di Cristina Di Maggio – A sette anni dall’uscita di Giuda e a quattro dalla morte di Amos Oz , esce sempre per Feltrinelli Gesù e Giuda. Il testo breve (64 pagine) è basato sull’ intervento di apertura della conferenza luterana tenutasi a Berlino nel 2017, e sul discorso ampiamente rivisitato che lo stesso scrittore tenne in occasione del premio assegnatogli dalla Dormition Abby di Gerusalemme nello stesso anno per Giuda. Amos Oz estrapola con forza, in questo che potremmo definire un trattato, quello che nel libro aveva tenuto solo sullo sfondo. L’ascesa di Cristo al Golgota dopo il tradimento di Giuda viene infatti evocato dall’anziano colto protagonista del libro (Giuda) solo per porre il suo studente/badante dinnanzi a un nuovo concetto di tradimento. Shemuel Asch, da studente che lavora a una ricerca intitolata Gesù visto dagli Ebrei, scoprirà così un punto di vista non convenzionale, non ancorato all’idea che aveva, che tutti abbiamo sempre avuto e ritrovato nei vangeli gnostici, dove emerge che il tradimento di Giuda-aver consegnato Gesù alle autorità e a Ponzio Pilato – non fu altro che l’esecuzione di un ordine di Gesù stesso per portare a termine il suo disegno. Da qui il concetto rivoluzionario di Oz secondo il quale: solo chi tradisce è in grado di cambiare il mondo; solo chi esce fuori dalle convenzioni della comunità cui appartiene è capace di lasciare un segno indelebile nella storia dell’umanità. In Gesù e Giuda approfondisce entrambe le figure soffermandosi in particolare su quella che il mondo intero considera la figura più abietta della storia, cercando, come scrive Erri De Luca nella prefazione, di disinnescare dall’odio il nome di Giuda.
Nessuna altra storia, scrive Oz, ha mai generato tanto odio, tanta violenza, tanto spargimento di sangue, tante persecuzioni, tanti genocidi, quanto l’odiosa storia di quel tradimento, dei trenta pezzi d’argento e del bacio. Lo scrittore fa della figura di Giuda l’archetipo dell’ebreo eternamente demonizzato e maledetto, la Cernobyl dell’antisemitismo cristiano degli ultimi duemila anni; la fonte di un duraturo avvelenamento di massa di anime innocenti, che ha inquinato le relazioni tra ebrei e cristiani per oltre due millenni. Lo stesso antisemitismo islamico dei nostri giorni, afferma Oz, adotta lo stereotipo di Giuda per attizzare l’odio contro gli ebrei.
Mentre nel libro lealtà e tradimento sono i temi centrali senza esserne tuttavia il cuore, qui nel saggio non solo ne sono il cuore vivo e pulsante ma tutto lo scheletro e l’organismo. Amos Oz descrive Giuda come il discepolo più leale di Gesù, colui che crede nel suo maestro assai più di quanto lo stesso Gesù creda in se stesso. Giuda, al contrario di tutti gli altri, è il discepolo colto, intelligente, capace di intrattenere le relazioni diplomatiche fra Gesù e i Farisei, fra Gesù e i romani del suo tempo, fra Gesù e il popolo. È l’unico che proviene da una famiglia benestante. Giuda è ricco, possidente, e questo irride con la storia dei trenta denari con i quali avrebbe venduto il suo maestro. La storia del bacio come segno di identificazione del ricercato Gesù viene definita dallo scrittore non solo ridicola ma assolutamente inverosimile. Gesù era infatti il personaggio più conosciuto del momento. Il giorno prima era entrato a Gerusalemme, ci ricorda Oz, a dorso di un’asina tra ali di folla che lo acclamavano come liberatore e re. Aveva guidato poi una manifestazione non autorizzata che aveva sgomberato il mercatino fin dentro i cortili del tempio. Era la persona pubblica più esposta in quel luogo e in quel tempo. A che poteva servire quel bacio? E chi avrebbe pagato per un’informazione così inutile? Lo scopo di Giuda era quello di generare un secondo avvento, di portare lì l’instaurazione del Regno dei