I TEMPLARI AVEVANO UN DUPLICE CARATTERE, AD UN TEMPO MILITARE E RELIGIOSO, ED È COSÌ CHE DOVEVA ESSERE SE ESSI ERANO, COME PER DIVERSE RAGIONI NOI PENSIAMO, DEI GUARDIANI DEL CENTRO SUPREMO, OVE L’AUTORITÀ SPIRITUALE ED IL POTERE TEMPORALE SONO RIUNITI NEL LORO COMUNE PRINCIPIO
Di René Guénon (Pubblicato su Le Voile d’Isis, Parigi, agosto-settembre 1929)
Fra gli attributi degli Ordini cavallereschi, ed in particolare dei Templari, uno dei più conosciuti, anche se in generale non dei meglio compresi, è quello di «guardiani della Terra Santa». Sicuramente, se ci si attiene al significato più esteriore, si trova una immediata spiegazione di ciò nel nesso che esiste fra l’origine di questi Ordini e le Crociate, poiché per i Cristiani, come per gli Ebrei, sembra che la «Terra Santa» non indichi altro che la Palestina. Tuttavia, la questione diventa più complessa allorché si consideri che diverse organizzazioni orientali, di indubbio carattere iniziatico, come gli Assassini e i Drusi, avevano parimenti assunto lo stesso attributo di «guardiani della Terra Santa». Qui, in effetti, non può più trattarsi della Palestina; d’altronde, è da notare che queste organizzazioni presentano un gran numero di tratti in comune con gli Ordini cavallereschi occidentali e, per di più, alcune di esse sono state, anche in termini storici, in relazione con quest’ultimi.
Cosa bisogna intendere, dunque, con il termine «Terra Santa» e a cosa corrisponde esattamente questo ruolo di «guardiani», il quale sembra collegato con un particolare tipo di iniziazione che è possibile chiamare «cavalleresca», dando a questo termine un’estensione più ampia di quanto si faccia ordinariamente, ma che comunque è ampiamente giustificato dalle analogie esistenti fra le differenti forme di cui stiamo trattando?
Altrove, ed in particolare ne Il Re del Mondo, abbiamo indicato che l’espressione «Terra Santa» ha un certo numero di sinonimi: «Terra Pura», «Terra dei Santi», «Terra dei Beati», «Terra dei Viventi», «Terra d’Immortalità», e che queste designazioni equivalenti si riscontrano nelle tradizioni di tutti i popoli e che si applicano essenzialmente ad un centro spirituale la cui localizzazione in una determinata regione può essere intesa, a seconda dei casi, sia in senso letterale che simbolico, oppure in entrambi i sensi. Ogni «Terra Santa» è anche designata con espressioni come: «Centro del Mondo» o «Cuore del Mondo», e ciò richiede alcuni chiarimenti, poiché, quantunque diversamente applicate, queste designazioni uniformi potrebbero facilmente comportare delle confusioni.
