(Daniele Franchi di The Millenial) – Una maschera costante gli copre il viso come Hannibal Lecter, in caso contrario si sbranerebbero gli uni gli altri; zombie protraggono le mani in avanti, strani gel fluidi colano da esse; le cuffie bluetooth hanno preso il posto dei bulloni di Frankestein. Il coprifuoco li fa andare a letto presto e svegliarsi solo col sole alto come vampiri invertiti. La stregoneria ha vinto sulla scienza ufficiale e i roghi stati banditi. Fantasmi in camice bianco vagano alla ricerca di prede da spaventare fino a toglierli il respiro.
Potrebbe essere un racconto dispotico ma è solo un presente coronato di mostri e da una pandemia.
La maggior parte dei millenial italiani e occidentali è agnostica o atea. Questo, nella gran parte dei casi, corrisponde con l’assenza di una visione “chiara” del cosa c’è dopo la morte. Vivendo e crescendo nel mondo fatato d’Occidente dove la morte è nascosta, taciuta e soppesata questo non è un grosso problema; non incontriamo la morte né tantomeno l’affrontiamo, solitamente, fino ad un’età che va dagli 80/90 anni, quando siamo o troppo stanchi o troppo rincoglioniti per preoccuparcene eccessivamente.
Con il covid-19 però, la morte è entrata nelle nostre vite, quelle dei millennial e non solo. Il panico e la paura si sono disseminati ovunque. Quando nelle nostre teste è entrato il pensiero del “e se prendo il covid e muoio?” in quel momento siamo morti, siamo diventati zombie.
Ecco, quando non si ha fede, si pensa che non ci sia nulla dopo la morte, si crede che si viva una volta sola quindi tanto vale fare i soldi, godersela (magari essendo degli stronzi egoisti) e si inizia a pensare alla morte, allora lì, si ha paura. Una fottuta paura. Ed ecco che la si combatte come si può: soprattutto si riversa la paura contro il prossimo, tanto più se può essere causa del tuo male, come in questo caso (può contagiarmi).
Il concetto di morte nella storia
In realtà proprio i cristiani avevano rivoluzionato questo concetto arrivando in Europa. Prima, coi romani o meglio con i greci e pressoché qualsiasi civiltà pagana, la morte non poteva essere vinta. Si moriva e basta, si andava altrove, un posto comunque non piacevole con meno opportunità della vita. La vita aveva tanti limiti, tecnologici e non solo e il pilastro di questi limiti era la morte. Possiamo e dobbiamo superarci, essere la migliore versione di noi stessi ma prima o poi moriamo.
Al tempo di Omero si parlava di uomo come di brotos (βρότος) ovvero colui destinato a morire. Ai tempi di Platone il termine utilizzato era Thnetós ovvero mortale. Si ricordava costantemente la caducità dell’uomo.
Per loro la cosa giusta era la cosa fatta in giusta misura, e la giusta misura dei greci non si misurava in like. Se si supera il proprio limite si va verso la rovina. La giusta misura infatti è quella dell’uomo, con il suo limite, la vita. Galimberti ha speso molte parole e libri su questo concetto che nel caso vi invitiamo ad approfondire.
“Memento mori”
Non è casuale la celebre affermazione “Memento mori” dei romani, quando un generale tornava vittorioso dalla battaglia lo si salutava così, ricordandogli che sarebbe dovuto morire anche lui prima o poi. “Respice post te. Hominem te memento” (“guarda dietro a te. Ricordati che sei un uomo”).
Nel medioevo e poco successivamente i pittori inserivano teschi o la scritta stessa Memento mori per ricordare a tutti, in primis ai loro benefattori che poco contava il loro successo e le loro imprese. Tutto è impermanente specie la loro vita.
Cristiani, i veri rivoluzionari
Con i cristiani in grado di “resuscitare” e di “vincere la morte” l’uomo non aveva ufficialmente più limiti, si è messo una croce con la scritta “nothing is impossible” e non poteva più essere fermato. Ecco perché il cristianesimo ebbe tanto successo in Occidente.
Nulla ha avuto più limiti da quel momento in poi, l’America, la Luna, Marte, l’invecchiamento, la criogenetica, la grandezza del seno ecc. Senza limiti si perde però il controllo e se le idee possono sopravvivere alla morte il corpo no. Per questo Elon Musk vuole trasformare i nostri corpi, perché siamo limitati.
