(da radiospada.org) – Quantunque il Pontefice Sisto IV allorquando canonizzò s. Bonaventura, lo avesse dichiarato Dottore della Chiesa, era nondimeno questo titolo, sebbene glorioso in sé medesimo, comune agli altri, venerati con questo culto. Or volendo Sisto V contraddistinguerne i meriti, destinò dargli un culto più singolare. Quattro erano i principali Dottori della Chiesa, cioè s. Ambrogio, s. Agostino, s. Girolamo e s. Gregorio. Siccome il Pontefice s. Pio V avea innalzato all’onore di quinto Dottore l’angelico s. Tommaso d’Aquino, così il medesimo Sisto giudicò degno di essere annoverato per sesto fra i primari Dottori il serafico s. Bonaventura, ambedue già coetanei e compagni di magistero nell’Università di Parigi. Essendo stato questo Pontefice assunto dal l’Ordine di s. Francesco, era ben sicuro per gli studi fatti delle Opere di s. Bonaventura, che i molti pregi della sua dottrina meritavangli un tale onore. Or volendo egli che tal dichiarazione fosse fatta con magnificenza di ecclesiastica, solennità, scelta a tal funzione la Basilica de’ santi dodici Apostoli, ivi si portò in persona la mattina dei 14 di marzo del 1588, giorno in cui celebravasi l’anniversario della traslazione del sacro corpo di s. Bonaventura, accompagnato da molti Cardinali e da un gran numero di Prelati. Fatta che v’ ebbe l’ adorazione al Santissimo Sacramento, vestito dei sacri abiti pontificali di color bianco, adorno della mitra preziosa, salì sul trono pontificio, attorniato dai Porporati, vestiti di cappa di color violaceo, per esser tempo di Quaresima. Indi alla presenza del folto popolo, accorso alla no bile e solenne funzione, Tommaso Gualtieruzzi segretario de’ Brevi pontifici, in abito prelatizio lesse dal pulpito posto a lato del Vangelo, la qui descritta costituzione, con cui s. Bonaventura veniva per suprema pontificia autorità dichiarato e annoverato fra i primari Dottori della Chiesa.
SISTO VESCOVO
servo de’ servi di Dio
La santa madre Chiesa tuttora militante in terra, ma ansiosa di conseguire la corona della giustizia, serbata nella trionfante Gerusalemme, ammirando con godimento la gloria sempiterna e le corone immarcescibili, che adornano il capo di quelle anime sante, le quali felicemente vi regnano in compagnia di Gesù Cristo, non cessa di lodare Iddio ammirabile ne’ servi suoi. Non solamente essa esalta con giusti encomi le vittorie insigni e gli illustri meriti de’ santi, ma venera ancora e piamente adora i medesimi santi, onorati da Dio in singolar maniera; e li venera perché istruita dalla loro predicazione e salutevoli insegnamenti, fondata collo spargimento del loro sangue, educata dagli il lustri loro esempi e azioni di carità, viene sovvenuta colle ferventi preghiere, ch’eglino quotidianamente presentano in di lei vantaggio innanzi a Dio. Onde per quanto le è possibile nell’esilio di questo mondo passeggero, grandemente procura di dare a ciascun santo in particolare anche i dovuti e congruenti onori, a somiglianza di quella celeste gerarchia, dove tutto è ordinato in carità perfetta. Imperocchè siccome in quella gran casa del divin padre di famiglia, ricca di ogni bene, sono molte abitazioni e quelle anime beate vi godono con una certa varietà ammirabile la beatitudine della stessa gloria, così la Chiesa Cattolica che della celeste ha le somiglianze, posta in ordinanza a guisa delle squadre che compongono un esercito ben disposto, e conosce e distingue per mezzo di una luce celeste che l’illumina, quella sacra disposizione, che dee tenersi nella venerazione da darsi ai santi. Per la qual cosa mentre ella glorifica il coro glorioso degli Apostoli, l’adunanza onorevole de’ profeti e l’esercito de’ martiri fortissimi, tutti onorando proporzionatamente con meritato culto, esulta in varie guise collo stesso spirito di carità e con uguale affetto di religiosa divozione. Fra tutti poi quei beatissimi cori de’ santi, la cui memoria giusta mente si celebra con culto religioso da ogni fedele, risplende di singolar fulgore l’ordine de’ santi dottori, distintamente indicato dall’apostolo s. Paolo, quando parlando di Gesù Cristo disse ch’egli alcuni destinò apostoli, altri profeti, altri evangelisti ed altri poi pastori e dottori, da lui costituiti coltivatori diligenti