cieli. “Mostraglielo adesso – dice a Gesù sulla croce – non vedi che la folla comincia a disperdersi? Questo è il momento. Fallo! Nel nome di Dio fallo subito”. Ed è quando si accorge che nonostante Gesù ci abbia provato e non riuscendoci si sia sentito abbandonato da quel padre che sulla croce invece “chiama” Dio, è proprio lì che Giuda, che credeva in Gesù con tutto il suo cuore, si rende conto di avere ucciso il suo maestro. Ha ucciso la persona che amava più di ogni altra sulla terra. Ha ucciso il suo rabbino, il suo fratello maggiore, ha posto fine con le proprie mani alla sua unica luce spirituale e per questo il dolore è così insopportabile che non gli resta altro da fare che uccidersi. Mentre Oz ci descrive dunque un Giuda leale, fedele, devoto, un rivoluzionario deciso a cambiare il mondo, l’iconografia cristiana, non solo i vangeli, lo dipingono come un essere malvagio. In tanti dipinti dell’Ultima cena nel Medioevo, nel Rinascimento e nel Barocco, possiamo osservare come in mezzo a undici uomini belli, generalmente biondi, alti, in una parola ariani, ci sia nel mezzo un Gesù altrettanto incantevole e in un angolo del tavolo una figura piccola, quasi ripugnante, semitica con le orecchie grandi e il naso storto e pronunciato, occhi maligni, labbra tumide, denti guasti e un sorriso falso e voluttuoso: Giuda. Quella figura per lo scrittore non rappresenta solo Giuda ma tutti gli ebrei nell’immaginario cristiano attraverso le generazioni. Eppure lentamente la cristianità ha dovuto riconoscere che anche Gesù era ebreo così come i primi pontefici e persino i primi martiri cristiani. Lo scrittore ricorda gli studi dello zio Klausner, eminente storico israeliano, secondo il quale Gesù nasce e muore da ebreo. Anche per lo stesso Amos Oz, Gesù non voleva fondare una nuova religione, non è mai stato battezzato in chiesa, dal momento che le chiese non esistevano. Secondo i due studiosi poi, zio e nipote, Gesù non ha mai fatto nemmeno il segno della croce, mai una volta in vita sua, poiché non aveva motivo di farlo. Non celebrava messa o il Natale e nemmeno la Pasqua.
Amos Oz lesse i vangeli in gioventù e pur provando ammirazione per la figura di Gesù, stabilì con lui dei punti di dissenso. Primo fra tutti quello dell’amore universale, dell’amore verso il prossimo e l’umanità tutta. È per lo scrittore qualcosa che non circoscrivendo un sentimento in realtà lo limita, poiché amare tutti equivale a non amare nessuno. Ma il dissenso ancora più importante riguarda il porgere l’altra guancia al nemico poiché significa autorizzarlo in eterno a farti del male e questo nonostante Oz comprenda come il messaggio vero di Gesù sia quello di rendere vano e ridicolo il colpo successivo nel moneto stesso in cui lo si autorizza. Per Amos Oz, e forse non solo per lui, questi rappresentano estremismi cristiani poco applicabili nella realtà e soprattutto non praticabili da un popolo oppresso. “L’aggressività – scrive infatti Oz – è il male più grande, e necessita di essere fermata con la forza, non porgendo l’altra guancia”. Gesù e Giuda, potrebbe essere definito la vera essenza di “Giuda”, la vera ragione per cui quest’ultimo rimane, forse, il libro più importante di quella che è stata la voce più autorevole della letteratura e del pensiero israeliano. Un libro indimenticabile degnamente completato da queste intense pagine in cui esplicita con forza un tema, quello del tradimento unito alla lealtà, che ha aleggiato in tutte le sue opere, e che si portava addosso come un fardello: il fardello di chi è chiamato e considerato traditore. “Il primo nome di mio padre era Yeshuda: Giuda – ci rivela qui – il secondo nome di mio figlio, chiamato come mio padre, è anch’esso Yeshuda: Giuda. Così, si da il caso, che io sia figlio di Giuda e padre di Giuda”.