Se consideriamo, per esempio, la tradizione ebraica, vediamo che nel Sepher Ietsirah si parla del «Santo Palazzo» o «Palazzo Interiore» che è il vero «Centro del Mondo», nel senso cosmogonico; e vediamo anche che questo «Santo Palazzo» si riflette, nel mondo umano, nella residenza in un certo luogo della Shekinah, che è la «presenza reale» della Divinità. Per il popolo di Israele, questa residenza della Shekinah era il Tabernacolo (Mishkan) il quale, per questo motivo ed in forza di questa presenza, era considerato il «Cuore del Mondo», poiché era effettivamente il centro spirituale della sua tradizione. D’altronde, questo centro non fu un luogo fisso fin dall’inizio; quando si tratta di un popolo nomade, come in questo caso, il suo centro spirituale deve spostarsi con esso, rimanendo tuttavia sempre identico nel corso degli spostamenti. «La residenza della Shekinah – dice Vulliaud – divenne fissa solo il giorno in cui fu costruito il Tempio, per il quale Davide aveva preparato l’oro, l’argento e tutto quanto sarebbe stato necessario a Salomone per compiere l’opera (È il caso di notare che le espressioni usate qui, ricordano l’assimilazione frequentemente stabilita fra la costruzione del tempio, considerata nel suo significato ideale, e la «Grande Opera» degli ermetisti). Il Tabernacolo della Santità di Iehovah, la residenza della Shekinah, è il Santo dei Santi, che è il cuore del Tempio, che è a sua volta il Centro di Sion (Gerusalemme), come la santa Sion è il centro della Terra d’Israele e questa è il centro del mondo» (La Kabbale juive, Parigi, 1923, t. I, p. 509). È facile notare che qui è presente una serie di estensioni graduali all’idea del centro, in funzione delle applicazioni successive che vengono fatte, di modo che l’appellativo di «Centro del Mondo» o di «Cuore del Mondo» è infine esteso all’intera Terra d’Israele in quanto viene considerata come la «Terra Santa»; occorre aggiungere che, nella stessa ottica, essa riceve anche, fra le altre denominazioni, quella di «Terra dei Viventi». Si parla della «Terra dei Viventi che comprende sette terre» e Vulliaud osserva che «questa Terra è Chanaan ove vi erano sette popoli» (La Kabbale juive, Parigi, 1923, t. II, p. 116), cosa che è esatta nel senso letterale, anche se è ugualmente possibile una interpretazione simbolica.
Questa espressione di «Terra dei viventi» è un esatto sinonimo di «soggiorno di immortalità», e la liturgia cattolica la applica al soggiorno celeste degli eletti, che in effetti era rappresentato dalla Terra promessa, poiché Israele giungendo in essa doveva vedere la fine delle sue tribolazioni.
Ancora, da un altro punto di vista, la Terra d’Israele, in quanto centro spirituale, era un’immagine del Cielo, poiché, secondo la tradizione giudaica, «tutto ciò che fanno gli Israeliti sulla terra è compiuto secondo i modelli di ciò che avviene nel mondo celeste» (La Kabbale juive, Parigi, 1923, t. I, p. 501).
Ciò che è detto qui per gli Israeliti può essere parimenti detto per tutti i popoli che sono in possesso di una tradizione veramente ortodossa; infatti, il popolo d’Israele non è il solo ad aver assimilato una sua terra al «Centro del Mondo» e ad averla considerata come un’immagine del Cielo, due idee che, del resto, sono in realtà una sola.
L’uso dello stesso simbolismo si ritrova presso altri popoli che possiedono anch’essi una «Terra Santa», cioè un luogo ove era posto un centro spirituale che per essi aveva un ruolo paragonabile a quello del Tempio di Gerusalemme per gli Ebrei. Sotto questo profilo, la «Terra Santa» è l’equivalente dell’Omphalos (cultura greca), che era, anch’esso l’immagine visibile del «Centro del Mondo» per il popolo che abitava la regione in cui era posto.
Il simbolismo in questione si riscontra in particolare presso gli antichi Egizi; infatti, secondo Plutarco, «gli Egizi danno alla loro regione il nome di Chémia (Kémi, in egizio, significa «terra nera», designazione di cui si trova l’equivalente anche presso altri popoli, da questo termine è derivato quello di alchimia – ove al è l’articolo arabo – che originariamente designava la scienza ermetica, cioè la scienza sacerdotale dell’Egitto) e la paragonano ad un cuore.