e fedeli operai della sua vigna, per formar de’ santi nell’opera del ministero e per edificazione del suo corpo. Questi sono quei, di cui parlando in alto tuono di voce la Sapienza dice: Quei che mi faranno risplendere, avranno vita eterna. Di questi stessi dice l’angiolo nel sacro libro di Daniele: Quei che saranno dotti, risplenderanno come la luce del firmamento; e quei che ammaestrano molti, perchè sieno giusti, saranno come stelle, le quali risplenderanno perpetuamente per tutta l’eternità. E questi finalmente sono quei, che il medesimo Redentore Cristo Signore onorò con quel degno elogio: Chi opererà e insegnerà, avrà il nome di grande nel regno dei cieli. Essendo poi stata in ogni tempo la dottrina de’ sacri Dottori utile e salutevole nella Chiesa di Dio, allora principalmente la di mostrò fruttuosa e necessaria l’esperienza, quando frenato l’orribile furore dei persecutori del nome cristiano, si suscitarono poscia con più di ardenza entro la Chiesa, mentr’essa era in pace, le guerre crudeli delle eresie. Allora fu che le astuzie e le falsità degli eretici, i quali per istigazione del diavolo non cessano di soprasseminare le zizzanie nel campo del Signore, furono scoperte per la sollecitudine e diligenza dei Dottori; allora ne furono troncati per opera loro colla spada dello spirito i pestiferi e detestabili errori, e abbattutane la menzogna colla forza della verità cattolica. Onde i santi Dottori sono meritamente indicati col nome delle stelle chiamate Iadi, perché appunto passato il rigido inverno e le lunghe notti dell’infedeltà, e sedata la tempesta della persecuzione, allora sorsero eglino più risplendenti nella santa Chiesa, quando il sole della verità risplendeva più in alto lucido e chiaro nei cuori de’ fedeli, cominciando ad apparir come nuovo l’anno più risplendente della vera fede.
Tra quei, che il grande Iddio volle ricolmare dello spirito d’intelligenza, e che sparsero a guisa di pioggia l’eloquente lor sapienza nella Chiesa di Dio, giustamente si annovera s. Bonaventura confessore, e Pontefice e Dottore esimio della medesima Chiesa cattolica, ascritto di già per l’ammirabile santità della sua vita e per l’eccellente sua dottrina dal nostro predecessore Sisto IV al ruolo de’ santi. Imperocchè oriundo egli da Bagnorea città della Toscana, in adempimento del voto fatto dalla sua pia genitrice, entrò nel l’età sua giovanile nella serafica Religione di s. Francesco, le cui fresche orme seguendo qual nuovo soldato fin dal principio, con pari umiltà e costanza intraprese l’osservanza regolare del di lui istituto con tanto fervore di spirito e con sì grande ansietà di cuore, che fin d’allora vedevasi in lui una gran santità; divenuto per l’illibatezza e purità della vita, per la santa umiltà, per la pazienza, per la mansuetudine, per il disprezzo delle cose terrene, per il desiderio delle celesti, l’esempio e l’ammirazione di tutti. Era anche rapito in Dio con tanta dolcezza di spirito, ed era così in fiammato di santo amor divino, che di già introdotto nel cellario del mistico sposo, ed inebriato del prezioso vino della carità, sembrava che da per tutto vedesse Gesù Cristo Crocifisso e addolorato, e che abitasse nelle sacre di lui piaghe. A questa esimia santità di vita aggiunse egli, divenuto uomo tutto di Dio, il merito di un’eccellente dottrina, onde così disponendo Iddio, riuscisse alla di lui gloria e al vantaggio della Chiesa grandemente profittevole non solo coll’esempio, ma colla parola e coll’erudizione ancora. Applicato adunque allo studio delle sacre lettere, alla lettura de’ santi Padri e alla scienza tanto necessaria della scolastica teologia, sotto la disciplina e il magistero di Alessandro d’Ales, insigne teologo di quell’età, fece tali progressi in breve spazio di tempo, e giunse a sì gran perfezione di dottrina per la rarità del suo bravo ingegno, per l’assiduità dello studio e particolarmente per la grazia singolare dello Spirito Santo, che condecorato solennemente delle insegne dottorali e magistrali nella famosa Accademia di Parigi, fu quivi pubblico professore di sacra teologia. Riportò egli poi tanta lode nell’interpretare e nella scienza di tutta la teologia, che i più famosi letterati ammiravano la di lui dottrina ed