(Giorgio Brambilla e Matteo Vozza di Aleteia) – “Prof., a che mi serve questa materia?” – è la domanda che ogni Insegnante di Religione (IdR) si sente rivolgere in aula. In questa domanda c’è tutta quella ricerca di senso che ogni studente – ma potremmo dire ogni essere umano – ha nel cuore. Ed è per questo che l’insegnamento della Religione Cattolica si presenta come la disciplina scolastica chiamata ad avere come obiettivo principale quello di aiutare i ragazzi nella propria maturazione personale a dare senso alla propria esperienza e a elaborare ed esprimere il proprio progetto di vita.
Eppure, oggi, capita che l’IdR si abbandoni a quella visione generalizzata che lo vede come la “cenerentola” del mondo della scuola, quell’idea che considera il suo esserci solo come una “concessione” dello Stato italiano alla Chiesa cattolica a seguito del Concordato del 1929 e del 1984, quella convinzione fasulla che considera tale insegnamento una sorta di “catechesi scolastica” e, per di più, autoreferenziale in quanto è l’unica disciplina sottoposta a facoltatività.
La nostra società spesso dimentica che “la dimensione religiosa dell’esperienza umana svolge un ruolo insostituibile per la piena formazione della persona (..) portando al massimo sviluppo il processo di simbolizzazione che la scuola stimola e promuove in tutte le discipline, consente la comunicazione anche su realtà altrimenti indicibili e inconoscibili” [1]. Chi, poi, vorrebbe abolire l’ora di religione non tiene conto che “il confronto con la forma storica della religione cattolica svolge un ruolo fondamentale e costruttivo per la convivenza civile, in quanto permette di cogliere importanti aspetti dell’identità culturale di appartenenza e aiuta le relazioni e i rapporti tra persone di culture e religioni differenti” [2].
Insomma, all’IdR viene richiesto di qualcosa di veramente unico e speciale: formare persone, forgiare ed evangelizzare i cittadini di domani, contribuire alla realizzazione di una società sempre migliore curandone ogni piccolo mattoncino! E questo non come un lavoro “in solitaria”. Infatti, tenendo sempre presenti i documenti di riferimento e il contesto in cui si trova, egli è chiamato a impegnarsi sempre più nel costruire sinergie con gli altri elementi del corpo docente e con tutti gli organi scolastici. Ogni docente, qualsiasi materia insegni, dovrebbe sentirsi parte di un ingranaggio più grande, di una squadra che lavora in sinergia verso le medesime finalità, ciascuno con le sue proprie caratteristiche e con i contenuti propri della disciplina di cui si è titolari, in un’ottica non di competizione ma di collegialità. Tuttavia, nella pratica, si riscontrano impostazioni diverse riguardo al proprio ruolo di docente: alcuni concepiscono ancora l’insegnamento come una trasmissione individuale di un sapere da parte di un professionista del settore che non ha niente a che fare con gli altri colleghi. Si concepisce così un insegnamento a compartimenti stagni, suddiviso in tante discipline, perdendo di vista il raccordo verso una visione di unitarietà del sapere.
In tale scenario, i documenti in vigore mettono al centro l’azione dell’IdR: è proprio lui, infatti, che per la sua azione specifica, può promuovere efficacemente una sinergia tra i diversi componenti del consiglio di classe, strutturando percorsi interdisciplinari e favorendo un’azione condivisa verso obiettivi comuni. Questo richiama l’IdR, forse più ancora degli altri docenti, a lavorare con grande creatività, ideando innumerevoli percorsi trasversali per poterli raggiungere.