Paradossalmente questa nuova idea culturale che ci diceva di non temere la morte è piano piano stata surclassata da sé stessa, se non abbiamo limiti cosa ce ne facciamo di un Dio?
Chi ha bisogno di fede?
Parlando di fede, nell’album “Santeria” nella traccia intitolata “Senza Dio” Marracash recita: “Non ci sono atei dove si rischia davvero”. Ciò è verissimo, in occidente non crediamo perché non ce n’è bisogno. In paesi dove la morte è un evento che ci si presenta costantemente davanti, così come la paura, si prega eccome. Ciò non è relazionato al grado di sviluppo di una popolazione, non direttamente quantomeno. Quando non puoi affidarti a nulla, nel nostro caso a un sistema sanitario collaudato, ti affidi a Dio.
Un esempio microscopico è anche nel nostro paese, nel Nord, guarda caso più sviluppato, gli atei e gli agnostici in percentuale superano i cristiani, cosa che non accade al Sud.
Guardando al passato, la forza di Maometto e del suo popolo di musulmani stava proprio lì, nella capacità di fare colpo sui disperati e forse ci riesce anche oggi in modo non troppo dissimile.
Ci sono cose peggiori della morte?
Sì ma quando si ha paura non ci si pensa. Chi ha sofferto di ansia sa bene che se la nostra testa pensa una cosa non ce se la leva di torno; quando si ha l’ansia (paura potenziale) non si pensa ad altre cose peggiori. Se l’ansia ti blocca non importa che quel blocco sia potenzialmente nocivo sul lungo periodo, il tuo corpo vuole salvarsi lì e ora, il resto non gli interessa.
Quando i migranti muoiono in mare, sapendo cosa li aspetta o ancora più consapevolmente cercano di infilarsi in mezzo alle ruote di un camion in corsa sanno che vanno incontro alla morte eppure ciò non li spaventa troppo.
Cose da portarsi dietro quando andate in Kurdistan secondo Peter Schaber e Karl Plumba:
Un insieme di cose che comunque occupano poco posto nello zaino perché mancano di estensione spaziale: curiosità, determinazione, il desiderio di capire, di imparare e di cambiare; forse un po’ di coraggio o almeno l’idea che morire non sia la cosa più grave che ti possa capitare nella vita. Sono cose leggere che non occupano spazio nello zaino. Io credo che ci siano paure che sono più sostanziali di quella della morte. La paura di essere soli, di restare da soli. O la paura che quello che fai sia inutile. (…)
Mi permetto uno stupido, soggettivo, esempio: io vivo vicino a un asilo. Dalla mia scrivania vedo da mesi i bambini andare a scuola, tutti giorni, anche d’estate, essendo un asilo privato. Ovviamente le maestre sono bardate, puntano fuori dalla porta una pistola sulla fronte dei bambini, tutte le mattine.
Ecco il fatto che i bambini non abbiano mai visto il sorriso della propria maestra mi fa più paura della morte. Chi ha paura è malato e i malati fanno di tutto per avere una cura, quindi sono facilmente manipolabili.
La peste
Un libro che ha venduto tantissimo nell’ultimo anno, ottenendo un successo strepitoso è “La peste” di Albert Camus. La ragione può sembrare scontata ai più, quello che molti lettori però dimenticano è la vera peste alla quale l’autore facesse riferimento nel libro: la dittatura.
Contro la dittatura ha sempre combattuto Josè “Pepe” Mullica all’età di ottanta anni ha affermato:
“Uno di questi giorni sarò meno che polvere. Forse, tuttavia, resterò una colomba che continuerà a volteggiare sopra la resta di qualcuno. Non riesco ancora a credere nell’aldilà e neppure in Dio, ma rispetto molto tutte le religioni. Sapete perché? Perché mi fanno pensare (…) che l’uomo ha sempre creduto in qualcosa. Non c’è animale più utopico dell’essere umano”.
Il primo millenial beato è già tra noi ma c’è spazio anche per altri santi millennial, ovviamente liberi di non credere così come di rispettare chi ha paura.
“Quando il tuo sorriso incontra il mio sorriso ci sono conseguenze, non sono un falso profeta, no, non sono la sposa di nessuno, non riesco a ricordare quando sono nato e ho dimenticato quando sono morto”
Bob Dylan – False prophet.