Città del Vaticano (Alessandro Di Bussolo di Vatican News) – Torna nella “perla dell’Adriatico”, la croata Dubrovnik sulla costa dalmata, la Scuola estiva di teologia lanciata nel 2019 dal vescovo Mate Uzinić e organizzata dal Consiglio per la cultura e la scienza della diocesi. Dal 18 al 24 luglio, 44 giovani teologi, dottorandi e studenti cattolici, ortodossi e protestanti croati, bosniaci, serbi, sloveni e montenegrini, si confronteranno tra loro e con i cinque docenti che li stimoleranno con le loro relazioni, una per ogni giorno di incontro.
“Non un corso teologico ma uno spazio di dialogo”
In questa seconda edizione della Summer school, studenti e docenti dialogheranno sul tema “Fede (a) politica: cristiani nello spazio politico“, dopo che la prima edizione era stata dedicata alla “Teologia in una società plurale“. “Non si tratta di un percorso di studi teologici – spiega a Vatican News monsignor Mate Uzinić, che nel novembre 2020 è stato nominato arcivescovo coadiutore di Rijeka-Fiume ma è ancora amministratore apostolico a Dubrovnik – ma solo di un incontro nel quale riflettere su alcuni temi di attualità per la Chiesa e la società”.
Tra i partecipanti lo stesso arcivescovo
Tutti i partecipanti, tra i quali non manca mai lo stesso arcivescovo, “hanno la possibilità di ascoltare opinioni diverse – ribadisce il presule – aggiornarle con il proprio contributo e crescere e progredire nel dialogo”. Nel luglio 2019, aprendo la prima Scuola estiva, monsignor Uzinić disse che “Il dialogo è un compito importante per tutti. Oggi abbiamo un’inflazione di parole, e quindi ci manca la conversazione. Questo ci impedisce il tanto necessario incontro a tutti i livelli, a livello delle relazioni interpersonali, ma anche al livello delle relazioni sociali, economiche, politiche, interreligiose, ecumeniche e intraecclesiali”.
I cinque docenti che animeranno l’incontro
I cinque relatori saranno nell’ordine fra Ivan Šarčević, docente dell’Istituto teologico francescano di Sarajevo, suor Teresa Forcades, medico, teologa e monaca benedettina catalana, Aristotle Papanikolaou, teologo ortodosso docente alla Fordham University di New York, Tomáš Halík, teologo e filosofo dell’Università Carolina di Praga e Miroslav Volf, teologo evangelico croato-statunitense dell’Università di Yale, New Haven. Ospiti con studenti, osservatori e organizzatori del Seminario diocesano di Dubrovnik, i docenti animeranno la discussione plenaria del mattino, che non sarà, chiarisce l’arcivescovo Uzinić, “un dibattito pubblico, ma un dialogo fraterno intra-teologico in modo che i partecipanti possano incontrare opinioni diverse e riflettere intensamente su tutte le dimensioni del discorso ecclesiastico, religioso e teologico nella pluralità della società moderna”.
Relazioni e dibattito al mattino, poi lavori di gruppo
Dopo la celebrazione di apertura, la sera del 18 luglio, già nel pomeriggio di lunedì 19 sono previsti i primi workshop, lavori divisi per gruppi, coordinati dai cinque docenti. Martedì sera, dopo cena, è in programma un panel con i cinque relatori, e la sera successiva una relazione di Joerg Basten e Stefan Vesper sul cammino sinodale della Chiesa tedesca. Tra i 44 partecipanti alla Scuola, 28 sono cattolici, studenti delle facoltà teologiche croate, slovene, bosniache, ma anche della Gregoriana e dell’Angelicum a Roma, 10 ortodossi, tutti da Belgrado e 6 protestanti, studenti a Osijek e a Zagabria. Ventitré sono ancora studenti, 11 dottorandi e 10 hanno da poco concluso i loro studi teologici.
Monsignor Uzinić: troppi abusi della religione per scopi politici
“Abbiamo deciso di riflettere sul tema dei cristiani nello spazio politico – ci dice l’arcivescovo Uzinić – perché stiamo assistendo a continui (ab)usi della fede e della religione per scopi politici, così come ci sono (ab)usi della politica a causa della religione”. L’intenzione è “aiutare i futuri teologi – donne e uomini – di diverse confessioni cristiane nell’Europa sud-orientale, dove c’è un costante intreccio di questioni religiose, politiche e nazionali, ad essere costruttori di società e comunità più giuste, aperte e umane”. Ecco il testo completo dell’intervista a Vatican News.
