Bari (Vincenzo Priolo di Horsemoon Post) – Mentre la vicinissima Svizzera approva norme più severe contro il radicalismo islamico, anche l’Italia, grazie ad alcune università pubbliche sceglie di attivarsi con corsi di formazione mirati e di alta qualità specialistica.
È il caso dell’Università Aldo Moro di Bari che nei giorni scorsi ha concluso le lezioni del corso di formazione “Consapevolezza della radicalizzazione: gender, minori e processi di deradicalizzazione”, che si concluderà il prossimo 6 luglio con la discussione degli elaborati dei corsisti. Ad organizzare il corso è stata Laura Sabrina Martucci, docente aggregato di Diritto Ecclesiastico Comparato e di Diritto degli Enti Ecclesiastici nel Dipartimento di Giurisprudenza dell’ateneo pugliese, che da molti anni si occupa di queste tematiche, coadiuvata dalla Prof. Raffaellla Scelzi, PHD in Teoria del Linguaggio e Scienze dei Segni sempre nella stessa università.
Il Corso, incardinato nelle attività del progetto internazionale PriMED (Prevenzione e interazione nello spazio trans-mediterraneo), è stato rivolto alle figure professionali operanti nel settore della Pubblica Amministrazione, come funzionari degli enti locali e regionali, funzionari di prefettura, forze dell’ordine e personale delle amministrazioni scolastiche e universitarie. Il tema della radicalizzazione è stato presentato attraverso focus specifici: la radicalizzazione delle donne e dei minori; i retournees; la promozione dell’integrazione interculturale e interreligiosa attraverso le Istituzioni e politiche pubbliche; le tecniche e i programmi di deradicalizzione europei e dei Paesi OCI; il coinvolgimento delle comunità islamiche italiane. Un metodo innovativo di analisi multidisciplinare e offerto in chiave comparatistica.
Perché è davvero importante, oltre che di grande attualità, parlare oggi di queste tematiche così complesse? Anzitutto perché si registra una “radicalizzazione ossea, priva dell’eclatanza e dell’aspirazione eversiva di quella jihadista, eppure come questa mimetica, rannicchiata nelle pieghe del nostro Paese, e crudele, ferale“, afferma Sabrina Martucci, spiegando il caso della diciottenne pakistana Saman Abbas.
Lo studio di temi così delicati è fondamentale perché nessuno oggi è in grado di dire cosa accada veramente nel segreto delle famiglie degli immigrati e delle loro decisioni riguardanti vari aspetti sociali, come i matrimoni dei figli. Si può constatare, in molteplici Paesi europei, una recrudescenza delle fughe da casa dei giovani (adolescenti o adulti) appena prima dell’estate e si sospetta che tali fughe siano motivate dal fatto che questi giovani temono di essere portati a forza nel Paese di origine, per essere costretti a contrarre matrimoni forzati.
I matrimoni forzati infatti non riguardano solo le ragazze o una determinata cultura o religione (vengono praticati in Africa, Asia, America o in Europa tra gli Induisti, Buddisti, Ebrei, Cristiani e Musulmani….) e toccano tutte le classi sociali (dai più poveri agli ambienti aristocratici delle società contemporanee).
È difficile abbattere il muro del silenzio e determinare quando si tratta di un matrimonio forzato o di un “matrimonio combinato” a favore del quale il soggetto in questione ha potuto decidere ed accettare i consigli e la scelta della famiglia. Di particolare importanza dunque, nonché apprezzabile il lavoro delle Università, come nel caso del Dipartimento di Giurisprudenza dell’Università di Bari che ha messo al centro dell’analisi accademica, anche con l’ausilio dei vertici della comunità islamica e di esperti sociali, il complesso fenomeno della radicalizzazione.
Ed è insieme, sommando le nostre preziose risorse culturali e le nostre competenze, in nome dei nostri valori comuni e rispettando tutte le religioni che avremo un quadro più chiaro che ci faccia comprendere e prevenire episodi tragici come quello della povera Saman Abbas.