La tesi è che quello ritrovato dai due pastori del Guercino, appoggiato sopra un cippo o una tomba, sia il cranio di Dagoberto II, l’ultimo dei Merovingi. Ricostruire la vicenda dei Merovingi, della loro fine e della loro ipotetica sopravvivenza segreta è un’impresa disperante. Impossibile, poi, dire con certezza quale fosse – ammesso che ci fosse – il loro legame con il Priorato di Sion. La risposta che “va per la maggiore” negli ambienti esoterici è esposta nel sito antiqua.altervista.org, dal quale si evince che Maria Maddalena sarebbe sfuggita ad una persecuzione rifugiandosi in Provenza. Avrebbe poi risalito il Rodano raggiungendo la tribù dei Franchi, che non sarebbero stati altro che la tribù ebraica di Beniamino, fuggita dopo la diaspora in Arcadia: di qui tutti i misteri collegati all’Arcadia ed il motto Et in Arcadia ego.
La tappa successiva sarebbe stata la Francia; a quel tempo Maria era incinta: aspettava infatti un figlio da Gesù, che secondo alcuni Vangeli apocrifi, come ad esempio quello antichissimo di Tommaso, era scampato alla crocifissione e forse si era messo in salvo anch’egli in Francia (su questo fatto la tradizione apocrifa è stranamente dubbiosa e reticente, mentre dà per certo l’arrivo in Francia della Maddalena). Dalla stirpe dei Franchi Sicambri sarebbe derivata la dinastia dei Merovingi. Questi sovrani erano noti anche come “re taumaturghi”, sebbene i libri di storia li ricordino piuttosto come “re fannulloni”. In effetti pare che fossero restii ad avere contatti con il prossimo e molto poco attivi, proprio a causa della loro natura sacra e della loro capacità di operare miracoli. Si dice anche che fossero di aspetto bellissimo e molto simili all’iconografia tradizionale di Gesù, e che i loro poteri magici avessero a che fare con i loro capelli, che non tagliavano mai. Questa notizia leggendaria è involontariamente confermata dallo storico bizantino Prisco (420-470 circa) che conobbe Meroveo nel 448 d.C. e lo descrisse così: “Io lo vidi qui, ed era ancora molto giovane. Aveva bellissimi capelli biondi, folti, lunghissimi che gli scendevano sulle spalle”.
Inoltre – ed è questo l’elemento che più interessa – una tipica usanza merovingia era praticare un foro nel cranio: i Merovingi ritenevano infatti che la liberazione dell’anima dal corpo potesse avvenire, dopo la morte, solo tramite questo foro rituale. Ma la dinastia ebbe termine nel più traumatico dei modi. Come si legge nel sito sopra indicato: “Il 23 dicembre 679 avvenne il fatto importante di questa narrazione storica: Dagoberto II fu assassinato nella foresta di Woevres nelle vicinanze di Stenay, nelle Ardenne, ed il delitto era stato commissionato, forse, addirittura al suo stesso figlioccio Giovanni, da parte del maestro di palazzo, Pipino il Grosso. Verso mezzogiorno, sopraffatto dalla stanchezza, il re, dopo una battuta di caccia, si era addormentato in riva ad un ruscello sotto un albero e l’assassino, approfittando del sonno in cui era sprofondato il suo sovrano, gli aveva conficcato una lancia nell’occhio. Pare che il delitto venne compiuto con la tacita approvazione della Chiesa cattolica che ritenne di poter sopportare quest’atto generato dall’interesse politico, pur di sopprimere l’eresia ariana. Subito dopo, infatti, la Chiesa romana sostenne il diritto di Pipino di assumere il potere”. Significativo il mezzo di cui si serve il sicario per uccidere Dagoberto: gli pianta una lancia nel cranio (nell’occhio). Una sorta di macabra parodia della pratica del foro nel cranio attraverso il quale sarebbe avvenuta “la liberazione dell’anima” (in questo caso, ahimé, in senso letterale). Tuttavia, secondo la tesi diffusa negli ambienti esoterici, “Mérovée Levi, signore di Mirepoix, su ordine di Bera II, salvò il figlio di Dagoberto, Sigiberto IV, portandolo a Rennes Le Château; in seguito egli divenne conte del Razès”. Stando a questa teoria, quindi, la dinastia dei discendenti di Gesù non era finita, ma sopravvisse in gran segreto, tutelata dal Priorato di Sion e dai Templari, istituzioni che sarebbero state create appositamente per quello scopo (la presenza dei Templari alle Crociate sarebbe stata quindi un paravento). In seguito si sarebbe verificato un drammatico “divorzio” tra