(Lorenzo Poli di Pressenza) – Il linguaggio bellico con cui è stata comunicata la pandemia ha inciso molto sulla percezione del pericolo, provocando panico e paura. A rincarare la dose è stato il Generale Figliuolo, già comandante in Afghanistan e delle forze Nato in Kosovo: “Faremo fuoco con tutte le polveri”. Il lessico militare, la chiamata alle armi contro il “nemico comune” indicano la metafora più potente per caratterizzare lo scenario bellico, quello in cui la verità è semplificata e in apparenza resa evidente senza lasciare spazio a dubbi, dissensi o critiche. L’idea è quella del popolo compatto, in marcia dietro i suoi leader, chiamato a un combattimento epocale in cui gli ordini e le gerarchie non si discutono. Questo ha consentito una vera e proprio militarizzazione della salute.
Ne parliamo con l’ingegner Aldo Zanchetta, già Direttore della Scuola della Pace e responsabile di Mani Tese, scrittore, esperto di America Latina e paesi indigeni, ambientalista da anni impegnato per il popolo zapatista del Chiapas. È tra i firmatari del manifesto ecopacifista “Per un cammino radicalmente ecologista e nonviolento” per lo sviluppo agro-ecologico, antifascista e contro la medicalizzazione della società. Insieme a Gustavo Esteva ha curato l’edizione del libro Transitare le pandemie con Ivan Illich.
Cosa si intende per militarizzazione della salute? Quand’è che si usa questa espressione?
Spiego perché ho scritto sulla militarizzazione della salute. Su un libro pubblicato da Aboca, azienda di prodotti naturali per la salute e il benessere della persona, uno dei due autori, il noto biologo Obsterholm, invoca la militarizzazione dell’organizzazione sanitaria in vista dell’epoca pandemica preannunziata. Il libro, pubblicato in Italia nel 2020, era stato scritto nel 2017, cioè ancor prima dell’attuale pandemia. Nell’ultimo capitolo –Piano di lotta per la sopravvivenza– l’autore scrive: “Dal confronto con numerosi esperti di ogni ambito della salute pubblica e della governance nazionale e internazionale abbiamo tratto la conclusione che il modello più efficace di risposta alle crisi infettive sarebbe rappresentato da un’organizzazione in stile NATO (sic!) (…) La parte più difficile potrebbe rivelarsi tenere la politica fuori dalla porta. (…) Come nazione dobbiamo accordare a chi ci guida risorse e potere decisionale, così come accade nella struttura di comando militare.”
Pochi giorni dopo questa lettura vedo il generale Figliuolo in tuta mimetica da combattimento messo a capo della campagna italiana per la vaccinazione, che include altri generali nel suo staff. Del resto già negli Stati Uniti, fin dall’inizio, la politica del lock-down è stata accompagnata dal lemma Stay home, lo stesso già impiegato nelle esercitazioni relative al comportamento da tenere in caso di guerra atomica. A parte comunque questi riferimenti espliciti alla militarizzazione, l’aver trattato a man salva come è stato fatto un problema medico come una guerra ad un virus ha militarizzato di fatto il clima della pandemia.
Durante il Covid-19, le autorità hanno parlato ai cittadini con un linguaggio bellico e militaresco. Come siamo passati dalla “guerra ai microbi” di Bill Gates alla caccia all’untore?
Il passaggio è stato ovvio. Nel suo “manifesto” dell’aprile 2020, dal titolo La prima pandemia moderna, Gates ha suggerito ai governi le strategie per battere il virus, scrivendo: “La pandemia del coronavirus mette tutta l’umanità contro il virus. I danni alla salute, alla ricchezza e al benessere sono già stati enormi. È come una guerra mondiale, tranne che in questo caso, siamo tutti dalla stessa parte (enfatizzazione mia). Tutto il “manifesto” prende come metafora la guerra e cita le innovazioni tecnologiche che avevano reso possibile la “vittoria” (ma evita accortamente di citare la bomba atomica). In una guerra in cui tutti devono schierarsi dalla stessa parte, chi non lo fa automaticamente è un traditore, ovvero un untore, non solo da biasimare, ma anche da neutralizzare. Una piccola osservazione: non si sfiora neppure l’idea che la guerra possa essere evitata o limitata modificando le condizioni che stanno moltiplicando i virus. Le guerre sono inevitabili e vanno vinte. Non interessa prevenirle: il “sistema” non si tocca. In questo senso Bill Gates non è sicuramente un militare, ma un grande stratega della manipolazione e dell’onnipotenza delle tecnologie.
Poi il linguaggio è passato dai bollettini di guerra dei morti per Covid-19 all’allestimento dei campi militari fino ai carri militari che trasportavano le bare a Bergamo. Non sembra uno scenario volto a suscitare ancora più paura di quella che già era presente?
Certo, tanto che da subito alcuni obiettarono che la vera pandemia, la più temibile per gli effetti a distanza di tempo, era la paura. Questo è stato confermato in un recente seminario organizzato dall’OMS. I danni mentali che sono emersi (violenza, depressione, aumento dei suicidi, compresi quelli di giovani e ragazzi) sono enormi e dureranno nel tempo. Nonostante questo i governi insistono a premere irresponsabilmente (e coscientemente?) il tasto della paura.