Arcivescovo Uzinić, nel programma della Scuola estiva di teologia, scrivete di non puntare tanto a formare gli studenti, ma ad aprire prospettive e spazi al dialogo e alla riflessione teologica? Cosa vuol essere allora la vostra Scuola?
La Scuola di Teologia di Dubrovnik è pensata come un incontro informale, di reciproca conoscenza e di riflessione, tra professori di teologia, teologi e studenti di teologia appartenenti a varie confessioni cristiane, riguardante diverse e attuali tematiche teologiche. Il programma è rivolto a studenti provenienti dall’ex Jugoslavia che stanno per terminare gli studi di teologia, oppure che hanno già ultimato l’iter di studi o si trovano nei corsi di dottorato. Si tratta di una serie di conferenze informali con piccoli gruppi di lavoro (workshop), tenute durante le vacanze estive, in cui si ha l’opportunità di interloquire con teologi cristiani che condividono le proprie esperienze vissute e le riflessioni su temi specifici. Non si tratta di un percorso di studio, tantomeno di un corso, né di formazione teologica, ma soltanto di un incontro in cui si ha l’intenzione di riflettere su alcuni temi attuali.
Questo progetto è iniziato due anni fa con il tema “Teologia nella società plurale” perché abbiamo notato che, anche se nominalmente viviamo in una società plurale, nella Chiesa e nelle società in questa nostra regione, che sta appena imparando cos’è il “pluralismo”, non sembra esserci tanto spazio per il pluralismo del pensiero. Questo influenza anche la libertà del pensiero teologico, e senza questa libertà non c’è nemmeno una vera teologia. Con la nostra Scuola di Teologia si è voluto inviare ai futuri teologi il messaggio che il pluralismo del pensiero e la libertà della riflessione teologica non sono nostri nemici, ma un arricchimento che ci incoraggia ad offrire al mondo – alla luce del Vangelo – anche la nostra risposta cristiana. Il compito della teologia e dei teologi non è quello di mettere a tacere le voci che forse sono diverse dalla nostra voce, ma di essere, tra le varie voci, una voce autentica, profetica. Però, affinché questo succeda, dobbiamo smettere di guardare le diversità interne al nostro mondo cristiano, alla Chiesa cattolica e alla sua teologia, come una minaccia e un pericolo. Viviamo in un mondo plurale dov’è impossibile e dannoso ignorare e non prestare ascolto alle altre voci. Questo inevitabilmente si riflette sulla Chiesa e sulle voci interne ad essa. Alcune cose non smetteranno di esistere solo perché noi non mostriamo per loro alcun interesse e non ne parliamo. Di contro, prima o dopo queste possono diventare un problema per noi e per la Chiesa, come è già successo nel corso della storia. E con ciò anche fonte di divisioni. Per questo motivo bisogna parlarne già ora.
Per questo secondo anno avete scelto il tema “La fede (a) politica: cristiani nello spazio politico. In Croazia e nei Balcani qual’ è oggi l’impegno politico dei cristiani?
Purtroppo, anche i politici che si dichiarano cristiani, non di rado fondano il proprio impegno nel mondo politico non sulla loro fede cristiana, ma su alcuni propri interessi particolari o del proprio partito. Mi sembra che piuttosto che nobilitare la realtà socio-politica con i propri valori, il cristianesimo spesso venga strumentalizzato per scopi politici. Si riduce alla retorica. In questo modo non ha, e non può avere, un’influenza sostanziale su scelte e posizioni politiche reali. Noto due estremi. Uno è che alcuni politici che si dichiarano credenti, con il proprio impegno non contribuiscono alla testimonianza del Vangelo nella comunità socio-politica, ma piuttosto compromettono il Vangelo con il proprio agire e con le posizioni che difendono. L’altro è che l’impegno cristiano nella sfera politica assume sempre di più dei connotati fondamentalisti con cui si distorce e compromette l’immagine di Gesù Cristo e il messaggio del suo Vangelo. Queste sono sfide anche per la teologia, che è chiamata ad indirizzare l’agire dei fedeli laici nella vita della comunità politica e della sfera sociale, e ad essere uno sfondo teorico, non lasciandosi guidare dall’opinione generale. Purtroppo, ciò non succede. Ci sono invece scontri, non necessari, al livello politico e sociale, che ci polarizzano sempre di più, specialmente quando cerchiamo di imporre gli uni agli altri le proprie convinzioni. La fede va testimoniata e proposta, non imposta. Questo vale non solo per l’impegno dei cristiani nell’evangelizzazione, ma anche per il loro impegno politico.