Il motivo addotto da questo autore è molto strano: «Questa regione è infatti calda e umida, compresa nella zona meridionale delle terre abitate, essa si estende a mezzogiorno, come nel corpo umano il cuore si trova a sinistra», poiché «gli Egizi considerano l’Oriente come il volto del mondo, il Nord come la destra e il Mezzogiorno come la sinistra». In India, invece, il Mezzogiorno è indicato come «la parte destra» (dakshina); ma nonostante le apparenze, si tratta della stessa cosa, poiché per parte destra bisogna intendere quella che si trova alla destra di chi guarda ad Oriente, ed inversamente, per chi è posto di fronte, diventa facile considerare la stessa parte del mondo come estendentesi alla sua sinistra, così come accade a due persone poste una di fronte all’altra. Queste similitudini, in realtà, sono molto superficiali e la vera ragione dev’essere tutt’altra, poiché lo stesso raffronto con il cuore è stato ugualmente applicato a tutte le terre alle quali veniva attribuito un carattere sacro e «centrale», in senso spirituale, al di la della loro posizione geografica. D’altronde, secondo lo stesso Plutarco, il cuore mentre rappresentava l’Egitto, al tempo stesso rappresentava il Cielo: «Gli Egizi – egli dice – raffigurano il Cielo, che non potrebbe invecchiare perché è eterno, con un cuore posto su un braciere la cui fiamma ne alimenta l’ardore» (Si noterà che questo simbolo, con il significato che qui gli è dato, sembra poter essere accostato a quello della fenice). Cosicché il cuore è, ad un tempo, il geroglifico dell’Egitto e quello del Cielo, tanto più se si considera che è anche raffigurato con un vaso, il quale è poi lo stesso di quello che le leggende del Medioevo occidentale dovevano indicare col nome di «Santo Graal».
Da queste considerazioni si può concludere che vi sono tante «Terre Sante» particolari, per quante sono le forme tradizionali regolari poiché esse ne rappresentano i centri spirituali corrispondenti; ma il motivo per cui lo stesso simbolismo si applica uniformemente a tutte le «Terre Sante» è che questi centri spirituali hanno tutti un’analoga costituzione, spesso fin nei minimi particolari, poiché essi sono altrettante immagini di uno stesso centro unico e supremo, che è, esso solo, il vero «Centro del Mondo», ed è da esso che tutti gli altri traggono i loro attributi, in quanto partecipano della sua natura per mezzo di una comunicazione diretta. nella quale trova fondamento l’ortodossia tradizionale; mentre, al tempo stesso, essi lo rappresentano effettivamente, in maniera più o meno esteriore, in determinati tempi e luoghi. In altri termini, esiste una «Terra Santa» per eccellenza, prototipo di tutte le altre; centro spirituale cui sono subordinati tutti gli altri centri; sede della Tradizione primordiale da cui tutte le tradizioni particolari sono derivate per adattamento a tali o tal altre condizioni definite, quali quelle di un popolo o di un’epoca. Questa «Terra Santa» per eccellenza è la «contrada suprema», secondo il significato del termine sanscrito Paradesha, da cui i Caldei hanno derivato il Pardes e gli Occidentali il Paradiso; essa è in effetti il «Paradiso terrestre», che è esattamente il punto di partenza di tutte le tradizioni, avente al suo centro la fonte unica da cui si dipartono i quattro fiumi che scorrono verso i quattro punti cardinali. Questa fonte è identica alla «fontana d’insegnamento», alla quale abbiamo più volte fatto allusione, ed è anche il «soggiorno d’immortalità», come ci se ne può facilmente rendere conto dai primi capitoli della Genesi. Ciò è possibile perché la «fontana d’insegnamento» è identica alla «fontana della giovinezza» (fons juventutis), dal momento che colui che vi si abbevera è liberato dalla condizione temporale; d’altronde, essa è posta ai piedi dell’«Albero della Vita» o con la «bevanda d’immortalità» di cui si parla dappertutto sotto nomi diversi. Non possiamo ritornare qui su tutte le questioni riguardanti il centro supremo, che abbiamo già trattato altrove, più o meno esaurientemente: la sua conservazione, in una maniera più o meno nascosta, a seconda dei periodi, dall’inizio alla fine del ciclo, cioè dal «Paradiso terrestre» fino alla «Gerusalemme celeste» che ne rappresentano le due fasi estreme; i molteplici nomi con i quali è indicato, come Tula, Luz, Salem, Agartha; i diversi simboli che lo raffigurano, come la montagna, la caverna, l’isola e molti altri ancora, che in maggioranza hanno una relazione immediata col simbolismo del «Polo» o dell’«Asse del Mondo».
