(Antonio Contaldi di L’Opinione delle Libertà) – Girolamo Comi, a noi molto caro, è stato una delle voci poetiche più limpide del Novecento, per attestazione di critici del valore di Oreste Macrì, Donato Valli, Sergio Solmi, Arnaldo Bocelli. Il grande grecista Carlo Del Grande ha scritto che nella sua poesia si sentono il respiro e il palpito della Magna Grecia. Egli era anche un intellettuale di vaglio, che ha goduto dell’amicizia di Gide, Claudel, Valery, Verhaeren, Buonaiuti ed altri illustri personaggi. Tra i suoi scritti si vuole qui ricordare, per il senso di queste nostre riflessioni, Aristocrazia del Cattolicesimo, editore Guanda, 1937, in cui viene esaltata la nobiltà del messaggio cristiano con motivazioni e ragionamenti di grande profondità. Studiosi di fama sono soliti affermare che il Cristianesimo non è una filosofia, ma una religione. Affermazioni simili sono accettabili relativamente, poiché ogni religione è anche “lato sensu” una filosofia, trovando fondamento in concezioni della vita e della morte. A proposito ancora del Cristianesimo, comunque lo si voglia definire, si può senz’altro dire che ha influito in maniera straordinaria su tutto il pensiero filosofico successivo alla sua nascita. In primo luogo, vengono capovolti tutti i valori del mondo antico, come ben si evince dal Discorso della montagna o delle beatitudini (Vangelo secondo Matteo). Varia anche in maniera radicale la concezione della cultura: all’intellettualismo greco, che ha, riguardando una categoria quali i sapienti, natura castale ed elitaria, si sostituisce una concezione volontaristica ed egualitaria che riguarda tutti gli uomini. Viene privilegiata la volontà, poiché è una facoltà che può essere usata da tutti gli esseri umani, al contrario della sapienza che è un campo riservato a pochi eletti: donde anche l’universalismo cristiano.
È da rilevare ancora che il pensiero greco è cosmocentrico, mentre quello cristiano è antropocentrico. In sostanza, il Cristianesimo, operando per così dire, un inventario del pensiero antico, apporta delle modificazioni radicali sugli aspetti e sulle parti che più interessano la vita dell’uomo. Per quanto riguarda Dio, Socrate, Platone, Aristotele e Plotino avevano avuto delle buone intuizioni; tuttavia, essi non possono sfuggire al politeismo, anzi si richiamano a divinità di secondo grado, alle quali attribuiscono, non si capisce su quale fondamento, determinate funzioni. Il dio di Aristotele, pur presentando spunti interessanti, è legato a una concezione astronomica e fisica, è motore immobile, pensiero che pensa sé stesso, assolutamente indifferente alla vita dell’uomo. Il dio degli stoici è concepito come Logos; ma non è il Logos giovanneo; si tratta bensì dell’anima dell’Universo, concepito come un immenso animale avente il suo corpo nella natura. Il Logos dell’evangelista Giovanni è la sapienza di Dio che si incarna nel Cristo per la salvezza dell’Umanità. L’uomo, quindi, non è il microcosmo del pensiero greco, ente insignificante rispetto alla grandiosità dell’Universo.
Esso, pur essendo infinitamente piccolo rispetto a Dio, è oggetto diretto del Suo interesse e del Suo amore; tant’è che Dio stesso invia il Suo unico Figlio per riportare ognuno allo stato di grazia originario, quello stato, cioè, che possedeva prima della caduta di Adamo. Di qui una concezione diversa anche della storia, che, secondo il Cristianesimo, ha un andamento lineare che vede l’Umanità impegnata, dalle sue origini alla fine del mondo, nella realizzazione di un Disegno provvidenziale. L’uomo, tutti gli uomini, essendo figlio di Dio, acquista una dignità senza pari, che gli consente di associarsi a Dio nella redenzione lungo il percorso storico; esso non è succubo del Fato o scherzo del Caso, ma co-artefice del suo destino e attore fondamentale nella stessa realizzazione del Regno di Dio.
L’affermazione della dignità dell’uomo, nella figliolanza in Dio, è stata forse la rivoluzione più grande della storia: tutti gli uomini sono fratelli; l’emancipazione riguarda anche e soprattutto i sofferenti, i perseguitati, i poveri, i miseri, gli schiavi, la donna. Col Cristianesimo tutto è mutato: i rapporti tra uomo e Dio, tra uomo e uomo e tra i popoli. Il messaggio cristiano ha sempre conservato il suo fascino e la sua attrazione nel corso dei secoli. Leibniz, considerato un genio universale, proponeva, per la soluzione dei problemi politici del suo tempo, l’istituzione di una repubblica universale fondata sui princìpi del Cristianesimo. Il laicissimo Hegel ha considerato il Cristianesimo medesimo la forma più alta di religione, vedendo nei suoi dogmi fondamentali i concetti basilari della sua filosofia. Interprete mirabile della dottrina del Cristo e riaffermartore della dignità dell’uomo si rivela Rosmini, sacerdote di elette virtù e grande pensatore, per il quale Manzoni nutriva una stima venerabonda: a proposito della persona, egli la definisce il diritto umano stesso sussistente, cioè fonte, principio e fine di ogni diritto.
Il Cristianesimo, con tutta la nobiltà dei suoi princìpi, e ogni altra religione o idea, non può essere imposto con la forza. Quando questo si è verificato nel corso della sua storia, è stato svilito e dimenticato nei suoi fondamenti: la libertà e la dignità dell’uomo. Ad insegnare il rispetto delle idee e la dignità di ogni fede religiosa, è sopraggiunto il liberalismo, che così dà completezza alla vita di ogni popolo e società. Queste due grandi dottrine sono spesso ignorate dagli attuali attori della politica, in ispecie italiani. Ognuno cerca di prevalere sull’altro non con i buoni programmi, ma con la denigrazione che, in taluni casi, si manifesta come vero e proprio tentativo di delegittimazione dell’avversario; e si dimentica che, pur nella lotta politica più intensa, nessun partito è abilitato a dare patenti di democraticità e legittimità all’avversario. Questi sono princìpi basilari di ogni Stato costituzionale e di diritto che, però, vengono ancora, nonostante le vicissitudini della storia, colposamente ignorati.