Come possono i cristiani dell’Europa sud-orientale, ed ex comunista, evitare, impegnandosi in politica, i rischi del populismo e del fondamentalismo, ma anche quello dell’irrilevanza in partiti che rifiutano gran parte dei valori cristiani?
Vorrei poterle offrire una risposta semplice, ma non posso. Oppure sì: la riposta è la conversione, ossia il ritorno al Vangelo. Papa Francesco nell’enciclica “Fratelli tutti” la chiama “la migliore politica”. Si tratta di quella “politica” alla quale Gesù ha chiamato i suoi discepoli dicendo loro quello che non andava bene nella vita socio-politica del suo tempo e cioè che il primo tra tanti sia il capo. Mostrando loro l’esempio della lavanda dei piedi, li ha chiamati a comportarsi diversamente e ha loro insegnato che il primo tra di loro è chiamato a servire, a lavare i piedi degli altri. Questo messaggio non è rivolto soltanto a coloro a cui sono dati i primi posti in Chiesa, ma anche a coloro che occupano i primi posti nella vita della comunità politica. Noi, che abbiamo i primi posti in Chiesa, per poter inviare questo messaggio ai cristiani impegnati politicamente, dobbiamo innanzitutto mostrare con il nostro esempio di seguire questo tipo di “politica”. Cioè di far uso di questo nostro “essere chiamati da Dio” per servire, e non per essere serviti. Una precondizione per questo è il superamento di interessi particolari, a tutti i livelli e prima di tutto nella Chiesa, e poi con l’esempio cristiano anche nella comunità politica. Poter servire il bene comune tenendo conto che viviamo in una società secolarizzata e plurale e che il bene comune è più ampio dei nostri interessi personali, familiari, nazionali e religiosi, o del nostro partito, come anche di tutti gli altri interessi che non sono pubblici, ossia nell’interesse di tutti. Non posso, in questo contesto, non menzionare l’antica Repubblica di Dubrovnik, come un esempio di una “politica migliore”, e ricordare il motto “Obliti privatorum, publica curate” inciso sopra la porta del Palazzo Ducale, che inviava un messaggio chiaro a tutti coloro che volevano occuparsi di politica, in particolare ai cristiani, di non lasciarsi mai guidare da propri interessi, ma sempre e soltanto dall’interesse comune.
Dubrovnik e la sua Scuola estiva di teologia come una nuova “Atene cristiana”, un areopago del dialogo dove tutti i partecipanti, ha detto in una recente intervista, “hanno la possibilità di ascoltare opinioni diverse, aggiornarle con il proprio contributo e crescere e progredire nel dialogo”. È una speranza, o nella prima edizione del 2019 è successo davvero?
Ambedue le cose. Durante la prima Scuola estiva del 2019 era successo davvero questo progresso. Si poteva vedere a occhio nudo la trasformazione negli studenti, che forse, anche sotto l’influenza di una certa tensione creatasi attorno alla scuola e verso i suoi relatori, diventavano ogni giorno più aperti al dialogo. Bisognava vedere con quale entusiasmo gli studenti di teologia hanno accolto il progetto, come hanno partecipato attivamente alle discussioni, sentire le loro impressioni alla fine. Particolarmente importante, ritengo, è stata la partecipazione di studenti di teologia appartenenti a diverse confessioni cristiane, che hanno avuto l’opportunità, alcuni di loro per la prima volta, di confrontarsi con i pregiudizi che nutriamo gli uni verso gli altri. Era molto interessante vedere il modo in cui cambiava il loro rapporto verso la teologia, come si aprivano i loro orizzonti, e osservare come iniziavano a vedere la Chiesa in modo differente, compresa la loro missione all’interno della Chiesa. Ho già parlato più volte della testimonianza di una ragazza appartenente ad un’altra Chiesa cristiana che mi disse come in precedenza aveva l’intenzione di abbandonare la propria Chiesa dato che non trovava il senso per rimanervi, ma dopo la Scuola era cresciuta in lei la convinzione di rimanere e lottare per la Chiesa e per il proprio posto all’interno di essa, dato che durante lo svolgimento della Scuola ha capito quale posto lei avesse nella Chiesa, il senso e la speranza che un modo differente di vivere fosse possibile. In modo simile mi parlò anche un altro ragazzo. Anch’io in questa Scuola vedo questa speranza. Si potrebbe dire che la Scuola non abbia mutato nulla nel dialogo ecumenico tra i cristiani. Non ha portato nemmeno verso un maggiore dialogo all’interno della Chiesa cattolica, anzi ha mostrato come siamo divisi e incapaci di dialogare tra di noi. Infine, non ha portato un maggiore dialogo tra Chiesa e mondo. Tuttavia, la Scuola ha seminato nei cuori di giovani studenti di teologia, appartenenti a differenti confessioni cristiane, un seme che potrà crescere per superare le grandi divisioni che vanno aldilà delle nostre identità. Voglio sperare che questo seme davvero cresca e di questa sua crescita trovo conferma nel fatto che anche quest’anno l’interesse per la Scuola è cresciuto. C’è un grande interesse presso gli studenti. Ciò significa che l’esperienza positiva della prima edizione della Scuola si è diffusa anche presso altri studenti.