Anche la polarizzazione isterica che è stata indotta nell’opinione pubblica ha un qualcosa di “bellico”. Non trovi che anche la strumentalizzazione dei termini “negazionista” e “complottista” abbia determinato una narrazione paranoica ed esasperante, per la quale chiunque faccia delle legittime critiche diventa un “nemico”?
Ovvio. I cosiddetti “no-vax” (che definizione oltraggiosa!) sono diventati il nemico per eccellenza. In molti si è scatenato un vero odio verso di essi e non sono poche le aggressioni, non solo verbali, verificatesi nei loro confronti.
La repressione poliziesca non si è fatta attendere: dai droni sopra le teste, ai blocchi della polizia, a multe salatissime per chi sgarrava. La pandemia ha accelerato una forma di controllo sociale pervasivo nelle nostre vite? Può darsi che la paura percepita dalla popolazione, più che l’esistenza di un virus, abbia permesso con più facilità di giustificare limitazioni delle libertà costituzionali e lo stato d’emergenza?
Accelerato è la parola giusta, perché in realtà le tecnologie digitali per il controllo fisico e mentale delle persone erano già in atto da tempo, ma alcuni loro impieghi non sarebbero stati accettati dall’opinione pubblica senza qualche motivazione straordinaria, che un uso ‘sapiente’ della pandemia ha creato. Giustamente il sagace intellettuale Andrea Zhok ha scritto: Ora sappiamo che qualunque cosa potrà essere fatta passare su di noi.
La figura del generale Figliuolo nella campagna vaccinale è stata l’apice. Quale è stata la sua impronta comunicativa e la sua gestione militare?
Non so quale impronta comunicativa abbiano avuto sull’opinione pubblica le ripetute foto del marziale generale in tuta mimetica seguito da codazzi di funzionari civili col volto proteso verso di lui in attesa di ordini. Per me è stata più avvilente che ridicola, come in realtà era. Vedo che ultimamente però le sue foto lo mostrano in borghese. Forse qualcuno lo ha avvisato che non si trovava più in Afghanistan.
E’ solo una mia impressione, o il linguaggio ostile nei confronti dei non-vaccinati segua le stesse logiche discriminatorie del linguaggio razzista contro i migranti? Foucault e Deleuze parlavano di “microfascismi”. Perché all’interno della sinistra radicale, ad eccezione di Wu Ming e di altri intellettuali, non vi è stata una riflessione sulla gestione pandemica e sulla strategia del panico pandemico in senso strutturale?
Non sono un intellettuale, ma un tecnico, un ingegnere chimico che ha frequentato per venti e più anni il mondo farmaceutico, apprendendo molto circa la nuova “religione” della scienza. Ho poca familiarità col pensiero di Foucault e ancor meno con quello di Deleuze e la lettura dei testi dei Wu Ming mi ha lasciato parzialmente insoddisfatto. Altri come Agamben mi hanno fatto riflettere di più. Di Foucault ricordo che evocava il fascista che è dentro ciascuno di noi e penso che questo sia purtroppo vero, sia in molti vax come in molti no-vax.
Secondo lei il Green Pass è uno strumento sanitario funzionale a mettere fine alla pandemia, o uno strumento politico funzionale al passaggio da stato d’emergenza a stato d’eccezione?
Sono troppe le contraddizioni del Green-pass come strumento per mettere fine alla pandemia, e ne cito solo una: la durata della validità assegnatagli che supera di gran lunga quella accertata della (presunta) immunità fornita dai vaccini. Ben pochi purtroppo credono che i vaccinati possano infettare. Mi sembra che il normale buon senso e spirito deduttivo consenta di capire che si tratta di uno strumento essenzialmente politico per assuefarci alla sottomissione.
Nel 1976 Ivan Illich aveva evocato nel libro “Nemesi medica” il rischio di una “società pandemica”. Cosa intendeva? Ci siamo vicini?
A me pare che quando Illich sosteneva che ci avviavamo verso una società morbosa (scriveva nel 1976!) anticipasse con lucidità la situazione odierna, nella quale alle persone è stata sottratta ogni responsabilità verso la propria salute, con l’obbligo di sottostare a vincoli imposti dallo Stato. Illich si riferiva non solo alla pandemia dei virus, ma anche a quella che oggi viene definita sindemia, ossia l’insieme di patologie procurate dal sistema di vita odierno, che la “corporazione medica” anziché condannare si affanna a rendere “compatibile” con una società morbosa dove ogni individuo è malato a prescindere.
A suo parere come possiamo uscire da questa situazione?
La situazione è molto complessa, al di là della pandemia da Covid 19. C’è chi sostiene che l’homo sapiens potrebbe uscirne molto male. La mia posizione è molto “illichiana”: bisogna comportarsi secondo principi di buon senso, qualunque cosa accada. E il buon senso ci dice di comportarci da umani responsabili. Guardare al passato, non per tornarci, ma per individuare dove abbiamo preso direzioni sbagliate. Guardare ad altri modi di essere umani rappresentati da altre culture per aprire un dialogo e scambiarci idee.
Negare il buio che ci sta davanti è irragionevole. Bisogna affrontarlo responsabilmente e comunitariamente, senza disertare.
La speranza, diceva Illich, è la migliore forza sociale che l’uomo ha. Speranza non che accada una cosa specifica che desideriamo. Speranza che quanto facciamo abbia senso.