Qui, a queste raffigurazioni, possiamo aggiungere quelle che ne fanno una città, una roccaforte, un tempio o un palazzo, a seconda dell’aspetto sotto cui lo si considera in maniera più particolare; e con l’occasione, ricordiamo anche, oltre al Tempio di Salomone che si ricollega più direttamente al presente argomento, la triplice cinta di cui abbiamo parlato recentemente come di una rappresentazione della gerarchia iniziatica di certi centri tradizionali; nonché il misterioso labirinto che, sotto una forma più complessa, si ricollega ad una concezione similare, con la differenza che, nel suo caso, viene soprattutto evidenziata l’idea di un «cammino difficoltoso» verso il centro nascosto. Il labirinto di Creta era il palazzo di Minosse (Minos), nome identico a quello di Manu, con cui si designa il Legislatore primordiale. D’altra parte, da quanto diciamo qui, si può comprendere il motivo per cui, nel Medioevo, percorrere il labirinto tracciato sul pavimento di alcune chiese era considerato come sostitutivo del pellegrinaggio in terra Santa, per chi non fosse in condizione di compierlo; occorre ricordare che il pellegrinaggio è precisamente una delle figurazioni dell’iniziazione, di modo che il «pellegrinaggio in Terra Santa» è, in senso esoterico, la stessa cosa della «ricerca della Parola perduta» o della «cerca del Santo Graal». A questo punto dobbiamo aggiungere che il simbolismo della «Terra Santa» ha un duplice significato: che la si riferisca al Centro supremo o ad un centro subordinato, essa rappresenta non solo questo stesso centro ma per associazione, d’altronde del tutto naturale, anche la tradizione che da esso emana o che in esso è conservata, vale a dire, nel primo caso la Tradizione primordiale, e nel secondo una certa particolare forma tradizionale. Analogicamente, dal punto di vista cosmogonico, il «Centro del Mondo» è il punto originario da cui proferisce il Verbo creatore ed è altresì lo stesso Verbo. Questo duplice significato si ritrova parallelamente, ed in maniera molto netta, nel simbolismo del «Santo Graal», che è, ad un tempo, un vaso (grasale) ed un libro (gradale o graduale); quest’ultimo aspetto indica chiaramente la tradizione, così come l’altro concerne più direttamente lo stato corrispondente al possesso effettivo di questa tradizione, e cioè lo «stato edenico» allorché si tratta della Tradizione primordiale; e colui che è pervenuto ad un tale stato è, per ciò stesso, reintegrato nel Pardes, per cui è possibile dire che la sua dimora è ormai nel «Centro del Mondo». A tal proposito, è importante ricordare che in tutte le tradizioni, i luoghi simboleggiano essenzialmente gli stati. D’altra parte, facciamo notare che vi è un’evidente parentela fra il simbolo del vaso o della coppa e quello della fontana, di cui abbiamo parlato prima, ed abbiamo anche visto come, per gli Egizi, il vaso fosse il geroglifico del cuore, centro vitale dell’essere. Ricordiamo infine quello che abbiamo già detto in altre occasioni a proposito del vino, come sostitutivo del Soma vedico e come simbolo della dottrina nascosta; in tutto ciò, sotto una forma o l’altra, si tratta sempre della «bevanda d’immortalità» e della restaurazione dello «stato primordiale». Non è senza motivo che accostiamo qui questi due simbolismi, giacché la loro stretta similitudine dimostra che quando si parla della «cavalleria del Santo Graal» o dei «guardiani della Terra Santa», con queste due espressioni bisogna intendere esattamente la stessa cosa.
