(da gamerclick.it) – Dopo innumerevoli capitoli, la saga di Assassin’s Creed è più che una certezza transmediale, tra videogiochi ─ ovviamente ─ romanzi, fumetti, film e tutto ciò che può essere sfruttato per il marketing. Sin dal suo debutto, nel 2007, Assassin’s Creed è subito entrato nell’immaginario collettivo e da allora, Assassini, Desmond Miles e Altair fanno parte dell’universo di icone videoludiche.
Il primo capitolo è tutt’altro che un gioco perfetto: alla lunga risultava ripetitivo e a tratti noioso ma è stato fondamentale per lo sviluppo degli open world e free roaming che conosciamo oggi. Le vicende di Altair Ibn La Ahad e di Desmond Miles hanno aperto un mondo nuovo, mettendo un tassello fondamentale anche per quanto riguarda la narrativa, lavoro di cui vede gran merito Patrice Désilets. È da qui che partono i presupposti dell’analisi su Origins, Odyssey e Valhalla, trilogia criticata per essersi allontanata dagli stilemi narrativi dei primi capitoli e soprattutto da Assassin’s Creed II dove, nel finale, l’intero asset narrativo veniva allargato in maniera smisurata. La diatriba parte con Assassin’s Creed Origin, capitolo che in qualche modo può essere considerato un nuovo punto di partenza del franchise, modificando e approfondendo meccaniche di gameplay che cominciavano a divenire stantie. Di fatto, il precedente ─ e sottovalutato ─ Assassin’s Creed Syndicate, cominciava a far percepire una certa stanchezza, soprattutto per quanto riguardava il combat system, contornato dalla solita mancanza di reale sfida e narrazione contemporanea persa per strada. Molti prefiguravano l’arrivo, prima o poi, di un capitolo a noi contemporaneo o, addirittura, un mash-up con Watch Dogs, altro franchise made in Ubisoft, al fine di porre fine, una volta per tutte lo scontro tra assassini e templari. Ma nel 2017 Ubisoft spiazzò tutti, presentando un episodio ambientato nell’Egitto Tolemaico mandando gli appassionati e non, un po’ in confusione: qual è il senso di ambientare Assassin’s Creed senza gli Assassini? In realtà, il finale del gioco il senso lo rivela, ma effettivamente, è molto più complesso di così. L’arrivo di Odyssey, peggiorò ulteriormente le cose, presentandosi come prequel del capitolo egiziano; anche qui, “qual è il senso di tutto ciò?”. Il senso, ce lo da già il nome del brand, ma andiamo con ordine.
Come abbiamo potuto vedere, la Setta degli Assassini viene inaugurata durante l’Egitto Tolemaico da Bayek e Aya, i protagonisti del titolo. Questo già ci dice qualcosa: gli “assassini” esistevano già, una congregazione sparsa, senza una guida ma tutti riuniti comunque sotto la stessa bandiera. In Egitto dunque, tutto questo prende forma ufficiale. Persino Bayek ha in dotazione una lama celata, arma simbolo della setta e, come abbiamo visto in Odyssey, questa lama ha origini molto antiche essendo stata l’arma che pose fine alla vita di Re Serse I a opera di Dario nell’Impero Persiano. La lama celata, ci aggiunge un altro indizio: Assassini e Templari c’erano già: pur chiamandosi con nome diverso (Occulti o Cosmos per quanto riguarda gli antagonisti), sono comunque spinti dalla stessa ideologia, lo stesso Credo. L’arrivo di Assassin’s Creed Odyssey è dunque fondamentale per aggiungere altri tasselli del puzzle alla cosmogonia: più indietro si va, più è facile trovare antiche tecnologie; più indietro si va, più scoviamo dettagli su una lotta tra idee simili ma contrapposte.
Grazie al Soggetto 16, Clay Kaczmarek, cavia dell’Abstergo Industries (Templari contemporanei), vediamo a scoprire un dettaglio fondamentale: lo scontro dura da almeno 75000 anni. Dunque, non importa il nome delle fazioni, è importante il Credo, ed è proprio la parola Creed del brand su cui bisogna mantenere l’attenzione.
Decine di millenni fa, la Terra era abitata da una civiltà altamente avanzata, gli Isu. Attraverso i capitoli dedicati a Ezio Auditore, sappiamo molto su di loro e su quanto accadde: l’essere umano venne creato dagli Isu per essere i loro schiavi, assoggettati grazie alla tecnologia che successivamente verrà chiamato Frutto dell’Eden. A un certo punto, due esseri umani si ribellarono (Adamo ed Eva), scoprendo l’inganno che si celava ai loro occhi: la mancanza del libero arbitrio («nulla è reale, tutto è lecito…»). Dopo la fuga, i due liberarono i loro simili e lo scontro divenne inevitabile. La guerra che ne derivò però fu interrotta da un evento, definito Catastrofe di Toba che portò alla quasi estinzione delle due specie. Ma Adamo ed Eva ci dicono molto sul tema trattato oggi: come visibile nel video La Verità, i due sono estremante forti e agili e sono immuni alla tecnologia Isu, suggerendone una natura ibrida. Tutto parte da loro due ed è proprio il Credo degli Assassini a farsi strada tra le menti degli uomini liberi. Ma attenzione: ha inizio anche il Credo dei Templari. La bellezza del capitolo originale stava nel fatto che le due fazioni fossero in realtà perfettamente amalgamabili e non un mero scontro tra bene e male. Entrambi voglio la pace, entrambi vogliono la libertà; è solo il come a distinguerli, in uno scontro tra libero arbitrio e controllo.