erudizione. Quanto fosse stato eccellente in teologia bastantemente lo dichiarano i trattati, le Opere e gli scritti, che per non mediocre benefizio di Dio tuttavia si conservano con gran vantaggio della Chiesa; e che gli eruditi della presente età e de’tempi passati hanno sempre letti con gran frutto, e li hanno approvati e grandemente commendati. Lasciò in essi ai posteri tanti monumenti del suo ingegno veramente divino, per mezzo de’ quali sono chiaramente sviluppate e poste ordinatamente in luce le difficoltà più astruse e oscure; coll’abbondanza di convincenti ragioni, viene illustrata la verità della fede cattolica, restano sconfitti gli errori perniciosi e le profane eresie, e la mente de’fedeli rimane mirabilmente infiammata nell’amor di Dio e nel desiderio della patria celeste. Imperocchè fu pregio singolare e proprio di s. Bonaventura il muover gli animi non solo colla sottigliezza degli argomenti, colla facilità d’insegnare, coll’esattezza di definire le cose, ma anche con una certa forza che ha del divino, congiungendo a tal guisa di scrivere una somma erudizione e un ardore uguale di pietà, onde in atto di ammaestrare muove, penetrando i seni più intimi dell’animo, fino a compungere ancora con certi serafici aculei il cuore, e versarvi una prodigiosa dolcezza di divozione; la qual grazia sparsa pei suoi labbri e nella sua penna ammirando il nostro predecessore Sisto IV sommo Pontefice, non dubitò di affermare che sembrava di aver parlato in lui lo Spirito Santo.
Essendo adunque stati conceduti dal Signore a questo fedele suo servo così grandi e sì rari talenti, affinché col buon uso e traffico dei medesimi amplificasse i tesori della grazia celeste a vantaggio de’ suoi fratelli, fu eletto per divina disposizione in Roma con pieno consenso di tutto l’Ordine, settimo Ministro Generale dopo il patriarca s. Francesco. Nell’esercitare un tale impiego mostrò non solamente una prudenza, una vigilanza e una somma sollecitudine, ma arse ancora di tale ardore di carità fraterna, e servì ai fratelli suoi sudditi con tanta umiltà cristiana, che videsi in lui adempiuto l’insegnamento di Gesù Cristo, il quale disse ai suoi discepoli: Chi di voi è maggiore, sia vostro ministro. Che anzi il Pontefice nostro predecessore Clemente IV di pia ricordanza che lo amò assai, e assai anche si compiacque della lettura delle sue Opere, veggendolo per la sua tanto eccellente virtù e prudenza adattato ad essere in più largo campo utile a molti, gli esibì l’insigne arcivescovado d’York. Esso per altro non soffrendo di staccarsi sì facilmente dai cari amplessi della serafica povertà, umilmente e modestamente ricusò questa dignità offertagli. Ma in altro tempo avendo il sommo Pontefice Gregorio X intimato per rilevanti affari della repubblica cristiana il Concilio Generale in Lione, e cercando uomini ben forniti di santità, di dottrina e di sapienza, per servirsi della loro sodezza e fedeltà nell’operare, in trattarvi premurosissimi negozi, scelse dai due fioritissimi Ordini de’ Predicatori e de’ Minori principalmente s. Tommaso e s. Bonaventura, ambedue lumi chiarissimi di quell’età, loro comandando di portarsi alla sua presenza. Ma infermatosi il primo nel viaggio, passò felicemente al cielo per ricevervi la corona della gloria; e partito s. Bonaventura per Lione, fu umanissimamente accolto dal romano Pontefice Gregorio, il quale viveva talmente affidato alla di lui virtù e sapienza, che stabilì dare ad esso principalmente l’incarico di ben dirigere e amministrare gli affari di quel Concilio. Laonde affinché non solamente vi fosse presente, ma anche presedesse in qualità di principale direttore con dignità e autorità agli interessi di esso Concilio, stabilì di porlo qual lucerna ardente e luminosa sul candelabro eccelso, onde viepiù risplendesse nella casa di Dio. Sicché lo aggregò al sacro Collegio de’ Cardinali, e contemporaneamente lo annoverò all’Ordine de’ vescovi, dichiarandolo vescovo di Albano, conferendo un onore solito a dispensarsi ai Porporati più anziani ad uno, che non avea giammai bramata onorificenza alcuna, anzi le avea fuggite, e che allora non ricusò a solo intuito di obbedire al comando del vicario di Gesù Cristo, e per non sottrarsi alla fatica in benefizio della Chiesa.
