(Emanuele Boffi di Tempi.it) – E gli stadi arcobaleno, e i loghi delle squadre arcobaleno, e le fasce da capitano arcobaleno. E poi ancora: la pubblicità delle caramelle, la serie “pride” su Disney+, i corsi aziendali per insegnare il rispetto lgbt, le campagne di Ebay, Facebook, Google, Spotify, Tik Tok per l’inclusività. Ovunque ti giri c’è lo spot alla cultura gay e, fosse solo un caso di petulante propaganda, ci si potrebbe quasi arrendere, quasi sopportare con un po’ di spirito e ironia, cercare alternative, spazi e luoghi dove respirare aria diversa. Il problema è che non è solo così; perché se fosse solo così, in una società plurale come la nostra, si potrebbe provare a confrontarsi, magari pure imparare qualcosa, tentare di offrire alternative – una parola, un esempio – in controtendenza alla narrazione prevalente.
Una dottrina stridula
Il problema è che non è solo così e bisogna ritornare all’articolo che ha scritto Carl R. Trueman per First Things (“Identity politics, il vero oppio dei popoli” su tempi.it, 10 maggio).
“La cosa che lega assieme tutti i gruppi identitari è l’esperienza umana di desiderare di appartenere, senza tuttavia trovare un posto nella società contemporanea. La famiglia è un disastro. Le istituzioni religiose hanno perso autorevolezza. Lo stato nazionale non è più fonte di unità ma teatro di conflitti. […] I cristiani devono prendere sul serio questa mancanza di connessioni e opporre alle forme chimeriche di appartenenza la vera comunità della Chiesa. […] Il cristianesimo condanna il peccato ed esige pentimento; ma sono la grazia e il perdono il suo cuore. La voce stridula della identity politics chiede con forza il pentimento, ma presuppone che nessun vero atto di contrizione sarà mai sufficiente. Non offre grazia né perdono. Questo perché il vero nome del gioco è la vittoria totale, non la riconciliazione”.
Una religione dogmatica
Qui è il punto. L’identity politics lgbt non pretende di essere solo una visione del mondo, ma vuole essere una religione dogmatica, un surrogato del cristianesimo senza Cristo, una chiesa che tra i suoi precetti non contempla «né la grazia né il perdono». Chi non si adegua è da perseguitare, chi non aderisce è fuori dal consesso dei presentabili, chi dissente merita la punizione.
In Italia ne abbiamo avuto un assaggio in questi mesi di discussione sul ddl Zan, ma se guardiamo oltre i nostri confini, vediamo già in atto le conseguenze di questa fede senza ragione e senza libertà che porta al delirio. Il procuratore generale democratico della California, Rob Bonta, ha lanciato i travel ban: i dipendenti pubblici dello Stato non potranno viaggiare in 17 paesi degli Stati Uniti perché questi ultimi hanno leggi che discriminano gli lgbt. Il vescovo luterano finlandese Juhana Pohjola è stato accusato di incitamento all’odio e sarà processato per aver sostenuto che «il matrimonio è inteso solo tra un uomo e una donna. Questo è ciò che la Chiesa ha sempre insegnato e insegnerà sempre». L’ex cappellano del Trinity College di Cambridge, Bernard Randall, è stato cacciato dal Trent College per le critiche al programma gender della sua scuola.
Miss Nevada è un uomo
La celebre scrittrice J.K. Rowling è stata ferocemente attaccata per aver sostenuto che i trans uomini non sono donne. Intanto Laurel Hubbard, nato Gavin, parteciperà alle Olimpiadi di Tokyo nella categoria femminile di sollevamento pesi diventando il primo atleta trans a competere ai Giochi. Kataluna Enriquez, 27 anni, transessuale, è stato nominato Miss Nevada e ora potrà partecipare a Miss Usa e, magari, diventare Miss Universo.
La novità è questa: non è più solo una questione di spot a un’ideologia cui occorre fare una genuflessione preventiva come accaduto alle partite degli Europei di calcio. Ora tutto questo, da dogma ideologico, sta diventando legge, norma, reato, punizione. Chi osa dissentire rispetto a queste palesi discriminazioni finisce in tribunale e, poi, in carcere. Come disse a Tempi il pensatore omosessuale inglese Douglas Murray citando Eric Hoffer: “Ogni grande causa comincia come un movimento, diventa un business, e infine degenera in un racket”.