Infine, può arrivare da Dubrovnik la testimonianza, sulla scia dell’enciclica di Papa Francesco “Fratelli tutti”, che anche nei Balcani si può dialogare tra popoli e religioni, per riconciliarsi e perdonarsi, imparando a guardare alle vittime degli altri e ai crimini della propria parte, e non solo alle proprie vittime e ai crimini degli altri?
Tali messaggi sono già stati lanciati da Dubrovnik varie volte. Non dimentichiamo che Dubrovnik è stata vittima di grandi distruzioni durante la guerra, e che la città ha pianto numerose vittime sia civili che militari, tra cui anche alcuni bambini. Nonostante ciò, proprio a Dubrovnik è nata e continua una storia ecumenica, che ha avuto vari incontri di preghiera, numerose iniziative umanitarie. E si è potuta sentire anche quella parola importante che è “perdono”. Qui ci si è data la mano per la riconciliazione. Direi che la Scuola estiva di Teologia vada vista come la continuazione di tale processo. Parlando dell’enciclica di Papa Francesco “Fratelli tutti”, bisogna dire che il suo messaggio su come bisogna smettere di misurare chi ha più torto e chi ha più colpe o meno colpe, e come dobbiamo ad ogni vittima innocente il medesimo rispetto, senza distinzioni su basi etniche, confessionali, nazionali, politiche o altre, è stato ispirato da un importante documento della Conferenza episcopale croata pubblicato in occasione del cinquantesimo anniversario della fine della Seconda guerra mondiale.
Questo documento, in più parti, è rimasto purtroppo inascoltato. Ma è importante, perché in esso, tra le alte cose, vi è un’affermazione che, in vista dell’enciclica “Fratelli tutti”, chiamerei profetica: “La questione centrale non è come commemorare le vittime appartenenti alla propria comunità, né come individuare le colpe presso l’altra comunità. Croati e serbi, cattolici, ortodossi e musulmani e altri si trovano dinanzi a questioni morali più gravi: come commemorare le vittime di altre comunità, e come riconoscere la colpa in seno alla propria comunità? E poi: come espiare la colpa, come ottenere il perdono di Dio e degli uomini, la pace delle coscienze, la riconciliazione tra i popoli? La chiave della risposta sta nella preghiera del Signore. Tutti gli uomini, e specialmente quelli che insieme a noi si rivolgono a Dio come Padre, li chiamiamo fratelli. Insieme a loro preghiamo: ‘Rimetti a noi i nostri debiti come noi li rimettiamo ai nostri debitori.’ Anelando al perdono di Dio, anche noi uomini perdoniamo gli uni gli altri.”
Mi permetto di dire, che anche se l’enciclica “Fratelli tutti” è rivolta a tutta l’umanità, in questa parte riconosco un messaggio rivolto proprio a noi, che vi vediamo riflessi i nostri problemi legati alle divisioni nazionali ed internazionali. Finalmente sarebbe ora di guardarci e riconoscerci non attraverso la lente delle colpe che abbiamo, ma come fratelli. Essendo noi fratelli da più punti di vista. Collegandomi alla nostra Scuola, mi sembra che il messaggio più appropriato per queste terre lo abbia dato il Papa a Sarajevo, parole che hanno pure trovato il loro posto nell’enciclica “Fratelli tutti”, quando ha messo l’accento sul dialogo, che viene dal Papa additato come valore che ci può svelare la ricchezza che possediamo e di valorizzare ciò che ci unisce. Promuovendo il dibattito su questioni teologiche, politiche ed anche ecclesiali, la Scuola estiva di Dubrovnik può dare il proprio apporto in questo senso. Se riusciremo nel nostro intento, credo di poter sperare che riguardo anche ad altre sfide, tra cui quella del perdono e della riconciliazione, sapremo rispondere con successo.