Ornato di quell’amplissima dignità molto giovò alla gloria di Dio, e alla comune utilità della Chiesa; imperocchè impiegata la sua opera negli affari scabrosi del Concilio, difese virilmente la fede cattolica, confutò con gran calore le prave opinioni, e dalla di lui prudenza, dottrina, santità e orazioni fu talmente sostenuta la sollecitudine pastorale del Pontefice Gregorio, che sedata per la divina misericordia la dissensione dello scisma, Michele, Paleologo imperator de’ Greci, e le nazioni orientali tornarono all’unione, alla comunione e all’obbedienza della Sede Apostolica; riputato finalmente degno di essere condecorato dai Greci col nome di Eutichio.
Giustamente adunque passato che fu il fortissimo campione di G. Cristo dal pellegrinaggio di questa vita alla patria celeste, tutti si rammaricarono per la di lui morte, tutti compiansero il danno comune, tutti gli fecero encomi colle lacrime agli occhi nell’atto di esser concorsi ai di lui funerali. Uno fra gli altri pubblicò con insigne eloquenza, ma con veridici elogi l’integrità della vita menata da quest’uomo santissimo, l’illibatezza de’ suoi costumi, la molteplicità delle fatiche sostenute per benefizio della Chiesa, e la sublimità della dottrina da lui mostrata in faccia a tutto quel Concilio. Questi fu Pietro Cardinale di Tarantaise, uomo per erudizione e per cristiana eloquenza insigne, innalzato poscia alla sublimità del Pontificato col nome d’Innocenzo V. Il medesimo Sommo Pontefice Gregorio X poi, penetrato da intimo dolore per aver perduto un fratello, un coadiutore, un consigliere fedelissimo, testificò con pesanti parole in presenza de’ padri del Concilio, che la Chiesa Cattolica, la quale avea riportati dalla pietà e dottrina di sì grand’uomo copiosissimi vantaggi, avea fatta colla di lui morte una gran perdita.
Ma con più verità fu detto dallo Spirito Santo: Di memoria eterna sarà il giusto; conciossiachè egli, che illustre era stato in vita, più illustri fu dopo morte, comprovando Iddio, il quale è ammirabile e glorioso ne’ santi suoi, con più prodigi e con miracoli strepitosi la santità del suo servo. La fama de’ quali prodigi aumentandosi appresso tutti, il medesimo Sisto nostro predecessore osservandoli dal l’altezza della Sede Apostolica, pienamente comprese ch’eravi il dito di Dio, il quale solamente opera cose ammirabili. Spontaneamente adunque, e a petizione ancora dell’imperator Federigo, dei re, delle repubbliche, dei duchi e di più città, e di quasi tutti i fedeli, che di unanime consenso ardentemente richiedevano la canonizzazione dell’insigne Cardinale e vescovo Bonaventura, ne intraprese il pensiero, degno di un Pontefice romano. Esaminata pertanto con somma cura e diligenza, e rinvenuta grande la santità della di lui vita, congiunta alla verità dei miracoli, venuto al compimento degli atti legittimi e necessari, colla sua somma potestà da Dio conferitagli in persona di s. Pietro, mediante il consiglio dei fratelli Cardinali della santa Chiesa Romana, e col consenso di tutti Prelati, ascrisse a gloria di Dio e ad esaltazione della Chiesa Cattolica al catalogo de’santi il medesimo beato Bonaventura, e lo aggregò al ruolo dei santi confessori, Pontefici e Dottori, ordinando che se ne celebrasse annualmente la festa nella seconda domenica di luglio, con recitarsene in tutta la Chiesa l’uffizio a guisa di un confessor Pontefice Dottore.
