(Alessandro Orlandi di Ex Partibus) – Viviamo in tempi faziosi e difficili. C’è un attrito e una incomprensione che sembrano insanabili tra le tre grandi religioni monoteiste, Cristianesimo, Islam ed Ebraismo, tra Sikh e Induisti è guerra dichiarata, c’è attrito e incomprensione, in Occidente, tra i Cristiani e i movimenti New Age e Neopagani, c’è infine la tendenza, che riguarda tutte le religioni – Cristianesimo, Islam, Ebraismo, Induismo, Buddhismo, Taoismo, Giainismo e sette varie New Age – a considerarsi ognuna come quella che detiene l’Unica Verità.
Eppure, una delle figure più illuminate della cultura cristiana del XX secolo, padre Giovanni Vannucci, riprendendo una scintilla di saggezza induista e buddhista diceva: Vannucci non invitava certo, attraverso questa massima, a un confuso sincretismo tra le varie religioni, perché percorrere un raggio della ruota verso il centro significa, nella metafora, andare all’essenza di una data tradizione seguendola fino in fondo, cogliendone lo spirito e non la lettera che, come è noto, uccide.
Anche Dionigi Areopagita, un teologo e filosofo cristiano del V secolo, nelle ‘Gerarchie Angeliche’ sosteneva che a custodia di ogni popolo, di ogni civiltà, è posto un angelo che rivela le verità sottili in un linguaggio e attraverso immagini che siano comprensibili per quel popolo, per quella cultura.
Quindi, se ci sono apparenti contrasto e contraddizione tra i linguaggi e le immagini delle varie tradizioni e culture religiose, questi vanno visti come la distanza che esiste, nella zona periferica della circonferenza esterna, tra i raggi di una stessa ruota.
Avvicinandoci al mozzo, all’essenza di ogni insegnamento, troveremo le stesse verità. Lo spirito sottile degli insegnamenti tradizionali si trova molto al di là della forma e solo la luce del cuore può penetrare nell’invisibile e “tradurre” le affermazioni di una Tradizione in quelle di un’altra.
Un’autentica tolleranza, quindi, non consiste in un paternalistico atteggiamento di degnazione verso i “diversi”, ma nella capacità di servirsi dell’intelligenza del cuore per andare al centro della propria tradizione e scorgere, così, la verità di quella altrui. In questo senso, e solo in questo senso, all’umanità è stata data un’unica Tradizione, un unico linguaggio dimenticato.
È una possibile interpretazione della vicenda della Torre di Babele e dell’origine dell’incomprensione tra le varie tradizioni: ci si è allontanati dall’intelligenza del cuore, dall’aspetto sottile e invisibile della realtà, per affidare l’interpretazione del mondo alla forma e alla lettera.
Questa percezione, della possibilità di una fratellanza universale degli esseri umani al di là delle differenze di cultura e religione, non deve tuttavia oscurare la necessità di combattere in modo deciso e inequivocabile l’intolleranza religiosa, il fanatismo, la violenza dell’uomo sull’uomo, il tentativo di limitare la libertà e di attentare alla vita altrui.
Se oggi i terroristi di Isis perseguitano e uccidono chi non condivide la loro stessa visione fanatica del mondo, minacciando, con i loro attentati, vite innocenti, non dobbiamo tuttavia dimenticare che ieri perfino la Chiesa cattolica si macchiò dello stesso abominio.
Migliaia di uomini hanno pagato con il loro sangue e con la loro vita le conquiste civili che ci consentono oggi di professare liberamente le nostre convinzioni, di godere tutti di eguali diritti e di uno stesso trattamento di fronte alla legge, di scegliere il culto religioso che sentiamo più vicino al nostro spirito.
Tre sono gli aspetti della libertà che abbiamo conquistato: la possibilità di confrontare liberamente i nostri desideri con la realtà, la possibilità di confrontare liberamente le nostre opinioni con la realtà, la possibilità di confrontare liberamente i doni del nostro spirito con la realtà.