Rimane da spiegare, nei limiti del possibile, in che consista propriamente la funzione di questi «guardiani» funzione che fu, in particolare, quella dei Templari: Saint-Yves d’Alveydre, per indicare i «guardiani» del Centro supremo, usa l’espressione «Templari dell’Agartha»; le considerazioni che esporremo mostreranno l’esattezza di questa espressione, di cui lo stesso autore, forse, non aveva colto pienamente il significato.
Per comprenderne bene il significato, occorre distinguere tra i detentori della tradizione, che hanno la funzione di conservarla e di trasmetterla, e coloro che, per gradi diversi, ne ricevono solamente una comunicazione e, potremmo dire, una partecipazione. I primi, che sono i depositari ed i dispensatori della dottrina, rimangono alla fonte, che è propriamente il centro stesso; da qui la dottrina si comunica e si distribuisce gerarchicamente ai diversi gradi iniziatici, secondo le correnti rappresentate dai fiumi del Pardes, oppure, se ci si vuol riferire alla figurazione che abbiamo esaminato, secondo i canali che, dall’interno verso l’esterno, collegano fra loro le cinte successive che corrispondono a questi diversi gradi. Tutti coloro che partecipano della tradizione, dunque, non sono pervenuti allo stesso grado, né svolgono la stessa funzione. È altresì necessario distinguere fra queste due cose, le quali, benché generalmente corrispondano in una certa misura, non sono tuttavia strettamente solidali, poiché può accadere che un uomo sia intellettualmente qualificato per raggiungere i gradi più elevati ma non per questo sia adatto a svolgere tutte le funzioni presenti nell’organizzazione iniziatica.
Qui noi prenderemo in considerazione solo le funzioni e, da questo punto di vista, diciamo che i «guardiani» rimangono al limite del centro spirituale, inteso nel senso più ampio, o all’ultima cinta tramite la quale questo centro è, nel contempo, separato ed in contatto col «mondo esterno». Di conseguenza, questi «guardiani» hanno una doppia funzione: per un verso sono propriamente i difensori della «Terra Santa», nel senso che ne interdicono l’accesso a coloro che non possiedono le qualificazioni richieste per potervi accedere, costituendo così ciò che noi abbiamo chiamato la sua «copertura esterna», nel senso che essi la nascondono agli sguardi profani; per l’altro verso essi assicurano, tuttavia, alcune regolari relazioni con l’esterno, così come spiegheremo più avanti.
È evidente che il ruolo di difensori e, per esprimersi nel linguaggio della tradizione indù, una funzione da Kshatriya, e precisamente ogni iniziazione «cavalleresca» è essenzialmente adattata alla natura propria degli uomini che appartengono alla casta guerriera, cioè degli Kshatriya. È da ciò che derivano i caratteri speciali di questa iniziazione, il particolare simbolismo che essa usa e, in modo peculiare, l’intervento di un elemento affettivo, indicato in modo esplicito con il termine «Amore»; ci siamo già sufficientemente spiegati su tale argomento, tanto da poterci esimere dal farlo qui. Ma, nel caso dei Templari vi è qualcosa di più da prendere in considerazione: benché la loro iniziazione fosse essenzialmente «cavalleresca», come conveniva alla loro natura ed alla loro funzione, essi avevano un duplice carattere, ad un tempo militare e religioso, ed è così che doveva essere se essi erano, come per diverse ragioni noi pensiamo, dei «guardiani» del Centro supremo, ove l’autorità spirituale ed il potere temporale sono riuniti nel loro comune principio, ed ove l’impronta di tale riunione viene trasmessa a tutto ciò che gli è direttamente collegato. Nel mondo occidentale, ove lo spirituale ha assunto una forma specificamente religiosa, i veri «guardiani della Terra Santa», fino a quando ebbero un’esistenza in qualche modo «ufficiale» dovevano essere dei cavalieri che fossero al tempo stesso dei monaci, ed è questo che in effetti furono i Templari.