E sebbene questo glorioso dottore s. Bonaventura sia celeberrimo nella Chiesa cattolica, e risplenda sommamente in cielo, dove è coronato di quel serto, che Iddio promise a’ suoi amanti, né abbia bisogno di alcuna cosa umana egli che gode con Gesù Cristo di quei beni, che né occhio vide, né ascesero in cuore umano; nondimeno la carità di Gesù Cristo, e un certo ardente desiderio di divozione, che fin quasi dalla nostra adolescenza abbiamo sempre nutrita verso lui, ci stimola a pensare, per quanto possiamo coll’aiuto del Signore, di propagarne e rendere sempre più luminosa la santità e la dottrina. Siam mossi certamente, siccome è cosa giusta, dalla santa comunicazione che abbiamo con esso, per rapporto alla nostra serafica Religione, nella quale fummo educati e siam vissuti per tanti anni, e a cui come a madre benemerita siamo debitori di dimostrare tutti gli attestati di pietà e di gratitudine. Ma assai più ci muove la gloria di Dio, l’ufizio pastorale che esercitiamo, e le fatiche sostenute per la Chiesa di Dio da un uomo sì santo, e tanti illustri suoi meriti, e la sua stretta congiunzione colla Chiesa Romana, al cui amplissimo Ordine e Senato ammesso, l’occupò con somma lode. Ci muove finalmente l’utilità della Chiesa universale, che per l’erudizione di sì gran Dottore sempre può esser maggiore e più abbondante, particolar mente perché le insidie degli eretici e le diaboliche lor macchine, colle quali tentano di abbattere del tutto la sacra teologia scolastica, ci rendono avvisati a dover ritenere con tutto l’impegno, ad illustrare e propagare la predetta teologia, di cui non v’ha cosa più vantaggiosa alla Chiesa di Dio. Conciossiachè per grazia di Quello, che unicamente dona lo spirito della scienza, della sapienza e dell’ intelletto, e che accresce di età in età, secondo il bisogno, la sua Chiesa di nuovi benefizi, e la provvede di nuovi sussidi, fu ritrovata da’ nostri maggiori, uomini sapientissimi, la teologia scolastica, la quale principalmente fu sin da gran tempo coltivata, appianata, ottimamente disposta, e in varie guise egregiamente spiegata, fu lasciata ai posteri dai gloriosi Dottori, angelico s. Tommaso e serafico s. Bonaventura, chiarissimi professori di questa facoltà, e i primi tra quei che sono stati ascritti al catalogo de’santi. La cognizione e l’uso di questa cotanto salutevole scienza, che deriva dai fonti abbondantissimi delle sacre Scritture, de’ Sommi Pontefici, dei Santi Padri e de’Concili, sempre in verità ha potuto apportare grandissimo giovamento alla Chiesa, o sia per intendere e per interpretare nel suo vero e sano senso le sacre Scritture istesse, o sia per leggere e spiegare con più sicurezza e utilità i santi Padri, o sia per iscoprire e confutare gli errori e le eresie.
In questi ultimi tempi poi, in cui son già venuti quei giorni pericolosi descritti dall’Apostolo, ne’ quali gli uomini bestemmiatori, baldanzosi e seduttori vanno di male in peggio, errando essi, e altri ancor traendo ne’ loro errori, è certamente questa scienza assai necessaria per confutare le eresie, e per confermare i dommi della fede cattolica. E certamente che la cosa sia così, ne sono giudici i nemici stessi della verità, cui più di ogn’altra cosa fa gran paura la teologia scolastica, perché ben comprendono che per quella giusta connessione di cose e di cause fra sé unite; per quell’ordine e disposizione simile alla disciplina militare in segnata ai soldati per combattere, per quelle chiare definizioni e distinzioni, per quella robustezza di argomenti e per quella sottigliezza di disputare si distingue la luce dalle tenebre, si discerne il vero dal falso, e le loro menzogne avvolte tra un’ infinità di prestigi e di falsità restano scoperte e ignude, come appunto accade a chi son tolte di dosso le vestimenta. Quanto più adunque eglino si sforzano di oppugnare e di atterrare questa rocca munitissima della teologia scolastica, tanto più dobbiamo noi difendere quest’invitto propugnacolo della fede, sostenere e conservare l’eredità de’nostri padri, e condecorare, per quanto possiamo, con meritati onori i difensori acerrimi della verità.