Se si riflette bene su queste conquiste, si vedrà che ne scaturiscono anche il rispetto per la libertà altrui, il senso civico, i diritti civili, il diritto alla casa e al nutrimento, il rifiuto dello sfruttamento dell’uomo sull’uomo, la libertà di pensiero, il diritto alla felicità, alla sicurezza, alla salute. Combattere per la tolleranza significa anche essere disposti a morire e ad uccidere, a sostenere una guerra, per salvaguardare queste conquiste.
È anche vero che le conquiste di libertà di cui abbiamo parlato fin qui non sono il nostro punto d’arrivo, ma il nostro punto di partenza. Infatti, l’uomo libero, nei tre sensi specificati sopra, è libero di intraprendere un cammino di conoscenza, può commisurare i suoi desideri, le sue opinioni, le sue capacità con il mondo che lo circonda. Si tratta quindi di un individuo che si trova all’inizio del suo cammino.
Il passo successivo, frutto di un lavoro costante su se stessi, è il dominio sulle passioni e sui pensieri: le passioni e i pensieri debbono essere come servi che obbediscono al loro padrone, non deve mai verificarsi che sia l’uomo ad essere schiavo delle sue passioni e di quei pensieri che non riesce a scacciare, rancore, frustrazione, gelosia, invidia, brama, ossessività, manie, rabbia, paura etc..
Solo chi sia riuscito, almeno in parte, a realizzare questo obiettivo, può dire di aver cominciato un autentico cammino di conoscenza di sé e del mondo: l’uomo preda delle sue passioni e dei suoi pensieri è come chi tenti di scorgere il riflesso degli alberi sulla superficie di un lago in tempesta, tutto gli apparirà frammentario e non intellegibile.
Chi, invece, sia riuscito ad armonizzare passioni e pensieri, vedrà nitidamente gli alberi specchiarsi sulla superficie calma delle acque del lago. La voce dell’anima, quella che dovrebbe guidare il nostro cammino, è quasi impercettibile, richiede silenzio interiore per poter essere ascoltata. Le voci delle passioni impetuose e dei pensieri ossessivi sono, al contrario, urla fragorose, rendono del tutto impossibile percepire quel messaggio sottile.
Infine, se riusciamo a conquistare un rapporto con la scintilla spirituale che ci abita, questo contatto sarà destinato a modificare in modo radicale l’idea di libertà così come viene intesa dal senso comune.
La nostra parte spirituale, infatti, non ha natura solo individuale, perché, come l’acqua di un pozzo, è destinata a dissetare tutti i viandanti assetati che vi si avvicinano, è un frammento di inconscio collettivo, è ciò che rende gli uomini fratelli, al di là delle loro origini di cultura, sangue e censo.
Ci si può rapportare a quella parte di noi solo interpretando la nostra vita come servizio, servizio reso agli altri, a una causa sovrapersonale, a un disegno che ci trascende.
Di più, percepire quella scintilla negli altri significa, anche se gli altri non ne fossero consapevoli, scorgere il vero tesoro custodito in ogni esistenza, il valore inestimabile di ogni vita umana, anche se questa fosse stata male utilizzata o “sprecata” da chi la possiede.
Indubbiamente questa percezione ci aiuterà ad essere più tolleranti con gli altri esseri umani, perché disporremo di uno strumento per distinguere l’apparenza dall’essenza, l’epifenomeno dalla sostanza.
L’uomo veramente libero è, infine, colui che riesce a realizzare il proprio “principium individuationis“, a svolgere il lavoro per cui è nato. L’aspetto paradossale di tale condizione è che l’uomo che l’abbia realizzata non ha più scelta: non può che seguire la propria vocazione.
Si vede, quindi, come l’idea di libertà, quando essa si realizzi al più alto grado, sia l’esatto contrario del dispiegarsi di una infinita nube di possibilità tra le quali si possa scegliere, facendosi guidare dal capriccio del momento.
Al contrario, l’uomo veramente libero, che abbia riunito in se stesso ciò che era disperso, viene guidato in ogni istante nelle sue scelte dall’intelligenza del cuore e le sue sono scelte obbligate.