(Gianfranco Ravasi di IlSole24ore) – Sopravvissuto agli smagrimenti costanti subiti dalla mia biblioteca personale durante i vari traslochi o le donazioni, un mese fa ho ritrovato, debitamente impolverato, un libro pubblicato nel 1977 dal titolo graffiante, Il cristianesimo sta per morire? A comporlo, tenendo davanti agli occhi la Chiesa e la società francese di allora, era uno storico del calibro di Jean Delumeau. Ora, con un titolo ugualmente provocatorio ma con un panorama più ampio, soprattutto europeo, sale sulla ribalta un altro storico importante com’è Andrea Riccardi, il fondatore della Comunità di Sant’Egidio: La Chiesa brucia?, si chiede, adottando come parabola simbolica l’’incendio di Notre-Dame del 2019, da alcuni letto come il segno dello sbriciolarsi del cristianesimo nella sua fase terminale, da altri invece visto come fuoco sotto la cenere, pronto a riattizzarsi e a fiammeggiare di nuovo in luce e calore.
L’autore nel sottotitolo raccoglie questo ossimoro interpretativo parlando di “crisi e futuro del cristianesimo”, riappropriandosi di una battuta suggestiva del card. Carlo M. Martini: “La perennità è assicurata da Cristo alla Chiesa, non alle singole Chiese, corresponsabili del loro futuro”. Il teatro di questa crisi, che certamente non può essere risolta né attraverso l’asserragliarsi autodifensivo del tradizionalismo conservatore, né da una debilitazione tematica accattivante di impronta progressista, è allestito da Riccardi attraverso una sequenza di quadri che si succedono puntando sull’orizzonte europeo. Per descrivere la sua impostazione, forse l’immagine più pertinente è di taglio filmico: lo zoom parte dall’Italia, ritratta nei suoi antecedenti storici e nella contemporaneità ove la pratica religiosa si fa esangue, le vocazioni si estenuano, l’incidenza socio- politico-culturale si raggrinzisce, per poi procedere oltre. L’obiettivo si sposta, poi, sulla Spagna, un tempo cattolicissima, vanamente rinverdita dalle strategie d’attacco della gerarchia ecclesiastica di ieri, mentre oggi è impegnata in un dialogo stentato con la società secolarizzata e insidiata dal neoprotestantesimo evangelicale. Della Germania e del suo “cammino sinodale” si legge spesso sui giornali quasi fosse “un’alternativa progressista a papa Bergoglio”. La serie dei quadri, per altro sempre sostenuti da una ricca e interessante documentazione, comprende anche l’Est europeo con l’Ungheria di Orbán e la Chiesa ancora potente di Polonia affiancata dalla visione identitaria e nazionalista del partito “Diritto e Giustizia”. A questo proposito il discorso s’affaccia anche sul modello del nazionalcattolicesimo, sorto già alle soglie del ’900, spesso ancorato a tavole valoriali fisse e “non negoziabili”, un modello da non confondere, anzi, da opporre a quello cattolico-democratico avviato in Italia da don Sturzo in contrasto col nazionalismo fascista.
A questo punto, sempre muovendosi sul terreno storico, Riccardi rivolge uno sguardo ermeneutico acuto ai nodi di quella crisi che ha prima rappresentato. Il termine greco krisis semanticamente rimanda alla categoria del “giudizio” e non a quella del declino. Certo, alcune tipologie possono essere in sofferenza o in evoluzione o in metamorfosi. L’elenco può infittirsi e sui vari anelli che lo compongono l’autore punta il suo obiettivo: l’intisichirsi delle vocazioni religiose, il rinsecchirsi delle parrocchie, la questione femminile che spintona il dominio maschile, il fenomeno migratorio, lo scomporsi della stessa sessualità, l’inverno demografico, l’ansimare della famiglia, la visiera calata dell’individualismo, l’infrangersi della memoria storica, l’urbanizzazione e l’anonimato, i tonfi economici, le devastazioni ecologiche, le povertà diffuse e, più in generale, la fluidità dell’antropologia e della società, e soprattutto il trapasso verso lo status rischioso dell’indifferenza amorale e areligiosa che sostituisce l’ateismo conclamato.
Riccardi sceglie alcuni emblemi di “crisi-giudizio” rigenerativo: il lungo e complesso pontificato di Giovanni Paolo II, incisivo ma anche segmentato, e quello di Francesco nato dalla svolta traumatica delle dimissioni di Benedetto XVI e sensibile ai fenomeni della transizione, di un’umanità fraterna e globale, dei movimenti migratori, delle fatiche e delle ferite inflitte al nostro pianeta. La sferzata della pandemia ha rimescolato le carte sociali e culturali e, quindi, ha intaccato anche la religione. Nonostante la spossatezza del cristianesimo storico istituzionale, la spiritualità continua ad annidarsi in modo fecondo nella contemporaneità, anche se talora con le slabbrature del sacralismo e del devozionalismo e gli incubi del fondamentalismo. L’indubbia ventata di freschezza che papa Francesco ha fatto spirare sulla vecchiaia dell’Europa (i bambini sono solo un dodicesimo, mentre gli anziani un terzo), pur coi suoi limiti e le reazioni avverse, rende la Chiesa «una grande risorsa nel deserto di solitudine di tante periferie, scariche di legami e di empatia”. Ho iniziato con la nota personale del testo ritrovato di Delumeau, concluderei – ricalcando Riccardi – con un altro libro della mia biblioteca, la provocatoria Agonia del cristianesimo (1931) di Miguel de Unamuno che spiegava, anche in chiave etimologica: “Bisogna definire il cristianesimo agonicamente, polemicamente, cioè in funzione della lotta”.