(da Il Format) – Dagli Stati Uniti si sta diffondendo anche in Europa la cosiddetta cancel culture ovvero la “cancellazione della cultura”. La vittima più famosa è la statua di Cristoforo Colombo, ritenuto responsabile dello sfruttamento dell’America. In nome del ruolo della donna e delle minoranze si avanza la richiesta di distruggere i monumenti di quei personaggi, ritenuti responsabili di tali discriminazioni, e addirittura di cancellare i loro nomi dai libri scolastici.
Questa richiesta si commenta da sé. La storia, diceva Croce, è sempre storia contemporanea. Chi cancella il passato, cancella anche il presente, che è figlio del passato.
C’è, invece, una subdola e diffusa cancellazione della storia e della cultura, sulla quale non si riflette abbastanza.
La cultura digitale è una cultura sincronica, veloce, pragmatica. Ci educa ad avere tutto e subito. Ha preso il sopravvento sulla cultura diacronica. La conoscenza si riduce a informazione. La cultura diacronica è quella storica, che ha bisogno di tempo e di riflessione per essere assimilata ed è alla base della cultura sincronica.
L’informatica non potrebbe esistere senza la logica di Boole, senza la fisica, senza la matematica, senza la storia della cultura. Nei vaccini anti-covid c’è tutta la storia della genetica, della biologia, dell’infettivologia. Accendere e usare un telefonino è facile ed immediato, costruire un telefonino è complesso e richiede la conoscenza di discipline, che sono il risultato di un lungo e faticoso cammino del pensiero e della civiltà.
La poesia, la musica, la pittura, l’arte, la filosofia, la logica, la scienza hanno un valore eterno, non sono un prodotto superato del passato. Omero, Virgilio, Dante, Pitagora, Cartesio, Galileo, Leonardo, Bach, Platone, Aristotele, Agostino d’Ippona, Kant, Pasteur, Einstein sono attuali, sono nostri contemporanei. La bellezza, la verità, il bene sono eterni, mentre la fortuna, il danaro, il potere sono precari e cambiano. Per Leopardi, tutto si era perfezionato da Omero in poi, ma non la poesia.
Joyce diceva che la storia è un incubo da cui cerchiamo di svegliarci. Fa molto riflettere questa riflessione di Schopenhauer: “cercare un senso nella storia è come guardare le nuvole. Si vedono forme di leone, forme di montagne, forme di lago, di nave”.
Se è vero quello che afferma Schopenhauer, il problema non è quello di cancellare la storia, ma di interpretarla e di verificare che tipo di storia noi trasmettiamo ai giovani e alle generazioni future.
L’oggetto della discussione è costituito non dalle cose accadute (res gestae), che sono inamovibili e innegabili, ma dal racconto, dalla storia delle cose accadute (historia rerum gestarum).
Sono d’accordo con Karl Popper per la denuncia morale della religione del potere da parte della storiografia. La storia, nel senso in cui la intende la maggior parte della gente, quella che s’insegna nelle nostre scuole, è il frutto di “una vera e propria offesa a una giusta concezione del genere umano”, perché è elevata a dignità di storia del mondo la storia del potere politico, che è “la storia della malversazione o del ladrocinio”, “la storia del crimine internazionale e dell’assassinio di massa”. Correggendo Popper, vorrei, però, aggiungere che non sempre il potere politico è legato al crimine e alla malversazione. Il potere non va demonizzato. Il potere nella democrazia e nello stato di diritto è legato al bene comune, al consenso, al rispetto di ogni persona, della diversità e delle minoranze.
La storia del potere politico, discriminando gli uomini in base alla loro distanza dal potere, esalta i più grandi criminali come eroi e insegna l’etica del successo e della fama.
Correggendo Popper, vorrei, però, aggiungere che non sempre il potere politico è legato al crimine e alla malversazione. Il potere non va demonizzato. Il potere nella democrazia e nello stato di diritto è legato al bene comune, al consenso, al rispetto di ogni persona, della diversità e delle minoranze.
La storia del mondo dovrebbe essere la storia del genere umano, ovvero di tutti gli uomini e delle loro sofferenze, attese, conquiste, senza discriminazione alcuna, perché “non esiste uomo che sia più importante di un altro uomo”. In tale prospettiva ci possono essere soltanto storie, non ci può essere una storia. La storia del genere umano dovrebbe comprendere la storia della vita quotidiana, dei mestieri, della famiglia, della poesia, dell’arte, delle religioni, del diritto, delle scienze, della tecnologia, della filosofia, dell’educazione, dell’agricoltura, e non solo quella del potere.
Occorre, come ha proposto recentemente Rutger Bregman, una nuova storia (non cinica) degli ultimi 200.000 anni dell’umanità. Raccogliendo il prezioso contributo della biologia, dell’archeologia, della psicologia, dell’antropologia, della sociologia, Bregman dimostra che siamo predisposti alla cooperazione molto più che alla competizione.
Dobbiamo liberarci dal negativity bias, dalla predisposizione alla negatività e vedere l’umanità sotto una nuova luce, che è quella di un nuovo realismo, che non significa cinismo, ma consapevolezza della complessità e della predisposizione al bene degli esseri umani.
“L’uomo diventerà migliore quando gli avremo mostrato com’è” ha scritto Anton Cechov.
Abbiamo bisogno di una storia vera, che esprima l’aspirazione dell’uomo alla bellezza, alla verità, alla giustizia, al bene. Questa storia non si cancella. Senza di essa si precipita nella barbarie.