il Priorato e i Templari, per cause che restano tutte da chiarire. L’episodio viene tradizionalmente legato al leggendario “taglio dell’olmo di Gisors” avvenuto nel 1188, un fatto storico ma riferito dalle fonti in modo oltremodo confuso e contraddittorio, cui partecipò anche Riccardo Cuor di Leone: in quella data, appunto, l’Ordine di Sion rinnegò ufficiosamente il figlio Ordine dei Templari. Da allora, si dice, l’Ordine di Sion divenne “Priorato”, adottando il sottotitolo di “Ormus”, che significa “olmo” in francese (il nome suona per l’esattezza “orme”) e si dice abbia a che fare con il latino “ursus” (l’orso, fra l’altro, era il simbolo di Dagoberto); inoltre è il nome con cui è indicato il Gran Maestro dei Rosacroce. I depositari di questo delicatissimo segreto avrebbero ben presto assunto la “maschera” di pastori (pastori d’Arcadia ovviamente, vista la provenienza della tribù di Beniamino), ad indicare la loro qualifica di “custodi” del segreto (il pastore altro non è che il custode del gregge), che andava difeso accanitamente contro la persecuzione della Chiesa cattolica, complice del delitto dei Carolingi e loro alleata, la quale fondava tutta la propria autorità sul presupposto che Pietro, e non certo la Maddalena e i suoi figli, fosse il vero erede di Cristo. Secondo la maggior parte degli studiosi di queste vicende, in seguito essi si sarebbero trasformati da custodi-pastori in costruttori-muratori, cioè in massoni (in francese maçon significa appunto “muratore”). Di qui la tesi che la Massoneria, attraverso la probabile mediazione dei Rosacroce, sia l’erede del Priorato di Sion.
Tutto questo è molto affascinante, ma c’è un problema: è vero che Dagoberto II aveva un figlio? La domanda è più che legittima: infatti nessuna fonte storica conosce Sigiberto IV, e nemmeno sua madre, Giselle de Razès. Il segreto era stato mantenuto fin troppo bene, o semplicemente il bambino e la madre non sono mai esistiti? Quest’ultima è la risposta data per scontata pressoché in tutti i siti italiani “ufficiali” (si veda ad esempio questo contributo dell’Università di Brescia). Peccato che all’estero la versione dei fatti sembri essere alquanto differente; ad esempio in un sito inglese specializzato in alberi genealogici si legge: “Male: King of Austrasia Dagobert Merovingian II. Dagobert was born in year 0652. He died, at the age of 27 years, on December 23rd, 0679. Female: Giselle de Razès. Giselle was born in year 0655 in France. She died, at the age of 21 years, in year 0676. Children: Female: Adela of Austrasia. Adela was born in year 0650. Male: Count Sigebert de Razes IV. Sigebert was born in year 0676. He died, at the age of 82 years, in year 0758”. E, come sempre, riesce difficile – per non dire impossibile – capire chi stia mentendo: le acque sono state troppo intorbidate, le tracce, se mai ci sono state, sono scomparse, tutto è divenuto leggenda, come tale incontrollabile. La partita si chiude con un’unica vincitrice: la damnatio memoriae.
Che c’entra tutto questo con il dipinto del Guercino? C’entra eccome, dal momento che, secondo gli interpreti legati a questa teoria, in questo quadro siamo in presenza di almeno quattro elementi riconducibili alla tesi appena esposta:
1. i protagonisti sono dei pastori;
2. il dipinto è ambientato in Arcadia;
3. è presente un teschio con un buco (oltre tutto in prossimità dell’occhio);
4. Et in Arcadia Ego era, a quanto si dice, il motto del Priorato di Sion.
Una serie di coincidenze davvero impressionanti, se non fosse che…
Osserviamo meglio, e da vicino, il “buco” nel teschio: come si può osservare meglio, non è un buco, è un moscone! Quindi, niente allusione ai Merovingi.
Cade così una delle ipotesi più intriganti che siano state messe in campo per spiegare il dipinto.
Tuttavia non basta questo dettaglio a sgomberare il campo da questa ipotesi. Infatti, al di là dell’incontestabile fatto che si tratta di un moscone (dipinto fra l’altro con grande perizia), è pur vero che esso crea l’illusione ottica di un buco. Non è quindi completamente da escludere che, mediante l’astuto ricorso all’insetto, Guercino abbia voluto comunque alludere al cranio forato dei Merovingi: la solita strizzatina d’occhio a “color che sanno”?