancanze e i difetti di ogni vita umana – di plasmare i tempi e gli uomini, dando vita a quella civiltà che viene dimenticata da chi l’ha ricevuta in dono, ma verso la quale tutti cercano rifugio e scampo, vedendo in essa quella luminosità e quella attrattiva che chi l’ha avuta in dono non sa più riconoscere.
E i frutti di questa dimenticanza vergognosa, purtroppo, li vediamo tutti e tutti i giorni!