Milano – Sembrano tante sentinelle le chiese e i monasteri dell’Armenia. Sentinelle di un cristianesimo che da secoli è un avamposto in mezzo all’islam. Circondati da Iran, Turchia e Azerbaigian gli armeni hanno difeso il loro credo resistendo a invasioni, occupazioni e ateismo di Stato.
Primo Paese a proclamare la conversione al cristianesimo nel 301, l’Armenia, ha subìto nel corso dei secoli occupazioni da parte di turchi, persiani e mongoli. E il territorio è stato spesso devastato anche da violenti terremoti. Tuttavia gli armeni hanno conservato la loro identità, la loro cultura e la loro fede: elementi questi che legano alla madrepatria gli oltre 10 milioni della diaspora sparsi in tutto il mondo.
Oggi gli armeni residenti in ciò che resta del loro Paese sono circa 3 milioni sopravvissuti al grande genocidio compiuto dai turchi che, nel 1915-1916, ne massacrarono un milione e mezzo. Una tragedia poco conosciuta e anche negata alla quale è dedicato il Museo del genocidio nella capitale Yerevan. Ma, viene da chiedersi, cosa ha tenuto uniti gli armeni in mezzo a secoli di guerre violenze e soprusi? Un elemento costitutivo e distintivo del Paese è sicuramente la scrittura ideata nel 405 da Mesrop Mashtots (cui è dedicato il museo del libro a Yerevan dove sono conservati splendidi manoscritti) per poter tradurre e far conoscere la Bibbia al popolo armeno. E il cristianesimo è il secondo grande elemento costitutivo dell’identità armena…
“Il cristianesimo per gli armeni è come il colore della la pelle: non si può cambiare” dicono con orgoglio. Così scrittura e religione da sempre sono punto d’incontro e collante anche dopo l’ultima divisione del territorio. Un’amputazione che è ancor più dolorosa perché arrivò nel 1920 all’indomani della riconquistata indipendenza dopo secoli. Per sfuggire alla morsa turca gli armeni si gettarono nell’abbraccio mortale della neonata Unione Sovietica. E Mosca, per tenersi buono lo scomodo vicino turco, pensò bene di cedere le dodici province occidentali dell’Armenia alla Repubblica Turca di Kemal Ataturk il leader di quei “giovani turchi” principali protagonisti del genocidio armeno.
Ma quella cessione portò oltre al danno le beffe: l’Armenia perdeva simbolo del Paese,l’Ararat la montagna dove secondo la tradizione si arenò l’Arca di Noè. E per i cristiani armeni cominciava anche il lungo inverno di 70 anni di ateismo di Stato con la chiusura di seminari e la distruzione di chiese e conventi. L’Aratat oggi è più che mai il simbolo dell’Armenia: non c’è angolo della vasta pianura e dai rilievi che la circondano dal quale non lo si possa vedere e sicuramente una degli scorci più suggestivi lo si può ammirare Zvartnotz – Tempio degli Angeli – con le rovine della chiesa dedicata a San Gregorio l’Illuminatore il patrono dell’Armenia.
L’imponenza dei resti della costruzione da soli raccontano a quale punto di civiltà fossero giunti gli armeni a metà del VII secolo. E proprio San Gregorio l’Illuminatore, primo chatolicos degli armeni, è una delle figure chiavi del cristianesimo armeno. A Khor Virap, sul luogo dove c’è ancora il pozzo nel quale il Santo fu rinchiuso per 13 anni, sorge un magnifico monastero circondato da mura dalle quali si gode la vista dell’Ararat.
La tradizione narra che San Giorgio guarì Tiridate III il re che lo aveva rinchiuso e quel gesto di generosità portò il sovrano a convertirsi al cristianesimo e con lui tutti gli armeni. Gli armeni oggi si riconoscono nella Chiesa Apostolica Armena che il suo “Vaticano” a Echmiadizin – La discesa dell’Unigenito – dove nella piccola cattedrale è possibile incontrare il catholicos e dove è di fatto rinato il cristianesimo armeno con la riapertura del seminario.
La Chiesa armena, benché separata da Roma (solo i Melchitarriti riconoscono autorità del Romano Pontefice), compie passi di grande apertura verso i cattolici (“Le differenze tra di noi e voi – amano dire – stanno in un ditale”) tant’è che non è infrequente per le comitive di pellegrini celebrare la Messa nelle loro chiese. E proprio le chiese, sparse in tutto il territorio, in fondo a gole, a mezza costa o sulla sommità di alture, costituiscono una delle maggiori attrattive.
La quasi totalità è decorata da incisioni e bassorilievi e oggi lentamente stanno lentamente riaprendo grazie agli aiuti degli armeni della dispora. Così sono rinate – tra le altre – la chiesa di Santa Hripsime dedicate a alle Sante Ripsima, Gaiana e compagne martiri, il copmlesso monastico di Noravank, la chiesa di Astvatsatsin dall’originale ingresso al primo piano lungo due strette scale addossate alla facciata, o il monaztero di Geghard dove, secondo la tradizione, p conservato un frammento della lancia di Longino che trafisse il costato di Gesù Crocifisso.
Estremamente suggestivo infine il Tempio del Sole di Garni dal quale si domina una vallata e che, immerso nel silenzio, da solo racconta la storia di un popolo martoriato, sottomesso, ma non sconfitto del suo intimo e che ancora oggi è testimone dei suoi valori, della sua cultura, del suo credo.
Mino Carrara