(Riccardo Cristiano di Globalist) – Siamo al tramonto dell’esperienza cristiana in Europa? La domanda, posta in tanti modi diversi, diretti o indiretti, si trova ovunque. L’hanno posta dentro e fuori la Chiesa tanti autorevoli studiosi. Tutto sommato quando si parla di Chiesa? Se c’è qualche scandalo o se si interferisce con il residuo potere di interdizione su leggi afferenti al fine vita o alla sessualità. Tutto qui il cristianesimo?
Il peso e il valore di questa domanda può porselo un qualunque nativo di questo continente, che constati, pur non essendo un credente o un praticante, che viaggiando in Paesi lontani e culturalmente diversi dal nostro ritrovi un senso improvviso di familiarità, di “casa”, entrando in una chiesa. La Chiesa sta scomparendo? La Chiesa brucia? Il professor Riccardi si è posto la domanda, nel suo libro che ha proprio questo come titolo, partendo dal rogo di Notre Dame. Può esserci Parigi senza Notre Dame? Eppure il cristianesimo appare esperienza divenuta marginale in Europa. Ma davvero può essere marginale nel nostro ideale di vita un discorso che ci dice “ama il prossimo tuo come te stesso”? Non è questo il cuore di questo cristianesimo che sembrerebbe destinato a sparire dal nostro orizzonte culturale? Se fosse così allora bisogna capire cosa abbia messo in crisi il cristianesimo. Lo ha messo in crisi la secolarizzazione? Eppure Durkheim era convinto che nessuna società potesse vivere senza questo tessuto connettivo che chiamiamo religione. Forse allora è stato il consumismo a sconfiggere il cristianesimo. Da quando il consumismo si è impossessato del potere, secondo Pier Paolo Pasolini, è l’individualismo che è diventato il modello della società dei consumi. E in una società individualista non si ama il prossimo come se stessi. Si ama se stessi. Si può dunque vedere un bivio: il potere economico ci propone l’ “homo homini lupus”, Cristo il contrario. E’ questa la sfida? O la sfida è tra cristianesimo e secolarismo? Ma la vecchia contestazione che vedeva un patto di potere clerico-fascista non ha visto il nuovo potere, e ha proseguito una contestazione non contestava più il potere reale.
Così molti cattolici si sentono attratti dal vecchio patto: lasciamo perdere giustizia sociale, solidarietà, salviamo almeno il controllo sulla sessualità e sulla morte se non possiamo dire nulla sulla vita. Per altri invece l’annuncio di qualche norma morale riduce l’annuncio cristiano a un manuale d’istruzioni, che pochi leggeranno tutto d’un fiato, innamorati.
La questione della messa in latino, esplosa in questi giorni, dà una forma a questo dilemma. Chi crede nella prima risposta sceglie la celebrazione in latino non perché sia un “reazionario”, ma perché avverte il bisogno di qualche certezza, di qualche riferimento immodificabile. In un tempo segnato dal relativismo individualista, che toglie certezze al di là dell’urgenza di consumare, l’idea che esistano verità da sempre e per sempre fa sentire parte di una storia gloriosa. In un certo senso è come se il Pd pensasse di tornare al 33% riesumando le bandiere rosse dei tempi che furono.
Il fatto è che i tempi cambiano, e la tradizione del messale latino non ha nulla a che fare con il fondatore di questa tradizione, cioè con Gesù. Risale al XVI secolo… Dunque quel senso di essere quelli di sempre, immodificabili, è l’umano desiderio di chi percepisce la crisi. Ma non si esce da un momento di crisi guardando indietro, ma avanti. La Chiesa brucia in questa Europa senza bussola perché si è inchinata a un sistema, una cultura, una visione, un orizzonte, consumista e individualista, perdendo il profumo e il fascino di quella proposta alternativa. Non è soltanto colpa sua, ovviamente, c’è la polarizzazione laicista a fare la sua.
Ma non sarà il ritorno a Pio V a ridare smalto alla Chiesa: non può essere questo il ritorno che sfida la scristianizzazione dell’Europa. Il ritorno che può parlare a un’Europa smarrita può essere solo il ritorno al messaggio evangelico, quello sempre alternativo al potere mondano ma che sa sospingere in avanti, quello che riguarda tutti e che offre una cultura, una visione, non norme che si vogliono imporre con il consenso di un potere consumista che in cambio chiede l’anima.
Ecco allora che la messa conciliare, se qualcuno la osservasse, anche da non credente, spiegherebbe una nuova visione che parla ai bisogni degli europei smarriti di oggi. Nella liturgia tridentina, quella in latino, si vedono chiaramente due Chiese: nella prima c’è un generale che dando le spalle all’esercito gli indica l’unica via, che lui solo sa; nella seconda ci sono dei commensali, riuniti insieme alla stessa mensa. Questa Chiesa non più verticale ma orizzontale sa aprirsi a chi vive non in lei ma accanto a lei? La forma dice di sì, perché no? E’ l’altra forma che lo rende impossibile, perché lì si può solo seguire.
Questa Chiesa di fratelli può considerare tutti fratelli, non vede chi le è esterno come falsa umanità. Dunque la sua missione la svolgerà per attrazione, non per imposizione. La Chiesa di Francesco offre una strada che non riduce la fede a una verità assoluta ma di pochi secoli, ma cerca nella società d’oggi il modo per parlare dell’amore per il prossimo con l’uomo che c’è, con i problemi che ha, nella società in cui vive.