Per la qual cosa affinché l’erudizione del serafico Dottore si diffonda più in largo, e gli uomini studiosi ed eruditi riportino sempre più dalle di lui Opere e libri maggiore abbondanza di frutti soavi, a gloria del medesimo santo, sebbene sia beatissimo in cielo, abbiamo in primo luogo istituito in questa Basilica de’santi dodici Apostoli dell’alma nostra città di Roma un Collegio sotto il nome di s. Bonaventura, dove in modo speciale si spieghi pubblicamente la sacra teologia secondo le Opere e i Commentari di questo esimio e divoto santo Dottore. E’ nostra cura in secondo luogo, che in decente impressione, ben corrette sieno tutte insieme date alla luce in questa nostra stamperia vaticana le di lui Opere, che potranno ritrovarsi, in parte non mai fin qui stampate, e a nostra autorità e spese ricercate per ogni dove, e in parte di già impresse e pubblicate.
Per lo che fin dal principio del nostro pontificato abbia mo efficacemente determinato, così da Dio ispirati, siccome piamente crediamo, di render celebre, per quanto siaci possibile, appresso tutti il nome e i meriti gloriosi di questo s. Dottore, e aumentare verso lui la venerazione dei fedeli, eccitati certamente ancor noi a ciò fare dall’esempio del Pontefice Pio V, di santa memoria, nostro predecessore, benemerito della repubblica cristiana, e che noi riconosciamo tuttavia e veneriamo qual nostro padre. Poiché mosso egli da religiosa pietà e dalla singolar divozione che nutriva verso s. Tommaso d’Aquino, decoro del suo Ordine e ornamento della Chiesa Cattolica, bramando similmente di fregiarlo con decenti onori ad intuito dei suoi eccellenti meriti fattisi presso la Chiesa Cattolica, stabilì fra le altre cose e comandò che in perpetuo se ne celebrasse annualmente la festa con rito doppio di uffizio, a somiglianza degli altri quattro principali santi dottori; abbiamo anche noi stimato giusto di far lo stesso di s. Bonaventura, Dottore esimio, giacché tra questi due santi passa una stretta congiunzione e una perfetta somiglianza di virtù, di santità, di dottrina e di meriti. Eglino invero sono i due Olivi e i due Candelieri che fanno lume nella casa di Dio, e che per la pinguedine della carità, e per lo splendore della sapienza illustrano tutta la Chiesa. Questi per provvidenza singolare di Dio a guisa di due stelle spuntate in un tempo stesso, uscirono da due chiarissime famiglie di Ordini Regolari, sommamente utili alla santa Chiesa per difendere la Religione Cattolica, e sempre apparecchiate ad intraprendere fatiche e incontrar pericoli per zelo della fede ortodossa, e dalle quali, come da un campo fertile e ben coltivato, nascono giornalmente, per grazia del Signore, piante feconde e fruttuose, cioè uomini egregi per santità e dottrina, i quali con fedeltà e fortezza badano operosi alla navicella di Pietro agitata da tanti flutti, al cui governo presiede con somma vigilanza il Romano Pontefice.
Essendo questi due santi coetanei, esercitati nei medesimi studi, condiscepoli e maestri insieme, ugualmente onorati dal Pontefice Gregorio X in averli chiamati ambedue al Concilio, e nel pellegrinaggio di questa vita strettamente uniti in vincolo di amor fraterno, di amistà spirituale, e compagni nelle sante fatiche, e finalmente camminando con passo uguale verso la patria celeste; vi godono ugualmente felici e gloriosi una beatitudine sempiterna, da dove col medesimo affetto di carità, siccome dobbiamo piamente credere, pregano per noi, affaticati in questa valle di lagrime, implorandoci il divino aiuto.