Come possiamo intuire dunque, narrativamente parlando, questa trilogia ha indubbiamente “senso”, mettendo numerosi tasselli in più su quanto raccontato finora. Valhalla ci avvicina in qualche modo al capitolo originale, soprattutto per quanto concerne le fasi stealth, in cui è possibile mimetizzarsi tra la folla o spiare bersagli mentre facciamo altro. Tutto questo è ovviamente molto semplicistico eppure c’è una sorta di linearità nel progetto. Anche l’arrivo di Layla Hassan nella narrazione a noi contemporanea è un forte segnale e non vuole essere assolutamente la “nuova Desmond”: la corruzione da parte delle tecnologie (Isu) è un tema interessante e vedrà la sua catarsi proprio sul finire di questa ideale trilogia. Anche tutte le meccaniche che vediamo non sono altro che un evoluzione di quanto visto nei precedenti capitoli: già in Assassin’s Creed II vi era una basilare personalizzazione dell’arma, con tanto di valori a schermo. È tutto più grande, è tutto più spettacolarizzato ma è un esasperazione di concetti già presenti nella saga e che indubbiamente, andavano svecchiati. Ovviamente questi progetti non sono esenti da critiche: Odyssey a conti fatti è semplicemente esagerato, troppo grande e dispersivo. Inoltre, essendo Kassandra una semi-divinità, a un certo punto gli scontri divenivano semplicemente un “passa tempo”, sfruttando i numerosi poteri della Lancia di Leonida. Tutto è contestualizzato, certo, la lancia è tecnologia Isu, ma manca è mancato un certo equilibrio.
Arriviamo alla conclusione di questa analisi, con un messaggio diretto soprattutto ai fan. È vero, le atmosfere sono assai diverse divenendo qualcosa di molto “caciarone” per acchiappare maggior pubblico. Eppure, è pur sempre Assassin’s Creed. Dando per assodato la questione economica da parte di Ubisoft, qust’ultima trilogia funziona, possiede un suo senso logico e narrativo, tralasciando la questione dialoghi a scelta multipla. Su questo, proprio non ci siamo.
Il primo capitolo è tutt’altro che un gioco perfetto: alla lunga risultava ripetitivo e a tratti noioso ma è stato fondamentale per lo sviluppo degli open world e free roaming che conosciamo oggi. Le vicende di Altair Ibn La Ahad e di Desmond Miles hanno aperto un mondo nuovo, mettendo un tassello fondamentale anche per quanto riguarda la narrativa, lavoro di cui vede gran merito Patrice Désilets. È da qui che partono i presupposti dell’analisi su Origins, Odyssey e Valhalla, trilogia criticata per essersi allontanata dagli stilemi narrativi dei primi capitoli e soprattutto da Assassin’s Creed II dove, nel finale, l’intero asset narrativo veniva allargato in maniera smisurata. La diatriba parte con Assassin’s Creed Origin, capitolo che in qualche modo può essere considerato un nuovo punto di partenza del franchise, modificando e approfondendo meccaniche di gameplay che cominciavano a divenire stantie. Di fatto, il precedente ─ e sottovalutato ─ Assassin’s Creed Syndicate, cominciava a far percepire una certa stanchezza, soprattutto per quanto riguardava il combat system, contornato dalla solita mancanza di reale sfida e narrazione contemporanea persa per strada. Molti prefiguravano l’arrivo, prima o poi, di un capitolo a noi contemporaneo o, addirittura, un mash-up con Watch Dogs, altro franchise made in Ubisoft, al fine di porre fine, una volta per tutte lo scontro tra assassini e templari. Ma nel 2017 Ubisoft spiazzò tutti, presentando un episodio ambientato nell’Egitto Tolemaico mandando gli appassionati e non, un po’ in confusione: qual è il senso di ambientare Assassin’s Creed senza gli Assassini? In realtà, il finale del gioco il senso lo rivela, ma effettivamente, è molto più complesso di così. L’arrivo di Odyssey, peggiorò ulteriormente le cose, presentandosi come prequel del capitolo egiziano; anche qui, “qual è il senso di tutto ciò?”. Il senso, ce lo da già il nome del brand, ma andiamo con ordine.