Ciò ci conduce direttamente alla seconda funzione dei «guardiani» del centro supremo, funzione che consiste, come abbiamo detto, nell’assicurare alcune relazioni esterne, e soprattutto nel mantenere i legami fra la Tradizione primordiale e le tradizioni secondarie e derivate. Perché ciò sia possibile è necessario che, per ogni forma tradizionale, si abbia una o più organizzazioni costituite in base a questa stessa forma, secondo tutte le apparenze, ma composte da uomini che abbiano coscienza di ciò che è al di là di tutte le forme, vale a dire della dottrina unica che è la fonte e l’essenza di tutte le altre, la quale non è nient’altro che la Tradizione primordiale. In un mondo a tradizione giudeo-cristiana una tale organizzazione doveva, in un modo del tutto naturale, avere per simbolo il Tempio di Salomone; questo, d’altronde, avendo cessato d’esistere materialmente ormai da lungo tempo, non poteva avere allora che un significato del tutto ideale, essendo solo un’immagine del Centro supremo, come lo è ogni centro spirituale subordinato; la stessa etimologia del nome Gerusalemme indica abbastanza chiaramente che essa è solo un’immagine visibile della misteriosa Salem di Mechisedec. Se tale fu il carattere dei Templari, per ricoprire il ruolo loro assegnato, che era relativo ad una determinata tradizione, quella dell’Occidente, essi dovevano rimanere collegati esternamente alla forma di questa tradizione, ma, al tempo stesso, l’aver coscienza della vera unità dottrinale li rendeva capaci di comunicare con i rappresentanti di altre tradizioni: è questo che spiega le loro relazioni con certe organizzazioni orientali e soprattutto, com’è naturale, con quelle che altrove svolgevano un ruolo simile al loro. Ciò posto, si può comprendere, peraltro, come la distruzione dell’Ordine del Tempio abbia comportato per l’Occidente la rottura delle regolari relazioni col «Centro del Mondo»; ed è proprio al XIV secolo che occorre far risalire la deviazione che inevitabilmente doveva comportare una tale rottura, deviazione che gradualmente è andata accentuandosi fino ai nostri giorni. Tuttavia, non è possibile affermare che ogni legame sia stato reciso d’un sol colpo; per molto tempo ancora fu possibile, in una certa misura, mantenere delle relazioni, ma solo in maniera nascosta, per mezzo di organizzazioni come la Fede Santa o i «Fedeli d’Amore», o come la «Massenia del Santo Graal» e senza dubbio molte altre ancora, tutte eredi dello spirito dell’Ordine del Tempio e per la maggior parte ad esso collegate a mezzo di una filiazione più o meno diretta. Coloro che conservarono vivo questo spirito e che ispirarono queste organizzazioni, senza mai costituire essi stessi alcun organismo definito, si chiamano Rosacroce; ma venne un giorno in cui gli stessi Rosacroce dovettero lasciare l’Occidente, le cui condizioni erano divenute tali da impedire che la loro azione potesse ancora esercitarsi, e si dice che a quel punto essi si ritirarono in Asia, riassorbiti in qualche modo nel Centro supremo di cui erano come un’emanazione. Per il mondo occidentale non vi è più una «Terra Santa» da custodire, poiché la via che conduce ad essa è ormai interamente smarrita; quanto tempo ancora durerà una tale situazione? Ed è possibile sperare che, prima o poi, la comunicazione possa essere ristabilita? Sono questi degli interrogativi ai quali non spetta a noi dare una risposta: a parte il fatto che noi non vogliamo arrischiare nessuna predizione, la soluzione dipende solo dall’Occidente stesso, poiché solo ritornando alle normali condizioni e ritrovando lo spirito proprio della sua tradizione, se ne ha ancora in sé la possibilità, l’Occidente potrà vedere riaprirsi la via che conduce al «Centro del Mondo».