Per quello adunque che da noi richiede e l’amore verso l’Ordine serafico, e la grandezza dei meriti di s. Bonaventura, e l’utilità e l’edificazione della Chiesa Cattolica, il cui governo fu da Dio commesso a noi, sebbene immeritevoli, dopo aver conferite con maturità tutte queste cose coi venerabili nostri fratelli Cardinali della Santa Romana Chiesa, col loro consiglio e unanime consentimento, colla nostra certa scienza e colla pienezza della potestà apostolica a noi conferita, noi ancora approviamo e commendiamo assaissimo la dottrina del medesimo s. Bonaventura, lodata di già dai predetti nostri predecessori Clemente IV, Gregorio X e Sisto IV, ammirata grandemente nel Concilio di Lione, adoperata anche in quello di Firenze per ispiegare le cose difficili, lodata e approvata dalle testimonianze autorevoli di uomini cospicui, e degna di un Dottore esimio della Chiesa, noi ancora in atto di approvare e rinnovare in vigore della presente costituzione quella del medesimo Sisto IV, la quale vogliamo come per espressa in questo luogo, eccettuato l’ordine di doversi celebrare la festa di s. Bonaventura nella seconda domenica di luglio, decretiamo e dichiariamo di essere stato il medesimo s. Bonaventura a gran ragione da lui ascritto e annoverato al consorzio dei Dottori, e che in virtù di questa nostra costituzione debba egli per autorità apostolica esser considerato e venerato tra i principali e i primari che furono eccellenti nel magistero della facoltà teologica. […] Ed affinché la gloriosa rimembranza di questo sapientissimo Dottore sia per i suoi gran meriti celebrata con più fervente culto, mossi noi dall’ esempio dei nostri predecessori Bonifazio VIII, il quale comandò l’istesso per i quattro principali Dottori e di Pio V, che fece la medesima cosa per s. Tommaso, ordiniamo che in tutte le parti del mondo cristiano si celebri la festa del medesimo s. Bonaventura in rito doppio da tutte le persone ecclesiastiche, sì secolari che regolari di qualunque Ordine, tanto pubblicamente quanto in privato ai 14 di luglio, nonostante la predetta ordina zione di Sisto IV, il quale la fissò nella seconda domenica dello stesso mese. Comandiamo però che nell’impressione dei calendari debba aggiungersi al nome di esso santo il titolo di Dottore e annettersi indicato il rito doppio della festa, sebbene nella riforma del Breviario recente e Messale romano si ordini altrimenti, onde non possa da chicchessia di qualunque autorità fornito giudicarsi o interpretarsi diversamente da quello che è stato, come sopra, ordinato. […] Non sia lecito pertanto a chicchessia di lacerare questo foglio o contraddire a questo nostro decreto di approvazione, d’innovazione, di dichiarazione, di precetto e di concessione, sotto pena d’incorrere nell’indignazione di Dio e dei beati Apostoli Pietro e Paolo.
Compiuta la pubblicazione di questa decretale, risuonò il coro numeroso dei cantori, che in festose e liete voci cantò l’Antifona: O Doctor optime, dopo la quale recitò il Pontefice Sisto l’orazione dei Dottori della Chiesa. Fu indi celebrata la Messa solenne dal Cardinale Ascolano, terminata la quale, Maurizio Bressi, francese di nazione e uomo assai erudito recitò un’eloquente orazione in lode del serafico Dottore s. Bonaventura. Esultante il divotissimo Sisto per la contentezza di aver conferito questo eccelso e meritato onore al Dottor serafico, volle dare anche un altro contrassegno della parzialissima divozione che nutriva verso di lui. Aveva esso fatte lavorare alcune galee per farle corseggiare nei lidi del Mediterraneo. Al principale di quei legni, da consegnarsi al comandante della flotta, volle porre il nome di s. Bonaventura, onde per i tanti ed illustri meriti di un santo così potente nel suo patrocinio, restasse vincitore nel far sua preda i nemici della croce del Salvatore del mondo.
(Gaspare da Monte Santo O.F.M.Obs., Gesta e dottrina del Serafico Dottore San Bonaventura, Firenze, 1874, pp. 330-343).
Testo raccolto da Giuliano Zoroddu.