Come abbiamo potuto vedere, la Setta degli Assassini viene inaugurata durante l’Egitto Tolemaico da Bayek e Aya, i protagonisti del titolo. Questo già ci dice qualcosa: gli “assassini” esistevano già, una congregazione sparsa, senza una guida ma tutti riuniti comunque sotto la stessa bandiera. In Egitto dunque, tutto questo prende forma ufficiale. Persino Bayek ha in dotazione una lama celata, arma simbolo della setta e, come abbiamo visto in Odyssey, questa lama ha origini molto antiche essendo stata l’arma che pose fine alla vita di Re Serse I a opera di Dario nell’Impero Persiano. La lama celata, ci aggiunge un altro indizio: Assassini e Templari c’erano già: pur chiamandosi con nome diverso (Occulti o Cosmos per quanto riguarda gli antagonisti), sono comunque spinti dalla stessa ideologia, lo stesso Credo. L’arrivo di Assassin’s Creed Odyssey è dunque fondamentale per aggiungere altri tasselli del puzzle alla cosmogonia: più indietro si va, più è facile trovare antiche tecnologie; più indietro si va, più scoviamo dettagli su una lotta tra idee simili ma contrapposte.
Grazie al Soggetto 16, Clay Kaczmarek, cavia dell’Abstergo Industries (Templari contemporanei), vediamo a scoprire un dettaglio fondamentale: lo scontro dura da almeno 75000 anni. Dunque, non importa il nome delle fazioni, è importante il Credo, ed è proprio la parola Creed del brand su cui bisogna mantenere l’attenzione.
Decine di millenni fa, la Terra era abitata da una civiltà altamente avanzata, gli Isu. Attraverso i capitoli dedicati a Ezio Auditore, sappiamo molto su di loro e su quanto accadde: l’essere umano venne creato dagli Isu per essere i loro schiavi, assoggettati grazie alla tecnologia che successivamente verrà chiamato Frutto dell’Eden. A un certo punto, due esseri umani si ribellarono (Adamo ed Eva), scoprendo l’inganno che si celava ai loro occhi: la mancanza del libero arbitrio («nulla è reale, tutto è lecito…»). Dopo la fuga, i due liberarono i loro simili e lo scontro divenne inevitabile. La guerra che ne derivò però fu interrotta da un evento, definito Catastrofe di Toba che portò alla quasi estinzione delle due specie. Ma Adamo ed Eva ci dicono molto sul tema trattato oggi: come visibile nel video La Verità, i due sono estremante forti e agili e sono immuni alla tecnologia Isu, suggerendone una natura ibrida. Tutto parte da loro due ed è proprio il Credo degli Assassini a farsi strada tra le menti degli uomini liberi. Ma attenzione: ha inizio anche il Credo dei Templari. La bellezza del capitolo originale stava nel fatto che le due fazioni fossero in realtà perfettamente amalgamabili e non un mero scontro tra bene e male. Entrambi voglio la pace, entrambi vogliono la libertà; è solo il come a distinguerli, in uno scontro tra libero arbitrio e controllo.
Come possiamo intuire dunque, narrativamente parlando, questa trilogia ha indubbiamente “senso”, mettendo numerosi tasselli in più su quanto raccontato finora. Valhalla ci avvicina in qualche modo al capitolo originale, soprattutto per quanto concerne le fasi stealth, in cui è possibile mimetizzarsi tra la folla o spiare bersagli mentre facciamo altro. Tutto questo è ovviamente molto semplicistico eppure c’è una sorta di linearità nel progetto. Anche l’arrivo di Layla Hassan nella narrazione a noi contemporanea è un forte segnale e non vuole essere assolutamente la “nuova Desmond”: la corruzione da parte delle tecnologie (Isu) è un tema interessante e vedrà la sua catarsi proprio sul finire di questa ideale trilogia. Anche tutte le meccaniche che vediamo non sono altro che un evoluzione di quanto visto nei precedenti capitoli: già in Assassin’s Creed II vi era una basilare personalizzazione dell’arma, con tanto di valori a schermo. È tutto più grande, è tutto più spettacolarizzato ma è un esasperazione di concetti già presenti nella saga e che indubbiamente, andavano svecchiati. Ovviamente questi progetti non sono esenti da critiche: Odyssey a conti fatti è semplicemente esagerato, troppo grande e dispersivo. Inoltre, essendo Kassandra una semi-divinità, a un certo punto gli scontri divenivano semplicemente un “passa tempo”, sfruttando i numerosi poteri della Lancia di Leonida. Tutto è contestualizzato, certo, la lancia è tecnologia Isu, ma manca è mancato un certo equilibrio.
Arriviamo alla conclusione di questa analisi, con un messaggio diretto soprattutto ai fan. È vero, le atmosfere sono assai diverse divenendo qualcosa di molto “caciarone” per acchiappare maggior pubblico. Eppure, è pur sempre Assassin’s Creed. Dando per assodato la questione economica da parte di Ubisoft, qust’ultima trilogia funziona, possiede un suo senso logico e narrativo, tralasciando la questione dialoghi a scelta multipla. Su questo, proprio non ci siamo.