I templari sono monaci-cavalieri (oggi laici ancorché consacrati in privato) che da sempre combattono per la fede e per difendere gli indifesi. Possono uccidere per evitare che siano massacrati degli innocenti? Possono farlo per legittima difesa o per venire a capo di uno stato di necessità?
Il dibattito dura da nove secoli: è permesso o no dalla Chiesa e dalla religione cristiana uccidere venendo meno al quinto comadamento?
San Bernardo dice di sì: “Quando (il templare, n. d. a.) mette a morte un malfattore, non è un omicida ma, oserei dire, un “malicida”. Vendica Cristo di coloro che commettono il male; difende i cristiani. Se viene ucciso non perisce, ma raggiunge il suo scopo. La morte che egli infligge va a profitto di Cristo; quella che riceve a profitto suo proprio”.
Il nostro Patrono si basa su quanto aveva scritto Sant’Agostino: “Quando perciò indossi le armi per combattere, pensa anzitutto che la tua stessa vigoria fisica è un dono di Dio; così facendo non ti passerà neppure per la mente di abusare d’un dono di Dio contro di lui. La parola data, infatti, si deve mantenere anche verso il nemico contro il quale si fa guerra; quanto più dev’essere mantenuta verso l’amico per il quale si combatte! La pace deve essere nella volontà e la guerra solo una necessità, affinché Dio ci liberi dalla necessità e ci conservi nella pace! Infatti non si cerca la pace per provocare la guerra, ma si fa la guerra per ottenere la pace! Anche facendo la guerra sii dunque ispirato dalla pace in modo che, vincendo, tu possa condurre al bene della pace coloro che tu sconfiggi. Beati i pacificatori – dice il Signore – perché saranno chiamati figli di Dio. Ora, se la pace umana è tanto dolce a causa della salvezza temporale dei mortali, quanto più dolce è la pace divina, a causa dell’eterna salvezza degli Angeli! Sia pertanto la necessità e non la volontà il motivo per togliere di mezzo il nemico che combatte. Allo stesso modo che si usa la violenza con chi si ribella e resiste, così deve usarsi misericordia con chi è ormai vinto o prigioniero, soprattutto se non c’è da temere, nei suoi riguardi, che turbi la pace.” (lettera 189; 6).
Un altro parere ci viene da Papa Urbano II con la sua predica del 27 Novembre 1095 con la quale benedisse i crociati in partenza per Gerusalemme dinnanzi al concilio provinciale riunito a Clermont. In questo discorso il papa offre una possibilità di riscatto a quei cavalieri banditi che violarono la pace di Dio e che la Chiesa si sforza di far rispettare: “Vadano dunque a combattere contro gli infedeli – ha detto in quella circostanza Urbano II – una battaglia che val la pena di combattere e che merita di concludersi con un trionfo, coloro che finora si sono dedicati a guerre private ed abusive, con grave danno dei fedeli! Diventino cavalieri di Cristo, coloro che non erano che masnadieri! Lottino ora, a buon diritto, contro i barbari, coloro che si battevano contro i loro fratelli e parenti! Guadagneranno ricompense eterne, coloro che divenivano mercenari per pochi miserabili soldi. Lavoreranno per la gloria dell’anima de del corpo, coloro che fino ad ora si affaticavano a danno dell’una e dell’altro. Qui erano tristi e poveri; là saranno gioiosi e ricchi. Qui erano nemici del Signore; là saranno suoi amici”.
Oggi lo spinoso e delicato argomento è trattato con estrema chiarezza dal Catechismo della Chiesa Cattolica che noi riprendiamo negli articoli che ci interessano. Eccoli.
Art. 2263 La legittima difesa delle persone e delle società non costituisce un’eccezione alla proibizione di uccidere l’innocente, uccisione in cui consiste l’omicidio volontario. “Dalla difesa personale possono seguire due effetti, il primo dei quali è la conservazione della propria vita; mentre l’altro è l’uccisione dell’attentatore. Il primo soltanto è intenzionale, l’altro è involontario” [San Tommaso d’Aquino, Summa theologiae, II-II, 64, 7].
Art. 2264 L’amore verso se stessi resta un principio fondamentale della moralità. È quindi legittimo far rispettare il proprio diritto alla vita. Chi difende la propria vita non si rende colpevole di omicidio anche se è costretto a infliggere al suo aggressore un colpo mortale. Se uno nel difendere la propria vita usa maggior violenza del necessario, il suo atto è illecito. Se invece reagisce con moderazione, allora la difesa è lecita. E non è necessario per la salvezza dell’anima che uno rinunzi alla legittima difesa per evitare l’uccisione di altri: poiché un uomo è tenuto di più a provvedere alla propria vita che alla vita altrui [San Tommaso d’Aquino, Summa theologiae, II-II, 64, 7].
Art. 2265 La legittima difesa, oltre che un diritto, può essere anche un grave dovere, per chi è responsabile della vita di altri. La difesa del bene comune esige che si ponga l’ingiusto aggressore in stato di non nuocere. A questo titolo, i legittimi detentori dell’autorità hanno il diritto di usare anche le armi per respingere gli aggressori della comunità civile affidata alla loro responsabilità.
Art. 2306 Coloro che, per la salvaguardia dei diritti dell’uomo, rinunciano all’azione violenta e cruenta e ricorrono a mezzi di difesa che sono alla portata dei più deboli, rendono testimonianza alla carità evangelica, purché ciò si faccia senza pregiudizio per i diritti e i doveri degli altri uomini e delle società. Essi legittimamente attestano la gravità dei rischi fisici e morali del ricorso alla violenza, che causa rovine e morti [Cf Conc. Ecum. Vat. II, Gaudium et spes, 78].
Art. 2321 La proibizione dell’omicidio non abroga il diritto di togliere, ad un ingiusto aggressore, la possibilità di nuocere. La legittima difesa è un dovere grave per chi ha la responsabilità della vita altrui o del bene comune.